Scritto da Elenoire Gazzetti • giu 2025
SINTESI
Il contributo si pone l’obiettivo di analizzare il tentativo del legislatore unionale di creare un contesto normativo unitario le cripto-attività. Tale fenomeno ha avuto una crescente e rapida espansione ed ha reso necessaria una approfondita riflessione sulla loro qualificazione giuridica e sul relativo trattamento normativo. In particolare, è stato introdotto il Regolamento 1114/2023 (Markets in Crypto-Assets Regulation, MiCAR), la cui applicazione è riservata a quelle cripto-attività che possiedano caratteristiche tali da dover essere escluse dall’applicazione della preesistente normativa Direttiva 2014/65/EU (Markets in Financial Instruments Directive, MiFID II), che reca invece la definizione di strumento finanziario. La potenziale riconducibilità delle cripto-attività a tale fattispecie dipende dalle effettive caratteristiche possedute delle medesime. Nello specifico, gli operatori si trovano quindi a valutare se la cripto-attività possegga o meno carattere di “finanziarietà”. Trattasi di una questione di non poco momento, posto che ne deriva l’applicazione di un differente regime normativo, ma caratterizzata da un’insita complessità, in quanto la verifica dell’esistenza di suddetto carattere è da effettuarsi secondo l’effettiva funzione espletata e le caratteristiche dell’asset considerato.
ABSTRACT. The aim of this paper is to analyze the attempt of the EU legislator to create a single regulatory framework for crypto-assets. This phenomenon has had a growing and rapid expansion and has made it necessary to reflect in-depth on their legal qualification and the related regulatory treatment. In particular, Regulation 1114/2023 (Markets in Crypto-Assets Regulation, MiCAR) was introduced, the application of which is reserved for those crypto-assets that possess characteristics such that they must be excluded from the application of the pre-existing Directive 2014/65/EU (Markets in Financial Instruments Directive, MiFID II), which instead provides the definition of financial instrument. The potential attribution of crypto-assets to this category depends on the actual characteristics possessed by the same. Specifically, operators therefore find themselves having to evaluate whether or not the crypto-asset possesses a “financial” character. This is a very relevant matter, given that it results in the application of a different regulatory regime, but it is characterised by an inherent complexity, since the verification of the existence of the aforementioned character must be carried out according to the actual function performed and the characteristics of the asset considered.
1.
Il fenomeno delle cripto-attività ha avuto una rapida espansione, modificando le strutture dell’economia e delle imprese che vi operano ed ha imposto ai legislatori e le autorità di definirne una apposita normativa o, quantomeno, effettuare un tentativo di riconduzione, per quanto possibile, a quella già esistente. Questo ha portato il legislatore unionale all’introduzione del Regolamento 1114/2023 (Markets in Crypto-Assets Regulation, MiCAR), volto ad introdurre una normativa comune per il settore delle cripto-attività che si sostituisse ai tentativi che erano stati fatti dai legislatori nazionali. Al contempo, tuttavia, il legislatore ha previsto che le disposizioni di cui al summenzionato Regolamento si applicassero solamente a quelle cripto-attività che possedessero caratteristiche tali da dover essere escluse dall’applicazione della preesistente normativa MiFID II. Ne è derivato quindi che gli interpreti hanno dovuto analizzare quei criteri giuridici che consentono di comprendere quando una cripto-attività sia o meno riconducibile alla categoria degli strumenti finanziari, di cui alla Direttiva 2014/65/EU. Suddetta distinzione risulta assumere una notevole rilevanza in quanto determina l’applicazione di un differente regime normativo e, conseguentemente, differenti obblighi per gli operatori di mercato nonché diverse tutele per gli investitori.
Prima di addentrarci nell’analisi delle proposte effettuate in tale ambito, risulta però necessario comprendere di cosa si parli con riferimento al termine cripto-attività. Secondo il legislatore unionale, una cripto-attività è “una rappresentazione digitale di un valore o di un diritto che può essere trasferito e memorizzato elettronicamente, utilizzando la tecnologia a registro distribuito o una tecnologia analoga”, ex art. 3, par. 1, n. 5, del Regolamento 1114/2023.1 Suddetto Regolamento, come si analizzerà più approfonditamente nel seguito, rappresenta il tentativo di individuare una normativa per un fenomeno altamente innovativo e sfuggente rispetto alle normative preesistenti e di favorire la nascita di un mercato unico per suddetti asset.2 Le cripto-attività sono quindi definibili come delle unità di valore digitale, che vengono movimentate online, dove le stesse nascono. Il concetto di cripto-attività è sfuggente, perché si tratta di entità strutturabili secondo una pluralità di modalità, che possono attribuire ai titolari diritti estremamente diversi, anche riferiti ad interessi di natura non finanziaria.3 In conclusione, le cripto-attività sono da considerare la rappresentazione di un rapporto obbligatorio, sulla base del quale sono attribuiti al relativo titolare diritti di varia natura.4
È opportuno ora soffermarsi sulla classificazione di tali asset, che risultano comprendere una molteplicità di esempi tra loro eterogenei e che generano spesso confusione. Sovente, quando si parli di cripto-attività, tale termine viene utilizzato come sinonimo di criptovaluta, che invece altro non è che una delle specie rientranti nel genere degli asset crittografati. Le criptovalute in particolare hanno assunto e assumono tuttora un ruolo estremamente importante, perché possono definirsi come il fenomeno che ha portato all’attenzione dei più (nonché dei legislatori) il mondo delle cripto-attività in generale. Esse nascono come un sostituto vagamente anarchico alle monete fiat,5 in quanto non controllate da un’autorità monetaria centrale, malgrado posseggano varie delle caratteristiche principali delle valute tradizionali6 – quali la portabilità, la divisibilità, la sicurezza e la durabilità.7
Altra categoria rientrante tra le cripto-attività è poi rappresentata dai token.8 I token9 possono offrire vari vantaggi, per esempio il venir meno della necessità di intermediatori e un incremento della trasparenza nelle transazioni (vantaggi in realtà riconducibili alla più ampia e generale categoria delle cripto-attività), ma anche una più facile negoziabilità di asset pressoché illiquidi, facilitandone anche la proprietà frazionata. Si ritiene inoltre possano anche facilitare l’accesso ai finanziamenti privati da parte delle piccole medie imprese. Allo stesso tempo, vanno tuttavia considerati anche dei possibili svantaggi, rappresentati dalla incertezza sulla definitività del regolamento o eventuali instabilità delle infrastrutture di mercato e informatiche.10
La determinazione di una precisa tassonomia dei token è un compito abbastanza complesso; tuttavia, normalmente essi vengono ricondotti ad alcune categorie principali. In primo luogo, si parla di token di pagamento, o payment token, che operano in modo simile alle valute c.d. fiat, potendo infatti essere utilizzati come mezzo di scambio di beni e servizi o come riserva di valore. Tra essi vanno ricondotte anche le criptovalute. I token di sicurezza, o security token, invece sono dei beni negoziabili e che vengono detenuti a scopo di investimento; normalmente rappresentano strumenti finanziari regolamentati, quali azioni o obbligazioni. Ancora, i token di utilità, o utility token, sono cripto-attività che assegnano al loro titolare l’accesso a determinate funzionalità di una piattaforma o il diritto di accedere a determinati servizi.11 Va poi menzionata la categoria dei token non fungibili (Non Fungible Token, NFT), che sono rappresentativi di diritti di proprietà univocamente riconducibili al titolare, infatti, vengono spesso usati nell’arte digitale e nei giochi, per impedire la copia di creazioni digitali o anche per lanciare opere d’arte digitali.12 Inoltre, sono da richiamare le stablecoins, che sfuggono ad una definizione unanimemente accettata,13 ma si caratterizzano per il fatto che il loro valore è ancorato a una o più valute fiat o ad un paniere di asset, con lo scopo di ridurre la volatilità tipica delle cripto-attività.14
1.1. Il fenomeno dell’economia digitale e la tokenizzazione dell’economia
L’economia digitale è un fenomeno di cui le cripto-attività sono indubbiamente parte. Essa ha cambiato il modo in cui le imprese operano e, soprattutto, producono valore [v. infra],15 mettendo alla prova i modelli di business esistenti e permettendo di dislocare in diversi Paesi l’espletamento delle funzioni imprenditoriali.16 È complesso fornire una definizione univoca di economia digitale.17 Piuttosto è possibile ravvisare le principali caratteristiche che, normalmente, possiamo rinvenire nelle attività economiche che la compongono. Un simile tentativo è stato effettuato dall’OCSE nell’ambito del Final Report del 2015 del OECD/G20 Base Erosion and Profit Shifting Project – Action 1: Addressing the Tax Challenges of the Digital Economy.18 Tra le caratteristiche richiamate, rientra, primariamente, una maggiore mobilità, rispetto ai cc.dd. intangibles,19 posto che le aziende digitali fanno molto affidamento sui software e spendono maggiori quote delle proprie risorse per il relativo aggiornamento e sviluppo. Altresì, la mobilità riguarda anche gli utenti, posto che il progresso tecnologico consente agli stessi di svolgere attività da remoto, anche oltre i confini di un determinato stato. Infine, la mobilità si lega alle funzioni aziendali, per effetto del miglioramento delle telecomunicazioni, dei software di gestione ed ha ridotto i costi gestionali e di coordinamento. Ciò ha portato ad una crescente dematerializzazione dell’impresa stessa20 e delle sue strutture interne.21
Altre caratteristiche sono poi un maggior affidamento ai dati, la presenza di effetti di rete, relativamente alla partecipazione degli utenti e la relativa integrazione, l’uso di modelli aziendali multilaterali, in cui le parti possono appartenere a giurisdizioni diverse. È stata altresì ravvisata una forte tendenza al monopolio o all’oligopolio, soprattutto laddove il modello aziendale sia particolarmente legato agli effetti di rete; nonché una maggior volatilità, per effetto delle basse barriere all’ingresso e della rapida evoluzione tecnologica.
La particolarità delle cripto-attività sta però nel fatto che, non solo si affiancano alle strutture economiche preesistenti, ma propongono un sistema assolutamente senza precedenti. Tali strumenti infatti rappresentano sicuramente una delle modalità attraverso cui la tecnologia ha contaminato la finanza, ma vi è una differenza sostanziale da ravvisare rispetto ad altri già esistenti nel passato. Infatti, mentre esistono una serie di strumenti di natura tecnologica che si pongono in una situazione servente rispetto alla finanza (si pensi all’e-banking o al trading online), in questo caso invece la tecnologia assume una natura autonoma e si pone come strumento alternativo a quelli già esistenti,22 portando novità rilevanti quali la decentralizzazione e la generale assenza di un intermediario.23 In effetti, si può ritenere che soprattutto il fenomeno criptovalutario sia da considerarsi il passaggio finale di quel processo di digitalizzazione dei pagamenti, sulla base del fatto che «as economists have emphasized, there is a continuum between two extreme – public and private, permissionless and permissioned – blockchains».24 Il fenomeno delle cripto-attività, inoltre, non solo fa parte della digitalizzazione dell’economia, ma consente di compiere un passo oltre, verso la tokenizzazione della stessa, ossia quel processo attraverso cui un dato sensibile25 viene convertito in un dato non significativo grazie al ricorso alla crittografia.26
La tokenizzazione può avvenire in due principali modalità.27 In primis, vi è la tokenizzazione di asset reali che esistono off-the-chain. Essa si sostanzia nel rappresentare digitalmente degli asset fisici su registri distribuiti, in modo che il valore economico ed i diritti che derivano da tali asset reali e fisici, sono incorporati in token. Questo comporta la contemporanea esistenza di risorse reali e di token all’interno della blockchain (c.d. digital twin).28 Esiste poi una seconda tipologia di tokenizzazione, che comporta invece la nascita di token nativi online che esistono solo nel registro distribuito.29
La tokenizzazione offre vari vantaggi, tra cui guadagni di efficienza, per effetto dell’automazione e del venir meno della necessità di intermediazione. Altresì favorisce la trasparenza e la sicurezza delle transazioni grazie all’utilizzo delle tecnologie di registro distribuito e migliora la negoziabilità di asset con liquidità quasi assente.30
1.2. Le tecnologie di registro distribuito ed il loro funzionamento
Conoscere il funzionamento delle cripto-attività richiede la conoscenza in via dettagliata della tecnologia di registro distribuito (Distribute Ledger Technology – DLT) e della blockchain, che, lo si anticipa, non è sinonimo di DLT, ma ne rappresenta una tipologia. In buona sostanza, tutte le blockchain sono DLT, ma non tutte le DLT sono blockchain. La DLT è infatti un concetto generico che indica qualsivoglia tecnologia che permette la registrazione e condivisione di dati su più nodi di un network, senza che esista e sia necessaria un’autorità centrale.31 Le tecnologie DLT sono state altresì definite dal legislatore nazionale con il D.L. 14 dicembre 2018, n. 135, recante disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione. In particolare, l’art. 8-ter prevede che si tratti delle “tecnologie e i protocolli informatici che usano un registro condiviso, distribuito, replicabile, accessibile simultaneamente, architetturalmente decentralizzato su basi crittografiche, tali da consentire la registrazione, la convalida, l’aggiornamento e l’archiviazione di dati sia in chiaro che ulteriormente protetti da crittografia verificabili da ciascun partecipante, non alterabili e non modificabili”.32
La blockchain è una tipologia di DLT che si caratterizza per l’esistenza di blocchi collegati in via crittografata.33 Le DLT hanno il pregio di non aver bisogno di un soggetto intermediario ed il necessario affidamento da fare su di esso. Ciò è possibile grazie, appunto, alla distribuzione del ledger in copie uguali nell’ambito del network stesso. Ciò garantisce la sicurezza delle informazioni, assieme al fatto che sussistono meccanismi di controllo reciproco. Tali meccanismi di controllo non sono affidati infatti ad un soggetto centrale, bensì a tutti coloro che abbiano scelto di concorrere alla gestione della fase di controllo, mediante appositi meccanismi di consenso.34 L’attività di validazione dei nodi è volta ad evitare il double spending, ossia evitare che un determinato soggetto possa spendere più di quanto realmente possieda. Si parla, in particolare del mondo Bitcoin, di UTXO, ossia Unspent Transaction Output. Questo significa banalmente che possono essere utilizzati nella transazione, solo quegli asset che siano stati ricevuti ma che non siano stati oggetto di spesa.
Per spiegare quanto accade ogni volta che scegliamo di effettuare una transazione, dobbiamo immaginare che la stessa venga inviata nel network e messa “in coda” per essere compresa in un determinato blocco. L’operatore che voglia effettuare una transazione dovrà definire input ed output, l’address (la chiave pubblica) a cui si voglia destinare la transazione e confermare l’operazione con una sorta di firma, ossia mediante il ricorso alla c.d. chiave privata. Si noti che quest’ultima assume un’estrema rilevanza e rappresenta un’informazione che l’operatore non dovrà per alcuna ragione diffondere, in quanto è proprio la chiave privata a legittimarlo ad effettuare transazioni con le cripto-attività possedute.35 È tale sistema che consente di ovviare la mancanza di un intermediario centralizzato e che permette l’autenticazione dell’operazione. «La firma digitale, in informatica, rappresenta l’insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di identificazione informatica».36 Infine, la transazione, consistente sostanzialmente in una disposizione di trasmissione di una serie di asset individuati ad un certo beneficiario, viene portata a conoscenza dell’intero network mediante l’inserimento in un blocco informatico, che dovrà essere validato. Resta allora da chiedersi come ciò accada. I principali meccanismi di consenso per convalidare qualsiasi nuova operazione o transazione che avvenga sulla rete sono riconducibili a due tipologie: Proof of Work e Proof of Stake.
Nel caso di meccanismo di consenso di tipo PoW, i nodi partecipano al processo di mining. I c.d. miner si avvalgono di hardware e notevoli quantità di energia per risolvere il blocco che si è formato con le transazioni avvenute in un determinato periodo di tempo. In particolare, possiamo semplificare distinguendone una parte fissa, che è rappresentata dalle suddette transazioni e l’indicazione dell’hash del blocco precedente, ed una variabile che invece è quella che va, per così dire, scoperta dal miner stesso per risolvere il blocco. Tale parte viene definita nonce (number only used once, letteralmente numero usato una sola volta), ed i miner, mediante una serie di tentativi casuali, devono trovarne un valore tale che, quando inserito nella funzione di hashing, generi un valore inferiore alla difficoltà definita come target. In particolare, nel caso dei Bitcoin, ad esempio, il tempo tra la creazione di un blocco ed un altro è definito (pari a 10 minuti), così come è conosciuto il c.d. hashrate (ossia la potenza totale posseduta dai miner), la difficoltà viene quindi definita di conseguenza, ossia assicurando che il tempo sia mantenuto costante. Ne deriva che all’incrementare dell’hashrate, la difficoltà verrà aumentata di conseguenza, affinché il tempo rimanga costante. Quando venga validato un blocco, i miner vengono remunerati con delle cripto-attività (per rifarci all’esempio effettuato, i miner saranno remunerati con un numero definito di Bitcoin), generando così nuove attività. In sintesi, «the hash algorithm then comes up with a complex mathematical computation in which each participating node tries to provide a solution to using the SHA (Secure Hash Algorithm) - 256 hash function. As soon as a solution is provided to the mathematical computation by a node, the particular prerequisites by the proof of work scheme is then thought to be met and this now becomes ‘block’».37 L’hash assume una notevole rilevanza nell’assicurare la sicurezza ed immodificabilità della blockchain in quanto consente di confermare che un determinato dato posto come input non sia stato alterato.38 Chi ha scoperto l’hash, inoltre, si vedrà assegnata una ricompensa, pari all’ammontare delle fee pagate da coloro che avevano inserito delle transazioni nel blocco validato.39 Ne deriva quindi che è attraverso lo stesso mining che si generano nuove cripto-attività, che saranno aggiudicate a chi usi la maggior potenza computazionale ai fini della risoluzione del problema matematico menzionato. Ecco perché possiamo ritenere che nel caso di ricorso al PoW, la competizione tra i diversi minatori dipende pertanto dalla mera potenza dei computer40 posseduti, che è rappresentata dal suindicato hashrate. Proprio per l’elevatissimo grado di tecnicità, il dispendio di energia, come accennato, assume dimensioni spropositate.
Nel caso di meccanismi di controllo PoS «non si prevede alcuna competizione matematica, ma soltanto il versamento di un apposto deposito cauzionale (c.d. stake) da parte dei nodi validatori [...] stimolati ad operare legittimamente nei confronti della rete, pena la corruzione del sistema intero e, quindi, la perdita del deposito versato».41 In tale caso, infatti, ciascun nodo detiene una determinata quantità di cripto-attività, tale da indurlo a voler evitare che possano verificarsi delle frodi che possano in qualche modo ridurre il valore delle attività in stake. Infatti, ogni volta che si aggiunge un blocco alla catena, viene definito chi dovrà generare quello successivo sulla base di un algoritmo apposito, che può avere vari metodi di selezione alla base.42
In conclusione, mentre nelle cripto-attività con meccanismo di consenso di tipo PoW, l’hashrate e il numero dei blocchi validati sono positivamente correlati, perché come si diceva prima, maggiore è la capacità computazionale di cui si dispone e maggiore è la probabilità di successo, nel caso di cripto-attività PoS, invece, il c.d. forging (che corrisponde all’attività di mining, ma nel caso di Proof of Stake) è solo in parte correlato alla potenza di cui si dispone, ma, a seconda dei diversi meccanismi implementati, possono rilevare altri fattori.43 Il modello di validazione PoS viene utilizzato ad esempio nel caso di Ethereum, dove «i validatori mettono esplicitamente in staking il capitale sotto forma di Ether, in un contratto intelligente su Ethereum».44
1.3. Il cambiamento nelle modalità di creazione del valore ed il concetto di valore digitale
Il sopravvento delle tecnologie di registro distribuito e l’impiego sempre più diffuso di cripto-attività ha dato vita ad un dibattito sull’esistenza del valore digitale, sia nella dottrina interna che internazionale.45 Secondo una parte della dottrina la presenza di un nuovo valore è rimasta un concetto di portata meramente teorica, priva di una sostanziale dimostrazione.46 In aggiunta, quando si parli di valore – seppur non esista una teoria universale del valore – va menzionata la distinzione tra teoria oggettiva e soggettiva. Gli economisti fautori della prima sostengono che il valore sia un diretto derivante delle risorse e dei fattori produttivi impiegati nella produzione del bene considerato. Secondo la teoria soggettiva, invece, il valore deriva da una valutazione soggettiva dei soggetti economici interessati al bene oggetto della valutazione stessa. Va poi sottolineato che la questione relativa alla definizione del valore, come si diceva, è divenuta ancor più complessa in tempi recenti, posto lo sviluppo di tecnologie sempre più avanzate e la contemporanea nascita di forme strutturali diverse mediante cui possono operare le imprese.47
Da questa evoluzione ne deriva che, in primo luogo, come affermato da recenti studi, risulta pressoché impossibile attribuire la creazione di valore ad una attività o territorio specifici e determinati.48 In secondo luogo, i fattori che contribuiscono alla sua determinazione stanno via via modificandosi in base alle attività poste in essere e la natura dei prodotti che, per così dire, generano il valore stesso.49 Inoltre, posto anche che si è ritenuto che il fattore determinate nella realizzazione del “surplus” di valore fosse la conoscenza, ed in particolare la sua creazione e uso, vista la sua natura indeterminata, la definizione e localizzazione del valore diviene ancor più complessa.50
Sicuramente, le difficoltà esposte derivano dalle caratteristiche della c.d. digital econonomy, fenomeno che comprende quello delle cripto-attività, oltre che il commercio elettronico e le modalità di finanziamento in rete. Tali caratteristiche sono rappresentate primariamente dalla a-territorialità dell’economia digitale, che risulta essere priva di «nessi tangibili di collegamento con il territorio di creazione della ricchezza».51 Altra qualità, diretta conseguenza della prima, è la transnazionalità e lo scostamento tra il luogo di consumo e di produzione. Si aggiunga poi che trattasi di un fenomeno dematerializzato, in quanto basato su scambi privi di tangibilità, e notevolmente volatile, per via del costante mutamento ed evoluzione delle tecnologie su cui la stessa si basa.
Tornando all’interrogativo iniziale sull’esistenza o meno di nuovo valore generato dalle cripto-attività, dobbiamo sottolineare che quando si tratti di valore e della sua creazione, vanno distinti il concetto di valore d’uso e valore di scambio.52 In primo luogo, lo use value deriva dalla sicurezza e dal consenso.53 La sicurezza è da considerarsi come la certezza che i dati non possano essere alterati, impedendo il c.d. double spending.54 Il consenso invece è inteso come la convalidazione di tutto il network digitale in cui è scambiato l’asset crittografato stesso. Ovviamente, il consenso è una parte inscindibile della sicurezza. L’altra componente, ossia l’exchange value, invece si determina per effetto dell’interesse degli operatori alla fruizione del bene e il prezzo che essi sono conseguentemente disposti a pagare. In effetti, «è l’interesse che si manifesta nelle transazioni di mercato che concretizza le potenzialità dello use value trasformandolo in exchange value».55 Potendo assumere che chi sceglie di cedere un determinato bene, lo faccia allo scopo di ottenere un valore maggiore rispetto a quello sostenuto per il suo ottenimento – sia che si tratti di un costo di produzione o di acquisizione – «la stessa transazione dovrebbe rendere evidente che l’exchange value attualizza lo use value aggiungendovi un plus di valore».56 Da tali manifestazioni di interesse e dal generale interagire tra domanda e offerta, si formano i prezzi, che seppur risultino essere estremamente volatili, consentono di quantificare il valore assunto dalla cripto-attività considerata, normalmente in base ad una moneta fiat. In conclusione, sulla scorta di quanto detto, possiamo ritenere che esista un valore creato dalle cripto-attività, composto dal valore d’uso e di scambio. In effetti, la DLT rappresenta quindi una modalità innovativa di circolazione della ricchezza, che rafforza la fiducia e consente il miglioramento dell’efficienza delle transazioni mediante l’eliminazione degli intermediari e l’aumento della trasparenza delle transazioni, ridisegnando conseguentemente le catene del valore.57
1.4. Le cripto-attività come beni giuridici ex art. 810 C.c.
Potendo ritenere che le cripto-attività siano entità rappresentative di valore, appunto, crittografato, dobbiamo chiederci adesso se possano assurgere o meno a beni giuridici, secondo la definizione di cui all’articolo 810 C.c.58
Affinché siano considerabili dei beni, le cose devono poter essere fonte di utilità, in quanto in grado di soddisfare bisogni umani e tali da poter costituire oggetto di appropriazione esclusiva.59 Per tale ragione, i beni giuridici sono stati quindi considerati quelli che potessero essere oggetto di una tutela quale quella riservata al diritto di proprietà, che assicuri al suo titolare un diritto soggettivo assoluto. Tale concezione è stata poi precisata sottolineando come il diritto di proprietà non è l’unico diritto (rectius, situazione giuridica soggettiva) mediante cui una cosa possa assurgere a bene perché «quel che conta è che il diritto assicuri e tuteli l’appropriazione del valore d’uso e di tale entità».60
A ben vedere, quindi, il termine “diritto” di cui all’art. 810 C.c. va interpretato in maniera ampia, come situazione giuridica soggettiva, derivandone che assurgeranno a beni tutte quelle cose che siano potenzialmente idonee a soddisfare un interesse umano meritevole di tutela.61 L’art. 810 C.c. si fa dunque portatore del «principio secondo cui soltanto dopo aver accertato quali esigenze, interessi e bisogni l’ordinamento considera meritevoli di tutela, sarebbe possibile riconoscere (nella misura e nei limiti di tale considerazione) la qualità di beni giuridici a determinate “porzioni della realtà materiale” o “utilità economiche”, e non viceversa».62
Coerentemente con quanto esposto, ad oggi la lettura di tale articolo è stata notevolmente ampliata rispetto a coloro che nel passato escludevano da tale definizione i beni immateriali o i diritti, ricomprendendo invece anche tutte quelle cose o entità che hanno l’attitudine ad essere oggetto di un diritto assoluto o relativo, prescindendo dalla tangibilità o meno dell’entità considerata.63 In effetti, l’individuazione dei beni giuridici sarebbe basata non più su una concezione materiale della cosa ma da quel sostrato fattuale e pregiuridico ulteriore, che è da riscontrarsi nell’interesse,64 che sia meritevole di tutela avente ad oggetto entità materiali e non, che assurgeranno appunto a beni giuridici.65 Tale definizione permette al diritto di rispondere alle evoluzioni di carattere economico, sociale e tecnologico, tra cui rientrano sicuramente le cripto-attività.66
Le cripto-attività, coerentemente con la lettura dell’art. 810 C.c. data prima, sono «oggetto di un diritto che attribuisce, a chi ne ha la diponibilità giuridica, di utilizzarle come mezzo di scambio, oppure con finalità di investimento, o per fruire di un servizio o per “consumare” un altro bene digitale, o ancora per disporre in via esclusiva di un bene, virtuale o reale, unico (NFT)».67
2.
Il Regolamento sui mercati in cripto-attività (c.d. Markets in Crypto Assets Regulation, MiCAR) rientra nel pacchetto sulla finanza digitale della Commissione europea che è stato approvato dal Consiglio europeo nel maggio del 2023 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea il 9 giugno 2023. Esso è stato introdotto affinché venisse applicata una disciplina comune in termini di cripto-attività, che andasse a sostituire le normative nazionali, laddove esistenti.68-69. Il percorso effettuato dall’Unione europea con riferimento al fenomeno delle cripto-attività in realtà ha radici meno recenti.70 L’interesse verso quest’ultimo nasce già nel 2015, quando la Corte di Giustizia dell’Unione europea fu chiamata a pronunciarsi in merito alla natura delle criptovalute, con specifico riferimento all’applicazione dell’Imposta sul Valore Aggiunto alle operazioni di conversione di denaro tradizionale in Bitcoin, nella nota sentenza Skatteverket contro David Hedqvist. In seguito, interverrà anche il legislatore dell’Unione europea, mediante l’introduzione della normativa antiriciclaggio, con la Direttiva 2018/843/UE. È proprio in tale ambito che viene data per la prima volta una definizione di valuta virtuale: una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente.71 Si può notare come vengano escluse in negativo le caratteristiche, senza tuttavia fornire una vera e propria definizione compiuta.72
Successivamente, a seguito di turbolenze verificatesi nel settore finanziario e, in particolare, in quello delle cripto-attività, seguendo la Risoluzione del Parlamento europeo del 26 maggio 2016 sulle valute virtuali, la Commissione europea ha iniziato a monitorare maggiormente tale fenomeno, avvalendosi dell’intervento delle autorità di vigilanza finanziaria, specificamente European Securities and Markets Authority (ESMA) ed European Banking Authority (EBA),73 che hanno entrambe messo in luce come solo parte delle cripto-attività presentasse i requisiti necessari per la sottoposizione alle regole della MiFID II,74 della Direttiva 2009/110/CE (Electronic Money Directive — EMD2) o della Direttiva 2015/2366/UE (Payment Services Directive – PSD2), mentre tutti gli altri rimanessero al di fuori di una specifica normativa. Sulla base di tali valutazioni, «sin dall’insediamento della Commissione Von Der Leyen è emersa dunque l’intenzione delle istituzioni euro-unitarie di giungere ad una normazione ad hoc del settore in oggetto»,75 impegno che ha portato alla recente approvazione del Digital Finance Package. In esso, due sono i documenti che assumono un ruolo centrale nel contesto delle cripto-attività. In primis, il Regolamento (UE) 2022/858, che introduce un regime pilota per le infrastrutture di mercato basate sulla tecnologia di registro distribuito. Tale Regolamento disciplina l’emissione e circolazione degli strumenti finanziari in forma digitale, mediante l’introduzione di un regime sperimentale temporaneo, che consente alle infrastrutture del mercato finanziario che si occupino di trading – la negoziazione di strumenti finanziari – e di settlement – il trasferimento di tali strumenti tra le parti interessate in suddette operazioni – di prestare tali servizi ricorrendo all’uso della tecnologia a registro distribuito.76 La finalità del DLT Pilot Regime è favorire «l’individuazione degli ostacoli normativi all’operatività delle nuove tecnologie e, conseguentemente, l’elaborazione, in un secondo momento, di modifiche permanenti al quadro europeo attualmente vigente in tema di servizi finanziari».77 Il DLT Pilot Regime ha altresì apportato modifiche alla MiFID II, ed ai regolamenti UE n. 600/2014 e 909/2014,78 recepite dal legislatore italiano il c.d. Decreto FinTech ha aggiornato la nozione di strumento finanziario, di cui all’art. 1, co. 2 del T.u.f. Ad esso si affianca poi il Markets in Crypto-Assets Regulation, che, così come previsto dalla lettera dell’art. 1, lett. a-e), prevede gli obblighi in materia di trasparenza e informativa relativi all’emissione, all’offerta al pubblico ed all’ammissione di cripto-attività alla negoziazione su una piattaforma di negoziazione, definisce i requisiti per l’autorizzazione e la vigilanza dei prestatori di servizi per le cripto-attività, degli emittenti di token collegati ad attività e di token di moneta elettronica, nonché per il loro funzionamento, organizzazione e governance. Esso individua inoltre i requisiti relativi alla tutela dei possessori di cripto-attività in sede di emissione, offerta al pubblico e ammissione alla negoziazione di cripto-attività. Definisce, infine, le norme a tutela dei consumatori e le misure volte a prevenire gli abusi di mercato.
Uno degli elementi fondamentali del MiCAR è la definizione di cripto-attività, che stabilisce l’ambito di applicazione della normativa stessa. Essi sono descritti ex art. 3, par. 1, num. 5 del Regolamento in analisi come “una rappresentazione digitale di valore o di diritti che possono essere trasferiti e memorizzati elettronicamente, utilizzando la tecnologia di registro distribuito o una tecnologia analoga”. Tale definizione si caratterizza principalmente per tre aspetti essenziali. In primis, quando il legislatore parla di una rappresentazione digitale di valore o diritti sottintende che le cripto-attività non posseggono materialità, bensì la loro esistenza è esclusivamente digitale. In secondo luogo, è necessario che siano trasferibili e archiviabili elettronicamente, ossia devono poter essere negoziati, trasferiti e conservati su supporti digitali. Terza caratteristica è l’uso della tecnologia di registro distribuito o simili ai fini della suddetta possibilità di trasferimento e archivio.79-80
Il MiCAR impronta altresì una tassonomia delle cripto-attività, riconducendoli a tre categorie. Le due categorie principali sono rappresentate dagli ART e gli EMT, che sono entrambi riconducibili alla macro-categoria delle stablecoins, ossia quei token normalmente emessi da soggetti privati il cui valore è stabile in quanto ancorato ad una o più valute fiat o un asset o un paniere.81 Anche la BCE ha cercato di fornire una nozione delle stablecoins, che ha definito come «digital units of value that are not a form of any specific currency (or basket thereof) but rely on a set of stabilisation tools which are supposed to minimise fluctuations of their price in such currency(ies)».82 Una definizione che sicuramente risulta essere basata sul meccanismo usato ai fini della stabilizzazione ed evidenza come esse posseggano un loro valore di mercato.83
I token collegati ad attività (c.d. asset-referred token) sono definiti come «un tipo di cripto-attività che non è un token di moneta elettronica e che mira a mantenere un valore stabile facendo riferimento a un altro valore o diritto o a una combinazione dei due, comprese una o più valute ufficiali», ex art. 2, par. 1, num. 6 del Regolamento in analisi. Il primo elemento necessario e distintivo è che, ovviamente, si tratti di una cripto-attività, secondo la definizione del Regolamento MiCA e che non si tratti di un token di moneta elettronica (o EMT), che è categoria distinta e individualmente disciplinata. Un altro aspetto necessario è poi che il token sia volto a mantenere un valore stabile; ovviamente il che non significa che debba avere un valore stabile effettivamente, ma che miri ad averlo. Evidentemente, il legislatore unionale era ben consapevole delle notevoli difficoltà che un qualsivoglia emittente debba affrontare per garantire la stabilità del token e, per tale ragione, l’elemento distintivo non è la stabilità in sé, ma il mero obiettivo a mantenerla. In particolare, suddetta stabilità è correlata ad un ulteriore valore84 o diritto o una combinazione di essi. Un aspetto problematico che è stato risolto dal legislatore medesimo riguarda il riferimento alle valute ufficiali. Infatti, se un ART è riferito a valute ufficiali, come può essere distinto da un EMT? La questione aveva creato non pochi dubbi in dottrina ed è per tale ragione che la formulazione della definizione è stata modificata, includendo la statuizione “che non è un token di moneta elettronica”. Da ciò ne deriva, quindi, che due sono le ipotesi da distinguere: se il token risulta essere collegato a una sola valuta ufficiale, allora si tratterà di un e-money token; ma se invece esso sia riferito a più valute, quindi un paniere di esse, allora si tratterà di un asset-referenced token.85
Altra categoria è poi quella dei token di moneta elettronica o, semplicemente, e-money token (EMT), che sono definiti ai sensi dell’art. 3, par. 1, num. 7), come un tipo di cripto-attività che mira a mantenere un valore stabile facendo riferimento al valore di una valuta ufficiale. È interessante notare come lo stesso legislatore abbia notato che la funzione di tali cripto-attività sia pressoché analoga a quella della moneta elettronica, di cui alla Direttiva 2009/110/CE, trattandosi infatti di surrogati elettronici per monete e banconote e sono plausibilmente utilizzate per effettuare pagamenti.86 Tuttavia, al considerando 19, viene sottolineato come, malgrado esistano delle similitudini, la moneta elettronica e gli EMT differiscono per alcuni aspetti importanti. Infatti, coloro che posseggano moneta elettronica sono sempre titolari di un credito nei confronti dell’emittente di moneta elettronica e sono conseguentemente titolari del diritto di ottenere il rimborso del valore monetario della moneta elettronica detenuta, in qualsivoglia momento. Le cripto-attività con una valuta ufficiale quale valuta di riferimento, invece, non sempre offrono ai loro possessori un tale diritto nei confronti degli emittenti oppure potrebbero non assicurare un credito al valore nominale della valuta di riferimento o potrebbero altresì porre limiti al periodo di rimborso. Proprio per queste differenze, la definizione legislativa di EMT risulta essere molto ampia, per poter sottoporre all’applicazione della normativa quante più fattispecie possibili. Inoltre, data la capacità di operare similmente alla moneta elettronica, analogamente che per quest’ultima, si prevedono dei requisiti molto stringenti per l’emissione di tali token e sono previste severe regole per garantire la tutela dei detentori al dettaglio e l’integrità del mercato. Proprio per le ragioni su esposte, l’art. 48, co. 3, prevede che i «titoli II e III della Direttiva 2009/110/CE si applicano ai token di moneta elettronica, salvo diversamente specificato nel presente titolo». Infatti, solo estendendo l’ambito di applicazione della direttiva richiamata è possibile assicurare che i diversi strumenti finanziari, aventi una funzione pressoché analoga, ossia principalmente, come si vedeva in precedenza, quella di effettuare pagamenti, possano anche avere una parità di trattamento normativo.
Le due categorie poc’anzi analizzate non esauriscono tuttavia le fattispecie che sono disciplinate nel Regolamento in analisi. Infatti, il titolo II si sofferma sulle cripto-attività diverse dai token collegati ad attività o dai token di moneta elettronica. Tale categoria ha una definizione in negativo e ha lo scopo di ampliare l’ambito di operatività del Regolamento in analisi che, come si notava in precedenza, nasce per disciplinare tutte quelle fattispecie che non erano già previamente regolate dalla disciplina di natura finanziaria. In sostanza, possiamo ritenere rientri in tale categoria residuale qualsiasi asset che possegga le caratteristiche della definizione di cui all’art. 3, par. 1, num. 5, che tuttavia non sia classificabile come ART oppure EMT e che non rientri nelle esplicite esclusioni dall’ambito di applicazione del Regolamento medesimo, di cui all’art. 2, par. 2. A tale riguardo, una parte della dottrina ha notato che, seppur esista una categoria residuale, essa non consente di estendere l’ambito normativo a qualsiasi tipo di cripto-attività, perché, come ricordato poc’anzi, varie sono le esclusioni previste. Ne deriva che l’attenzione del legislatore non è «per l’innovazione tecnologica tout court, quanto piuttosto a un sua uso su binari noti, evitando di legittimare gratuitamente tutto ciò che, per sua natura, non consente un controllo diretto».87
In effetti, è interessante notare come, seppur trattasi di una categoria residuale e che quindi dovrebbe ricomprendere tutte le cripto-attività che restano escluse dalle due categorie analizzate, ma anche dalle altre normative UE sui vari strumenti finanziari, e, soprattutto, seppur sembrerebbe logico collocarli in tale ultima residuale categoria, i Non-Fungible Tokens non rientrano in essa. Infatti, l’art. 2, co. 3, del Regolamento, statuisce espressamente l’esclusione dalla normativa MiCAR delle «cripto-attività che sono uniche e non fungibili con altre cripto-attività». La scelta legislativa appare difficilmente comprensibile, dato che il precipuo scopo del regolamento sarebbe proprio quello di disciplinare tutto l’universo delle cripto-attività.88
3. La nozione di strumenti finanziari ex MiFID II
La rapida evoluzione dei mercati e degli strumenti finanziari aveva generato nuove esigenze di regolamentazione e tutela, che sono state accolte con la modifica della Direttiva 2004/39/CE, con l’approvazione Direttiva 2014/65/UE (c.d. MiFID II) e del Regolamento n. 600/2014 (c.d. MiFIR) del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014, entrambi recepiti nel nostro ordinamento dal D.lgs. 3 agosto 2017, n. 129, che ha ampiamente novellato il T.u.f.
La Direttiva MiFID II (Markets in Financial Instruments Directive) ha ridefinito il quadro normativo dei mercati finanziari mediante l’introduzione di una regolamentazione più stringente. Essa fu difatti introdotta per cercare di regolare il mercato unico dei servizi finanziari europeo affinché fosse idoneo a garantire una maggior trasparenza e la tutela degli investitori. Altresì, la disciplina della MIFID II si pose l’obiettivo di disciplinare anche quei settori di investimento che precedentemente non erano regolati, favorendo l’estensione delle tutele anche a tali ambiti.89
Nell’ambito di tale regolamentazione, assume rilevanza centrale la definizione di strumento finanziario, in quanto consente di delineare l’ambito di applicazione della normativa.90 In particolare, l’art. 4, par. 1, num. 15 rinvia all’elencazione di cui alla Sezione C dell’Allegato I alla MIFID II stessa. Rientrano nella elencazione menzionata i valori mobiliari, quali azioni, obbligazioni e strumenti similari, gli strumenti del mercato monetario, come buoni del tesoro o certificati di deposito. Rientrano altresì le quote di organismi di investimento collettivo. Si considerano appartenenti a tale categoria anche gli strumenti derivati,91 come i contratti di opzione, i cc.dd. future, swap, forward e gli altri contratti su strumenti derivati, sia nel caso in cui siano connessi a titoli, valute, tassi d’interesse o rendimenti oppure a materie prime e merci, nonché gli strumenti derivati per il trasferimento del rischio di credito e quelli connessi a variabili climatiche, tariffe di trasporto, tassi di inflazione o altre statistiche economiche ufficiali. Inoltre, sono considerati strumenti finanziari anche i contratti finanziari differenziali e le quote di emissioni che consistono di qualsiasi unità riconosciuta conforme ai requisiti della Direttiva 2003/87/CE. Malgrado tale elencazione risulti essere molto dettagliata, possiamo ritenere lasci comunque spazio ad interpretazioni di carattere evolutivo, in particolare da parte delle autorità di vigilanza.
È opportuno sottolineare in questa sede che esistono alcune differenze tra la definizione di strumento finanziario che viene fornita dalla MiFID II e quella che invece risulta nell’ordinamento interno nell’ambito del T.u.f., seppur quest’ultimo abbia recepito la summenzionata normativa unionale. Infatti, malgrado il D.lgs. 58/1998, art. 1, co. 2 definisca gli strumenti finanziari sulla base di un’elencazione sostanzialmente sovrapponibile a quella proposta dal legislatore europeo, esso aggiunge altresì degli elementi propri. Se la definizione contenuta nel T.u.f. assume carattere tassativo, posto che è il medesimo art. 1, co. 2 menzionato a precisare che si possa parlare di strumenti finanziari solo con riferimento alle categorie di cui all’Allegato I, Sezione C del T.u.f. stesso, è imprescindibile menzionare la previsione di cui all’articolo 18, co. 5 T.u.f., che attribuisce al Ministro dell’economia e delle finanze la possibilità di individuare nuove categorie di strumenti finanziari, «al fine di tener conto dell’evoluzione dei mercati finanziari e delle norme di adattamento stabilite dalle autorità comunitarie». Ancora, l’elencazione risulta essere particolarmente flessibile per via dell’ampiezza delle categorie che la compongono,92 tale da consentire la riconduzione alle stesse anche di strumenti finanziari atipici. Tale flessibilità genera effetti positivi nell’ordinamento interno in quanto favorisce una maggiore autonomia interpretativa, consentendo e favorendo l’introduzione di discipline integrative nazionali, ed incentiva altresì una più facile evoluzione normativa, anche grazie all’esistenza del concetto di prodotto finanziario.93
Come si diceva, l’inclusione di un determinato asset nella categoria degli strumenti finanziari è notevolmente rilevante in quanto comporta l’applicabilità della regolamentazione MIFID II e, quindi, l’applicazione delle norme relative alla tutela degli investitori, mediante l’applicazione delle regole di condotta per gli intermediari, nonché delle norme volte a garantire l’efficienza e integrità del mercato. Inoltre, ne deriva la supervisione da parte delle autorità di vigilanza finanziaria, quali l’ESMA a livello europeo e la CONSOB in Italia.
4. Il labile confine tra cripto-attività e strumenti finanziari: il concetto di finanziarietà
Attualmente, la distinzione tra cripto-attività e strumenti finanziari si basa su un quadro normativo in continua evoluzione, ed in cui interagiscono la disciplina tradizionale dei mercati finanziari e le nuove regolamentazioni specifiche per il settore delle cripto-attività. Il diritto unionale riveste un ruolo fondamentale in tale contesto. Con riferimento agli strumenti finanziari, la normativa di riferimento è rappresentata dalla MiFID II (Markets in Financial Instruments Directive II), che disciplina i mercati finanziari e fornisce una definizione degli strumenti finanziari medesimi che sono da assoggettare a tale normativa. Il Regolamento MiCA (Markets in Crypto-Assets Regulation), invece, è stato introdotto per colmare il vuoto normativo riguardante le cripto-attività che non rientrano nella MiFID II e stabilisce le regole sugli emittenti, i fornitori di servizi in cripto-attività (CASP) e le misure di protezione per i consumatori. L’interazione tra queste due normative è centrale per la qualificazione giuridica delle cripto-attività e, proprio per questo, le autorità de regolamentazione si sono interessate di definire al meglio il perimetro normativo applicabile alle cripto-attività. Infatti, organismi quali l’ESMA e l’EBA monitorano il settore e forniscono le linee guida interpretative, mentre le autorità nazionali definiscono le concrete modalità applicative delle normative nei rispettivi paesi.
In questo ambito, un contributo interessante sulla questione è stato quello della Consob.94 Essa ha infatti pubblicato agli inizi del gennaio 2020 il rapporto finale su “Le offerte iniziali e gli scambi di cripto-attività”, a seguito di una consultazione pubblica avvenuta il 19 marzo 2019.95 Molti hanno considerato tale intervento come notevolmente importante e avente una portata innovativa, in quanto uno dei primi tentativi regolatori e definitori delle cripto-attività. In realtà, quando la Consob emetteva questo documento, l’Unione europea già aveva fatto e stava facendo passi notevolmente più avanguardisti. In effetti, la Commissione europea si era già soffermata sulle opportunità e sfide portate dalla diffusione delle cripto-attività a seguito del piano d’azione Fintech del marzo 2018, mediante cui aveva incaricato l’ESMA e l’EBA di valutare la possibilità di applicare quello che era l’attuale quadro normativo previsto per i servizi finanziari alle cripto-attività, ravvisando come la maggior parte di questi ultimi non riestrassero nella legislazione esistente dell’UE, non risultando pertanto garantite le tutele ai consumatori e gli investitori. La Commissione aveva quindi ravvisato la necessità di «un approccio comune con gli Stati membri sulle criptovalute per garantire la comprensione di come sfruttare al meglio le opportunità creano e affrontano i nuovi rischi che possono comportare».96 Non solo: il 19 dicembre 2019, la Commissione ha lanciato altresì una consultazione pubblica per creare appunto quel quadro comune di regolamentazione delle cripto-attività a livello europeo, di cui si era precedentemente ravvisata la necessità, per evitare una frammentazione normativa che favorisse l’arbitraggio e che fosse in grado di assecondare quella natura irrimediabilmente senza confini di queste tecnologie.
Per questa ragione, la Consob si trovò a pubblicare il proprio Rapporto Finale con maggior fretta, per evitare che quanto svolto perdesse di valore ed interesse per effetto della Consultazione che era in corso e che era volta a creare una direttiva sulle cripto-attività.97 Nel documento informativo richiamato sopra, la Consob aveva effettuato una proposta definitoria delle cripto-attività, al paragrafo secondo, denominato appunto “aspetti definitori”. Nello specifico, era stata posta in evidenza la necessità di improntare una definizione che richiamasse i tratti distintivi delle attività crittografate: l’impiego di tecnologie innovative, quali la blockchain e la DLT, così come definite dal D.L. 135/2018,98 e la destinazione alla successiva negoziazione delle attività medesime. La Consob ha ritenuto opportuno definire una categoria specifica per poter creare una disciplina apposita e in grado di tener conto delle peculiarità dei tali asset, oltre che per poter effettuare una analisi caso per caso. Inoltre, si è preoccupata di distinguere quegli investimenti che rientravano nella categoria delle cripto-attività, ma che avrebbero potuto anche integrare quegli elementi che definiscono uno strumento finanziario, così come individuati dal T.u.f. In tali casi, viste le caratteristiche particolari di tali asset, sarebbe stato opportuno ricondurli alla categoria speciale appena definita e, di conseguenza, alla relativa disciplina. Negli altri casi invece, laddove l’attività, pur essendo crittografata, avesse verificato i criteri definitori degli strumenti finanziari o dei prodotti di investimento, avrebbe dovuto essere sottoposta alla regolazione armonizzata prevista, in quanto si collocano in un grado sovraordinato nella gerarchia delle fonti. In effetti, tali nozioni erano e sono contenute nella normativa unionale, segnatamente nella summenzionata Direttiva MIFID II, pertanto le autorità amministrative nazionali, quali appunto la Consob, sono vincolate ad operare coerentemente con esse. A ben vedere però, sebbene questa fosse la modalità definitoria inizialmente improntata dalla Consob, a seguito della consultazione, la sua posizione è mutata e ciò è stato rispecchiato nel Rapporto Finale. In particolare, alcuni dei soggetti partecipanti alla consultazione hanno ritenuto che le due caratteristiche assunte come criterio distintivo, pur essendo caratteristiche rilevanti, non consentissero di separare in via netta le attività in analisi dagli strumenti finanziari. Un primo limite che è stato ravvisato in varie risposte pervenute alla Consob è stato relativo al fatto che il finanziamento di progetti imprenditoriali, seppur potesse assurgere a spartiacque per distinguere quelle cripto-attività che possedessero natura meramente speculativa, allo stesso tempo tuttavia risultava essere normalmente correlato alla acquisizione di poteri di natura amministrativa o patrimoniale, rendendoli pertanto riconducibili a strumenti finanziari quali azioni ed obbligazioni. Ma non solo, sempre con riguardo alla destinazione a progetti imprenditoriali, si può ritenere che fosse opportuno tenere in considerazione in tale tentativo definitorio, anche quelle cripto-attività che non fossero legate a iniziative imprenditoriali, ma incorporassero diritti connessi ad asset illiquidi, quali beni mobili, immobili, opere d’arte e così via.99 Altra questione sollevata riguardava il criterio della successiva negoziazione delle cripto-attività: essendo esse naturalmente destinate alla successiva negoziazione, si ritenne potessero essere ricondotte alla nozione di valori mobiliari e, conseguentemente, di strumenti finanziari.100-101 Anche il requisito dell’impiego di tecnologie innovative quali blockchain o DLT non permetteva una netta distinzione: già l’ESMA, nell’Advice del 9 gennaio 2019,102 aveva ravvisato come i confini tra cripto-attività e asset finanziari tradizionali si stesse facendo via via più labile posto che anche i secondi stavano iniziando ad essere emessi e negoziati con tali tecnologie.103 In conclusione, la definizione inizialmente fornita dalla Consob è stata da quest’ultima superata e, venendo quindi al contenuto del Rapporto Finale, l’autorità amministrativa ha in particolare fatto riferimento ai concetti di strumento finanziario e prodotto di investimento contenuti nel T.u.f., cercando di distinguere quelle cripto-attività che possano essere assimilabili agli strumenti finanziari di cui all’art 1, co. 2104 del T.u.f. ed ai prodotti di investimento di cui all’art. 1, co. 1, lett. w-bis.1),105 w-bis.2),106 w-bis.3)107 del T.u.f. Pertanto, la Consob ha semplicemente scelto di limitarsi a segnalare quei criteri, già esistenti nel D.lgs. 58/1998, per distinguere, tra le cripto-attività, quelli rientranti nelle categorie di strumento finanziario e prodotto di investimento108 e che, in quanto tali, saranno sottoposti alla relativa disciplina armonizzata (MiFID II). Il suo intervento rimane comunque significativo ed utile ai fini definitori. In effetti, le cripto-attività possono svolgere numerose funzioni e possedere diverse finalità, pertanto distinguere quelle che presentano meno caratteri di finanziarietà è importante per definire la disciplina che sarà poi opportuno applicare.109
La finanziarietà di un determinato asset può manifestarsi secondo diverse modalità ed avere contenuti diversi ed è bene che sia approfondita con riferimento a ciascuna categoria individuata dal MiCAR. Con riferimento agli EMT, il Regolamento prevede che si tratti di un mezzo di scambio (o pagamento, in base al considerando 9), e non uno strumento finanziario, conseguentemente. La distinzione, tuttavia, risulta essere estremamente labile in quanto, a seguito dell’emissione sul mercato, non è detto che il token mantenga le caratteristiche poc’anzi richiamate, che ne escludono la finanziarietà. Più nel dettaglio, nella fase di formazione dei prezzi nell’ambito delle varie piattaforme di negoziazione è possibile che si generino opportunità di investimento tali che gli operatori siano interessati ad ottenere un plusvalore derivante dal mero scambio degli asset e che tali interessi, per così dire, superino quello originario e squisitamente monetario.110 Inoltre, la stabilità del valore del token derivata dalla correlazione ad una valuta fiat risulta essere pur sempre una «stabilità relativa, essendo il token verosimilmente destinato a risentire delle fluttuazioni del tasso di cambio rispetto alle altre valute».111 Problematiche simili possono essere rilevate in merito agli asset-referenced token (ART), per cui, seppur l’insieme degli asset che possono essere presi come riferimento sia definito, esso è abbastanza ampio da poter comprendere anche entità su cui si possa certamente speculare, discendendone quindi la possibilità di ravvisare la finanziarietà di tali strumenti, derivante dal contesto di mercato in cui si opera e dal contenuto dell’asset medesimo.112 Analisi pressoché analoga è stata effettuata dall’ESMA, che a tale riguardo ha notato come la classificazione delle cripto-attività sia strettamente correlata alle specifiche caratteristiche e natura degli stessi, essendo pertanto necessaria una analisi case-by-case ai fini della qualificazione giuridica.113
Coerentemente con quanto esposto, una parte della dottrina ha ritenuto che si tratti di una definizione eccessivamente ampia, derivandone che l’applicazione delle norme di tale regolamento sarà subordinata ad una valutazione caso per caso della natura delle cripto-attività, sulla base di un’analisi che dia priorità alla sostanza sulla forma, ai fini della individuazione della funzione svolta dagli asset medesimi.114 In aggiunta, l’ampiezza di tale definizione comporta anche il rischio che, data la stretta correlazione delle discipline, possa generarsi anche una contaminazione tra il settore della finanza tradizionale e quello delle cripto-attività.115
4.1. [Segue] Le espresse esclusioni dall’ambito di applicazione del MiCAR
Come si diceva, la distinzione rispetto agli strumenti finanziari risulta essere sicuramente di non poco momento, in quanto ne deriva la disciplina applicabile alle attività in oggetto.116 Tuttavia, va riconosciuto che la classificazione basata sulla funzione svolta dall’asset richiede un’analisi molto complessa, che può indubbiamente creare ulteriori perplessità agli studiosi e, anche perché, questa impostazione contribuisce ad «accrescere il disorientamento degli studiosi che sono indotti a ritenere che gli asset virtuali debbano necessariamente trovare collocazione nel sistema finanziario, ed essere considerati a tutti gli effetti contratti finanziari».117 Come sottolineato in precedenza, una delle ragioni principali per cui si è deciso di introdurre una disciplina comune è stato consentire ai mercati di cripto-attività di svilupparsi in ambito europeo, nell’ambito di un quadro giuridico solido e comune per tutti quegli asset che non risultano essere riconducibili all’applicazione della previgente normativa comunitaria in materia di servizi finanziari (Direttiva MIFID II118). Questo ha portato, da un lato all’ampliamento della nozione di strumento finanziario,119 che attualmente ricomprende infatti anche quegli asset che possono essere emessi mediante tecnologia di registro distribuito; dall’altro, all’individuazione dell’ambio di applicazione della nuova disciplina, nonché delle espresse esclusioni dallo stesso. Essa si applica infatti solo alle cripto-attività non assimilabili a strumenti finanziari, depositi o depositi strutturati, secondo le definizioni della normativa unionale in materia di servizi finanziari.
Ne deriva che il Regolamento MiCA non si applica alle criptovalute che possano qualificarsi come strumenti finanziari, così come individuati dall’ art. 4, par. 1, num. 15, della Direttiva 2014/65/UE. Nel succitato articolo della Direttiva MiFID II, è possibile leggere che strumenti finanziari sono quelli definiti nella Sezione C dell’Allegato I. L’ESMA ha in merito rilevato che essendo la MiFID II una Direttiva, essa potrebbe essere stata recepita in modo, seppur leggermente, diverso nelle varie legislazioni nazionali, che potrebbero aver impiegato elencazioni restrittive oppure definizioni ben più ampie. Da ciò che ne deriva che un medesimo asset in uno Stato Membro potrebbe essere considerato come strumento finanziario ai sensi della Direttiva MiFID II, ma non in altre giurisdizioni, e da ciò quindi deriverebbe l’applicazione di una diversa disciplina e, conseguentemente, una violazione di uno dei principali obiettivi del MiCAR, ossia quello di creare un ambiente di assoluta parità di trattamento dei diversi fornitori di servizi di cripto-attività. Inoltre, potrebbe derivarne un fenomeno di regulatory arbitrage, ossia la scelta del sistema normativo per aggirare normative sfavorevoli.120 Ancora, non si applica la disciplina del MiCAR nemmeno nel caso in cui le cripto-attività siano riconducibili alla moneta elettronica, di cui all’art. 2, n. 2, della Direttiva 2009/110/CE (E–Money Directive or the electronic money directive, c.d. EMD), salvo quando rientrino tra i gettoni di moneta elettronica ai sensi del Regolamento in analisi. In buona sostanza, la moneta elettronica “tradizionale” risulta essere esclusa dall’applicazione del Regolamento in analisi, salvo che si tratti di token di moneta elettronica, parliamo quindi di un’esclusione dall’esclusione citata.121
Inoltre, non si applica il MiCAR neanche in caso di depositi, così come definiti all’art. 2, par. 1, num. 3, della Direttiva 2014/49/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativa ai sistemi di garanzia dei depositi.
Infine, non trova applicazione neanche nel caso di depositi strutturati, di cui all’art. 4, par. 1, n. 43, della Direttiva 2014/65/UE (MiFID II).122
5. Conclusioni e prospettive de iure condendo
La distinzione tra cripto-attività e strumenti finanziari non è una mera questione teorica ed ermeneutica, ma possiede importanti implicazioni pratiche per gli operatori del mercato, per gli investitori, nonché per autorità di vigilanza. In effetti, la qualificazione giuridica di un determinato asset digitale definisce il regime normativo da applicare e, quindi, gli obblighi in materia di trasparenza, autorizzazione e vigilanza e le tutele per gli investitori.123
La definizione di cripto-attività fornita dal Regolamento MiCA è estremamente ampia e descrittiva. Questo consente, da un lato, di abbracciare una vasta gamma di asset digitali, ma, al contempo, genera difficoltà nel tracciare una netta linea di demarcazione con gli strumenti finanziari disciplinati dalla MiFID II. Possono così generarsi incertezze interpretative, in particolare nei casi in cui gli schemi normativi di MiCAR e MiFID II si sovrappongano.124 Per esempio, i security token, pur essendo considerati strumenti finanziari assoggettati alla normativa MiFID II, condividono alcune caratteristiche con gli asset regolamentati dal MiCAR.125 L’esistenza di aree in cui le due discipline si sovrappongono sembra altresì suggerire che il legislatore europeo abbia inteso adattare la preesistente normativa sugli strumenti finanziari alle caratteristiche degli asset crittografati, che vengono attratti, per così dire, in via forzata a tale disciplina.126 Tale impostazione pare quasi sottintendere l’interesse del legislatore rivolto più alla fase della tokenizzazione degli strumenti finanziari e l’uso degli smart contracts, invece che alla vera e propria creazione di un mercato delle cripto-attività.127 Una tale impostazione non è da considerare ottimale poste le notevoli differenze esistenti tra le due categorie di investimenti in analisi. Infatti, malgrado sia sicuramente in linea con il principio di neutralità tecnologica – sulla base del quale investimenti con analogo rischio devono essere sottoposti alle medesime regole128 – ricondurre le varie categorie di cripto-attività alla nozione di strumento finanziario potrebbe generare fraintendimenti per gli interpreti e, soprattutto, per gli operatori. Per altro, una normativa frammentaria e incompiuta genera altresì il rischio che venga meno l’affidamento degli operatori e, di conseguenza, i loro investimenti nel settore medesimo, generando un rallentamento all’evoluzione di un sistema finanziario sempre più digitalizzato e decentralizzato.129
In conclusione, possiamo ritenere che, allo stato attuale, ciò che consente di ricondurre una cripto-attività alla normativa MiFID II o MiCAR è il suo carattere di finanziarietà, da verificare secondo un approccio case-by-case e, soprattutto, di tipo look through, ossia prescindendo dal mero nomen juris dell’asset, ma verificando l’effettiva funzione espletata dallo stesso e le caratteristiche che possiede, considerando altresì la sua variabilità nel tempo.130 Alla luce delle criticità esposte, possiamo verosimilmente attenderci che nei prossimi anni le autorità di regolamentazione dovranno affinare i criteri interpretativi per distinguere con maggiore precisione le due categorie. In un tale contesto, l’evoluzione degli interventi giurisprudenziali e di prassi avrà un ruolo centrale nella regolamentazione delle cripto-attività.
1 Si noti che suddetta nozione risulta essere pressoché analoga a quella fornita dall’OCSE nel Crypto-Asset Reporting Framework (CARF). Il CARF è un insieme di linee guida internazionali aventi l’obiettivo di promuovere la trasparenza e lo scambio di informazioni sulle transazioni in cripto-asset. Tale documento è stato diffuso in quanto, vista la natura tipicamente anonima e transfrontaliera di tali asset, si è voluto cercare di contrastare il riciclaggio di denaro, il finanziamento del terrorismo e l’evasione fiscale. Altresì, uno degli elementi chiave di questo documento è rappresentato dalle definizioni chiare e coerenti dei vari termini chiave che sono correlati al fenomeno delle cripto-attività. In aggiunta, come si diceva, suddetta definizione assume una notevole rilevanza, anche perché sarà la medesima a cui poi farà riferimento la disciplina dell’Unione europea.
Tale documento è stato rilasciato dall’OCSE nel 2022. In particolare, come ravvisato da R. Russo, Uno standard per la trasparenza fiscale sulle cripto-attività: il Crypto-Asset Reporting Framework, in Corriere Tributario, Vol. 46, n. 3, 2023, pp. 290 e ss., nel corso del 2022 si è verificata una forte turbolenza nei mercati criptovalutari, dovuta al crollo del token Luna e di TerraUSD, che ha, insieme ad ulteriori eventi, portato alla perdita di circa un terzo della capitalizzazione del mercato delle criptovalute. Questo, così come altri accadimenti che hanno minato la stabilità dei mercati di cripto-asset, oltre alla loro immensa e crescente diffusione, avevano richiamato l’attenzione delle Autorità regolamentari di tutto il mondo, già negli anni precedenti. Il G20 ha incaricato l’OCSE nell’aprile 2021 di sviluppare un sistema di regole per lo scambio automatico di informazioni rilevanti dal punto di vista fiscale. Tale incarico sarà portato a termine l’anno successivo, mediante la pubblicazione del CARF, nella sua versione finale, il 10 ottobre 2022.
Tale documento si pone lo scopo di fronteggiare l’impossibilità di ricondurre all’applicazione del Common Reporting Standard (“CRS”) le cripto-attività che presentino caratteristiche sostanzialmente diverse rispetto alle attività finanziarie tradizionali e alle valute legali. Si noti che, in realtà, già con l’introduzione del CRS erano stati compiuti notevoli passi avanti nella lotta all’evasione fiscale, in particolare a livello transfrontaliero, come ampiamente analizzato in E. Casi et al., Cross-Border Tax Evasion After the Common Reporting Standard: Game Over?, Proceedings. Annual Conference on Taxation and Minutes of the Annual Meeting of the National Tax Association, Vol. 111, 2018, pp. 1-45.
Ciò che rileva in questa sede è la definizione che è stata fornita di cripto-attività, che può desumersi dalla lettura combinata della definizione di crypto-asset e di relevant crypto-asset, presenti nelle sezioni IV.A.1 e IV.A.2 delle Model Rules. Si tratta di una rappresentazione digitale di valore che basata sulla Distributed Ledger Technology o su una tecnologia similare per la convalida delle transazioni e che non sia una valuta digitale emessa da una banca centrale, un prodotto di moneta elettronica o qualsiasi altra cripto-attività per cui l’intermediario ha determinato che non può essere utilizzata per finalità di pagamento o di investimento. Si noti che tale definizione risulta essere maggiormente allineata, rispetto alla bozza di consultazione, a quella di valuta virtuale sviluppata dal FATF ai fini AML/KYC. In particolare, infatti, la bozza non considerava la finalità di pagamento o investimento e ciò avrebbe creato alcune problematiche che erano state fatte presenti da alcuni autori, in fase di presentazione dei commenti al Final Report.
2 Si veda altresì il tentativo definitorio effettuato dall’ESMA, nel documento Advice to ESMA – Own Initiative Report on Initial Coin Offerings and Crypto-Assets (ESMA22-106-1338) del 19 ottobre 2018, in cui le cripto-attività sono state definite come «generic term for crypto currencies, virtual currencies, virtual assets and digital tokens».
3 R. Lener, Criptoattività e cripto valute alla luce degli ultimi orientamenti comunitari, in Giurisprudenza commerciale, Vol. 50, 2023, pp. 376-387.
4 M. Pierro, Contributo per la nozione di crypto asset e suoi riflessi nell’ordinamento tributario nazionale, in Rassegna Tributaria, n. 3, 2022, p. 583.
5 E. Girino, Criptovalute: un problema di legalità funzionale, in Rivista di Diritto Bancario, Vol. 4, n. 1, 2018, pp. 733-769.
6 Cfr. C. Harwick, Cryptocurrency and the Problem of Intermediation, in The Independent Review, Vol. 20, n. 4, 2016, pp. 569 e ss.
7 Relativamente a quest’ultima caratteristica in realtà molti operatori rimangono tuttora scettici, si pensi alle parole usate da Mario Draghi, ex Presidente della BCE, secondo cui «Bitcoin o qualcosa del genere non sono davvero valute, sono beni. Un euro è un euro: oggi, domani, tra un mese, è sempre un euro». Questo sentire è molto comune e infatti tutti i principali intermediari finanziari tendono a spingere gli operatori ad operare con la massima cautela. In effetti, buona parte della dottrina ha ravvisato che le criptovalute difficilmente possono considerarsi delle valute, in quanto inidonee a svolgerne le relative funzioni; v. F. Annunziata, La disciplina delle trading venues nell’era delle rivoluzioni tecnologiche: dalle criptovalute alla distributed ledger technology, in Orizzonti del diritto commerciale, n. 3, 2018, pp. 40 e ss.
8 Sul concetto di tokenizzazione, vedasi il paragrafo successivo.
9 Nel documento ESMA22-106-1338 suddetto, l’ESMA ha sottolineato «The term “token” is more neutral as it does not carry the implicit legitimacy of “currency”. It is a broad term that encompasses many virtual assets and can be defined by opposing it to account-based assets. An account-based system relies on the ability to verify the identity of the owner, while a token-based one relies on the ability to verify the validity of the token itself 5. A token, like a banknote, is a bearer’s asset. Banknotes include multiple physical security features. In the crypto asset world, tokens are secured by cryptographic keys. There are other definitions of tokens and coins, based on the existence of a specific network. We did not use them because it added complexity and did not change in our view at this stage the regulatory evaluation».
10 Cfr. I. Nassr, Understanding the tokenisation of assets in financial markets, in OECD Going Digital Toolkit Notes, n. 19, OECD Publishing, 2021.
11 R. Lener, Criptoattività e cripto valute alla luce degli ultimi orientamenti comunitari, in Giurisprudenza commerciale, Vol. 50, 2023, pp. 376-387.
12 Cfr. M. Pierro, op. cit., p. 585. Vedasi altresì il contributo di G. Vulpiani, Non-Fungible Tokens: An Italian Private Law Perspective, in The Italian Law Journal, Vol. 9, n. 1, p. 365, che in merito al funzionamento degli NFT ha chiarito «NFTs are created through minting, which is the process of creating a code that contains unique identification and ownership details for a digital asset on a blockchain network. Once NFTs are minted, the NFT creators can sell their work through the NFT market, which links to the user’s blockchain account to keep track of transactions and ownership. NFTs function as codes that locate and authenticate a digital image».
13 A. Ferreira, The Curious Case of Stablecoins-Balancing Risks and Rewards?, in Journal of International Economic Law, Vol. 24, n. 4, 2021, pp. 760 e ss.
14 Per approfondimenti sulle stablecoins, cfr. D. Awrey, Bad Money, in Cornell Law Review, Vol. 106, n. 1, 2020, pp. 43 e ss.; Banca Centrale Europea, Stablecoins: no coins, but are they stable?, in In Focus, n. 3, 2019; G. Terranova, Are stablecoins good money? Finding a balance between innovation and consumers’ protection: the European and the United States’ perspective, in Rivista di Diritto Bancario, n. 3, 2022, pp. 153 e ss.
15 Cfr. A.I. D’Ambrosio, Le sfide della digital economy: la road map dell’OCSE, Studi Tributari Europei, Vol. 9, 2019.
16 M. Leo, Quale tassazione per l’economia digitale, in Il fisco, n. 21, 2018, p. 2007.
17 Un importante tentativo di definizione dell’economia digitale è stato fornito dall’OCSE nel Report for the G20 Digital Economy Task Force - A roadmap toward a common framework for measuring the Digital Economy, 2020, segnatamente al paragrafo 2 del capitolo II. In tale sede, è stato chiarito che sussistono diverse definizioni di tale fenomeno e che sono in generale riconducibili a due approcci fondamentali: bottom-up e top-down. Le definizioni di tipo bottom-up definiscono la digital economy in via tradizionale, come «the aggregate of a specific indicator (e.g. the sum of value added, the number of employed people) for an ensemble of industries or sectors identified as actors in the Digital Economy [...] A second, broader subset of bottom-up definitions, defines the Digital Economy as all industries using digital inputs as part of their production process.». Invece, le definizioni top-down «start from the identification of broad trends at play in the digital transformation and define the Digital Economy as the result of their combined impact, including trends enabled by the progress and adoption of digital technologies by societies». Tali concetti saranno poi ripresi anche nel successivo documento dell’OCSE “Investment Promotion and the Digital Economy: a comparative analysis of investment promotion practices across the OECD”, del dicembre 2021, pp. 2 e ss.
18 Segnatamente, vedasi il § 4.3. Key features of the digital economy.
19 Per un approfondimento sul tema, vedasi J. Winterhalter, The Physical, Human Driven Digital Economy: The Overvaluation of Intangibles and its Effects on Tax and Society, in International Tax Studies, n. 3, 2023.
20 Sul punto, v. J. Haskel - S. Westlake, Capitalism without Capital: The Rise of the Intangible Economy, Princeton University Press, 2018, pp. 15 e ss.
21 L’OCSE si è interessato di tale aspetto, con l’Interim Report del 2018, relativo al Base Erosion and Profit Shifting Project – Tax Challenges Arising from Digitalisation, in cui ha sottolineato: «The digital transformation is changing the way people interact with each other and society more generally, raising a number of pressing issues in the areas of jobs and skills, privacy and security, education, health as well as in many other policy areas. Digitalisation is an important source of entrepreneurship, lowering barriers to entry and more broadly affecting the business environment by bringing down transaction costs, increasing price transparency and improving productivity».
22 Cfr. G. Ghidini - E. Girino, Criptovalute, criptoattività, regole e concorrenza: la ricerca imperfetta di un equilibrio perfetto, in Financial Innovation tra disintermediazione e mercato, Giappichelli, Torino, 2021.
23 Interessante il contributo di S. Capaccioli, Sviluppo storico sui fondamentali documenti per arrivare al bitcoin, in S. Capaccioli (a cura di), Cripto-attività, criptovalute e bitcoin, Giuffrè, Milano, 2021, p. 54, che ha ravvisato come nella struttura tecnica di tali tecnologie, possiamo apprezzare l’essenza della volontà per cui le stesse nascono: «creare un sistema che non richieda un emittente, un controllore ovvero un ente terzo costruito in maniera totalmente decentralizzata resistente, resiliente e che permetta lo scambio diretto, sicuro, senza delegare tale ruolo all’esterno del rapporto».
24 G. Gimigliano, Payment Tokens and the Path Towards MiCA, in The Italian Law Journal, Vol. 8, n. 1, 2022, p. 363.
25 Come si vedrà nel seguito [v. infra], un elemento centrale per la creazione di valore nell’ambito dell’economia digitale è rappresentata proprio dai dati. Così come sottolineato da A.M. Bal, (Mis)guided by the Value Creation Principle – Can New Concepts Solve Old Problems?, in Bulletin for international taxation Online, Vol. 72, n. 11, 2018, p. 1, «data is another input in business processes. It should be treated no differently than raw materials and inventories».
26 R. De Caria, Il diritto di fronte alla tokenizzazione dell’economia, in i-lex, num. speciale Blockchain, n. 1, 2019, p. 86.
27 Così come ravvisato dall’OCSE nel documento The Tokenisation of Assets and Potential Implications for Financial Markets, in OECD Blockchain Policy Series, 2020.
28 Cfr. I. Nassr, op. cit.
29 Nel documento dell’OCSE “The Tokenisation of Assets and Potential Implications for Financial Markets”, cit., p. 12, è stato chiarito: «Tokens issued in ICOs are generated within the blockchain and are not backed by an off-chain security or other asset. This has important implications for market structure and governance, given that tokens issued in ICOs are independent of the conventional, off-chain part of the market».
30 Per approfondimenti vedasi il documento Tokenisation of Assets and Distributed Ledger Technologies in Financial Markets: Potential impediments to Market Development and Policy Implications, in OECD Business and Finance Policy Papers, n. 75, OECD Publishing, Paris, 2025, pp. 8 e s.
31 Un aspetto centrale delle DLT è rappresentato dai meccanismi di consenso che, secondo il contributo di J. Van Der Laan, Understanding Blockchain, in M. Artzt - T. Richter (a cura di), Handbook of Blockchain Law. A Guide to Understandingand Resolving the Legal Challenges of Blockchain Technology, Wolters Kluwer, 2020, p. 58, devono essere di grado di ottenere: «Termination (or liveness) means that all nodes on the network follow a (multi-stage) process which ends, i.e., it eventually decides on a value of something with respect to which consensus is sought. Agreement (sometimes also called consistency or safety) means that some majority of valid nodes can reach an agreement on the same value. Validity means that the value proposed for consensus is introduced by a process agreed upon within the network».
32 Tale nozione non è stata accolta unanimemente in dottrina, cfr. G. Befani, Certezza, consenso e certificazioni informatiche: problemi e prospettive di un approccio giuridico al fenomeno delle tecnologie basate sui registri distribuiti, in Il diritto dell’economia, n. 2, 2021, pp. 83 e s., che ha sostenuto che malgrado essa appaia lineare, possiede varie criticità, in particolare il fatto che il co. 3 del summenzionato articolo prevede che “la memorizzazione di un documento informatico attraverso l’uso di tecnologie basate su registri distribuiti produce gli effetti giuridici della validazione temporale elettronica di cui all’articolo 41 del regolamento (UE) n. 910/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014”. Secondo l’autore tuttavia «la scelta normativa di equiparare la blockchain alla validazione temporale elettronica “semplice”, lascerebbe perciò intendere l’espressa esclusione degli ulteriori effetti riconosciuti dalla validazione temporale elettronica “qualificata”, [...] lasciando, pertanto, al libero apprezzamento del giudice la valutazione sull’ammissibilità probatoria della validazione “semplice”», e generandosi quindi un «vuoto regolamentare, atteso che [...] qualsiasi supporto documentale rappresentativo di un fatto può essere prodotto come prova anche nel giudizio civile o nel processo amministrativo».
33 La crittografia è una branca della matematica a cui si ricorre per proteggere le informazioni affinché i soggetti non autorizzati non possano accedervi, rendendole illeggibili per qualunque soggetto diverso dal destinatario delle stesse, che invece viene dotato degli strumenti necessari per accedervi, la c.d. chiave. Come ravvisato da in S. Capaccioli, Sviluppo storico sui fondamentali documenti per arrivare al bitcoin, cit., a questo punto sorge tuttavia il problema di scambiare la chiave in modo sicuro. Per tale ragione viene fornita a ciascun utente una chiave pubblica ed una chiave privata: solo la chiave privata può essere usata per decifrare l’informazione. La chiave pubblica, quindi, è una sorta di IBAN bancario, un identificativo attraverso cui si ricevono le transazioni di cripto-attività. La chiave privata invece è l’informazione più delicata, perché solo mediante essa si potrà effettivamente accedere alle e disporre delle cripto-attività di cui si sia titolari.
34 Cfr. S. Capaccioli, Sviluppo storico sui fondamentali documenti per arrivare al bitcoin, op. cit., in cui l’autore ha altresì sottolineato che «chiunque collegato al network peer-to-peer, decida di installare l’applicativo diviene un nodo (si parla di permissionless proprio perché non vi è autorizzazione per partecipare) che verifica e autorizza le tx [transazioni crittografate] per immetterle nel sistema affinché vengano inserite in un blocco e siano rese pubbliche e immutabili».
35 Si noti inoltre che la chiave privata può essere conservata in un wallet gestito da operatori economici, che quindi detengono, in ultima analisi, anche le cripto-attività stesse, oppure dal medesimo titolare dei token. Vedasi il contributo di M. Pierro, Le cripto-attività e l’imposizione diretta dopo la Legge di Bilancio 2023, in G. Ragucci (a cura di), Fisco Digitale - Cripto-attività, protezione dei dati, controlli algoritmici, Giappichelli, Torino, 2023, pp. 11 e ss., che ha ravvisato «consente di localizzare il contribuente in un mercato diffuso e aterritoriale – quale è quello virtuale, e, di conseguenza, di individuare la legislazione impositiva e, non solo, applicabile ai proventi generati dai crypto-asset».
36 S. Capaccioli, Criptovalute e bitcoin: un’analisi giuridica, Giuffrè, Milano, 2015, p. 38.
37 V. Morabito, Business Innovation Through Blockchain. The B3 Perspective, I ed., Springer Verlag, Berlino, 2017, p. 10.
38 Cfr. J. Var Der Laan, op. cit., p. 26: «If a reapplication of the cryptographic hash function to a (copy of the) data set generates the same hash digest, then it is certain that the data set has not been altered and/or that the copy of the data is the same as the original».
39 P.L. Burlone, La decentralizzazione e i sistemi di consenso sul dato, in S. Capaccioli (a cura di), Cripto-attività, criptovalute e bitcoin, Giuffrè, Milano, 2021, p. 90.
40 Cfr. F. Saleh, Blockchain without Waste: Proof-of-Stake, in The Review of Financial Studies, Vol. 34, n. 3, 2021, pp. 1156 e ss.
41 P. Rubechini, Digitalizzazione - Criptoattività e blockchain, in Giornale di diritto amministrativo, Vol. 29, n. 2, 2023, p. 263 e ss.
42 P.L. Burlone, op. cit., p. 91.
43 Cfr. K. Stylianou - N. Carter, The size of the crypto economy: calculating market shares of cryptoassets, exchanges and mining pools, in Journal of Competition Law and Economics, Vol. 16, n. 4, 2020, pp. 511 e ss.
44 Tale informazione è acquisita dal sito ufficiale di Ethereum, www.ethereum.org.
45 Contributo interessante è quello ad esempio di G. Corasaniti, L’imposta sui servizi digitali: una vera rivoluzione, oppure il messaggio in una bottiglia gettata in mare per i posteri?, in Diritto e Pratica Tributaria, Vol. XCII, n.1, 2022.
46 Cfr. A.M. Bal, op. cit. L’autrice ritiene, infatti, che non esista una definizione oggettiva di valore, posto che qualsiasi cosa potrebbe contribuire alla creazione di esso e, dal punto di vista fiscale, sebbene siano tutti d’accordo sull’opportunità e necessità di tassare il valore, non si trova la medesima unanimità sulla sua definizione.
47 G. Fransoni, Note sul presupposto dell’imposta sui servizi digitali, in Rassegna Tributaria, n. 1, 2021, p. 26.
48 Anche l’OCSE si è preoccupato di tali innovazioni ed il progetto BEPS (Base Erosion and Profit Shifting) assume particolare rilevanza perché, così come ravvisato da P. Pistone et al., The 2019 OECD Proposals for Addressing the Tax Challenges of the Digitalization of the Economy: An Assessment, in International Tax studies, n. 2, 2019, p. 8, rappresenta la prima volta in cui, in merito all’economia digitale e, di conseguenza anche alle cripto-attività, che si ammise a livello internazionale l’inadeguatezza della disciplina preesistente. Nello specifico, l’Action 1 del progetto BEPS è stata una delle prime azioni intraprese volte a fronteggiare le sfide poste dall’economia digitale, cercando delle soluzioni fiscali adeguate, che consentissero di tassare gli utili nel luogo di effettiva produzione, dato che le regole fiscali esistenti non erano adeguate. Così come sostenuto da C. Buccico, Problematiche e prospettive della tassazione dell’economia digitale, in Diritto e processo tributario, n. 3, 2019, pp. 255-286, da tali aspetti deriva che la ricchezza prodotta dalla digital economy «non si lascia attrarre a tassazione, a causa dell’assenza di un legame fisico con il territorio dello Stato in cui la ricchezza stessa è creata, rendendo di difficile implementazione i classici strumenti dell’imposizione fiscale transnazionale».
La principale problematica era infatti derivante dal fatto che, in ambito di tassazione internazionale, un ruolo fondamentale era svolto dalla presenza fisica del contribuente considerato (che si trattasse o meno di una impresa) affinché la suddetta possa essere assoggettata a tassazione nello stato considerato. Secondo A. Ba Moreno - Y. Brauner, Taxing the digital economy Post BEPS... Seriously, in University of Florida Levin College of Law Research Paper, 2019, p. 34, era proprio la normativa OCSE a sottolineare come non potesse essere soggetta a tassazione l’impresa che non avesse una presenza significativa nella giurisdizione considerata, derivandone il principio per cui domestic presence justifies domestic taxation.
Tale principio fa fatica ad applicarsi alle imprese della digital economy, che difficilmente hanno una presenza fisica laddove producono reddito. Sul punto si vedano i seguenti contributi: S.B. Law, Base erosion and profit shifting - an action plan for developing countries, in Bulletin for international taxation, Vol. 68, n. 1, 2014, pp. 41 e s.; R. Zielke, The Changing Role of Tax Heavens - An Empirical Analysis of the Tax Heavens Worldwide, in Bull. Intl. Taxn, Vol. 65, n. 1, 2011; R. Zielke, International Tax Planning with Tax Havens – Objectives and Strategies in a Multinational Group of Affiliated Corporations, in Bull. Intl. Taxn, Vol. 65, n. 2, 2011; J. Hey, “Taxation where value is created” and the OECD/G20 Base Erosion and Profit Shifting Initiative, in Bulletin for International Taxation, Vol. 72, n. 4-5, pp. 203 e ss. Con riferimento alla dottrina italiana, si rinvia invece a L. Carpentieri, La crisi del binomio diritto-territorio e la tassazione delle imprese multinazionali, in Rivista di Diritto Tributario, Vol. 1, n. 4, 2018, pp. 351 e ss.; L. Carpentieri et al., Tassazione di impresa ed economia digitale, in Economia italiana, n. 1, 2019, pp. 65 e ss.; S. Cipollina, I redditi “nomadi” delle società multinazionali nell’economia globalizzata, in Rivista di Diritto Finanziario e Scienza delle Finanze, n. 1, 2014, pp. 21 e ss.; A.I. D’Ambrosio, Le sfide della digital economy: la road map dell’OCSE, in Studi Tributari Europei, Vol. 9, n. 1, 2019, pp. 7 e ss.; C. Sacchetto, L’evoluzione del principio di territorialità e la crisi della tassazione del reddito mondiale nel paese di residenza, in Rivista di Diritto Tributario Internazionale, Vol. 2, pp. 35 e ss.
49 Sulla trasformazione delle modalità di creazione del valore si veda il summenzionato Interim Report dell’OCSE del 2018, che ne fa una puntuale analisi nel Capitolo II “Digitalisation, business models and value creation”. In tale sede, vengono classificati i diversi processi di creazione del valore, che vengono distinti in tre gruppi: value chains, value networks e value shops. Per un approfondimento sulla questione, vedasi G. Corasaniti, La creazione di valore secondo i principi internazionali, in Diritto e processo tributario, n. 1, 2021, pp. 39 e s.; R.R. Das, The Concept of Value Creation: Is It Relevant for the Allocation of Taxing Rights?, in Bulletin for International Taxation, Vol. 74, n. 3, 2020; R.M. Kysar, Value creation: a dimming lodestar for the international taxation, in Bulletin for International Taxation, Vol. 76, n. 4/5, 2020, pp. 216 e ss.
50 W. Haslehner - M. Lamensch, General report on value creation and taxation: outlining the debate, in Taxation and value creation – EATLP Annual Congress Vienna 18-20 June 2020, Vol. 19, IBDF, 2021, pp. 3 e ss.
51 C. Buccico, op. cit.
52 Questa distinzione non è certamente moderna, anzi affonda le sue radici nella scuola marxista. È infatti proprio Marx a sostenere che ciascuna merce possegga in primis un valore d’uso, ossia un valore intrinseco, derivante dalla utilità potenzialmente ritraibile dal suo utilizzo. Distinto è invece il valore di scambio, ossia determinatosi, a partire sicuramente dal primo valore analizzato, sul mercato per effetto, appunto degli scambi. Tale valore deriva, secondo Marx, dalla quantità di fattori produttivi, ed in particolare di lavoro, che è necessaria per ottenere quel bene considerato. In effetti, la creazione di valore possiamo sostenere sia da distinguersi in due fasi fondamentali: la prima è quella di natura produttiva, in cui il bene viene materialmente realizzato mediante l’impiego di fattori produttivi, la cui combinazione assume un valore maggiore rispetto alla sommatoria dei valori intrinsechi di singoli fattori. Tra questi fattori — come anticipato, già secondo Marx, ma tale impostazione è sostenuta ampiamente anche tra gli economisti odierni — un ruolo principe è assunto dal fattore umano, inteso non solo, e non tanto, come manodopera, ma soprattutto come conoscenze e la capacità di generarne ulteriori (c.d. capitale umano o intellettuale). La seconda risulta essere invece rappresentata dalla reazione della domanda nei confronti di tale bene, da cui deriverà la fissazione del prezzo. Il c.d. exchange value è altresì definito da C. Bowman - V. Ambrosini, How value is created, captured and destroyed, in European Business Review, Vol. 22, n. 5, 2010, pp. 480 e ss., come quella somma monetaria che viene scambiata tra l’impresa ed i suoi clienti o fornitori, all’atto dello scambio dei valori d’uso, che vengono in tale fase convertiti quindi in valore di scambio, mediante la cessione nei mercati dei fattori o dei prodotti.
53 Cfr. A. Perrone, Sull’esistenza di un nuovo valore digitale e sua rilavanza fiscale: il caso dei crypto-asset, in Rassegna Tributaria, n. 2, 2023, pp. 268-308.
54 Chiaramente, la variabile fondamentale che attribuisce sicurezza a tali tecnologie è quindi rappresentata proprio dalla decentralizzazione ed il consenso distribuito. Cfr. il contributo di A. O’ Sullivan, Ungoverned or anti-governance? How Bitcoin threatens the future of western institutions, in Journal of International Affairs, Vol. 71, n. 2, pp. 90-102, che in merito al caso dei Bitcoin ha sottolineato: «the total supply of Bitcoin is hard-coded into the protocol to grow at a predetermined rate that is inelastic to the vicissitudes of demand. This means that Bitcoin users do not need to fear unanticipated monetary manipulation».
55 A. Perrone, op. cit.
56 A. Perrone, op. cit.
57 Risoluzione del Parlamento europeo del 3 ottobre 2018 sulle Tecnologie di Registro Distribuito e Blockchain: creare fiducia attraverso la disintermediazione, consultabile al seguente link: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A52018IP0373.
58 A ben vedere, sebbene la formulazione dell’art. 810 C.c. sembri essere notevolmente chiara, essa apre in realtà una serie di questioni ermeneutiche, posto che, come ravvisato da G. Pino, Contributo alla teoria giuridica dei beni, in Riv. trim. dir. e proc. civ., n. 1, 1948, p. 835, proprio per la sua ampiezza definitoria, risulta poter essere interpretata in svariate modalità. Secondo M. Costantino, I beni in generale, in Tratt. Rescigno, Vol. I, UTET, Torino, 2005, p. 3, tale disposizione sarebbe priva di valore prescrittivo in quanto non definisce né qualifica i beni giuridici, ma assurge a «strumento per verificare perché e in che modo le cose sono “beni” secondo l’ordinamento giuridico e, quindi, possono essere oggetto di diritti». In sostanza quindi, una parte della dottrina ha ravvisato l’esistenza di una tautologia in tale norma perché, pur definendo i beni come le cose che possono essere potenzialmente oggetto di diritti, non definisce un criterio di distinzione tra ciò che può o non può formarne oggetto. In ragione di quanto esposto, tale disposizione è stata ritenuta priva di funzione regolatrice propria, bensì una norma di rinvio ad altre disposizioni che invece meglio definiscono le modalità di distinzione dei beni giuridici da ciò che invece non lo è. Spetta allora all’interprete il difficile compito di definire tali confini. Ancora, secondo Z. Zenchovich, Cosa, in R. Sacco (a cura di), Digesto delle Discipline Privatistiche - Sezione civile, IV Ed., UTET, Torino, 1989, pp. 438-460, gli approcci a cui si può ricorrere a tal fine sono diversi. È ad esempio possibile ricorrere ad un approccio rigidamente normativo, che risulterebbe probabilmente infruttuoso per via del tentativo ostinato di trovare una definizione di bene giuridico basandosi meramente sulle intenzioni del legislatore (la ratio legis), oppure si potrebbe ricorrere ad un approccio sociologico, ricercando nelle radici della società considerata, la nozione interiorizzata di bene (e di cosa). Si può poi scegliere di optare per un approccio formalista, cercando la definizione logico-filosofica di tali termini ma, pare superfluo sottolineare, sarebbe ben poco utile in ambito di diritto positivo. Piuttosto è, secondo l’autore, da preferirsi un approccio teleologico, chiedendosi cioè quale sia la ragione dell’esistenza di una teoria dei beni: «una teoria dei beni appare essenziale per individuare l’oggetto del diritto; e quindi per poter affermare (o negare) l’esistenza di un diritto; [...] per accertare i poteri e le facoltà del titolare del diritto nonché i suoi particolari strumenti di tutela».
59 F. Santoro Passarelli, Dottrine generali di diritto civile, Jovene, Napoli, 1976, p. 55.
60 F. Piraino, Sulla nozione di bene giuridico in diritto privato, in Riv. crit. dir. priv., 2012, pp. 483 e ss.
61 P. Perlingieri et al., Situazioni reali di godimento, in P. Perlingieri (a cura di), Manuale di Diritto Civile, ESI, 2022, Napoli, pp. 216 e ss.
62 R. Ferorelli, Art. 810 - Nozione, in A. Iannarelli - F. Macario, Della Proprietà: Vol. I - Artt. 810 - 868 c.c. (Commentario del Codice Civile. Diretto da Enrico Gabrielli), UTET Giuridica, Milano, 2012, pp. 5 e ss.
63 Come ravvisato da F. Piraino, op. cit., il progresso tecnologico e l’ampliarsi del sapere, «hanno definitivamente affranto la cosa dal presupposto fisicalista, includendovi una gamma di prodotti dell’intellettualità di natura disparata ma tutti accomunati sotto il segno dell’immaterialità e soprattutto dell’oggettivazione in termini di datità». Si noti, tuttavia, che la riconduzione all’art. 810 C.c. non è così scontata e presenta un duplice profilo di criticità: il primo è rappresentato dal necessario superamento del concetto di cosa in senso meramente corporale, il secondo è invece da ricondurre al “numero chiuso” di beni che possono essere ricompresi in tale articolo. Per approfondimenti, vedasi M. Passaretta, Le valute virtuali in una prospettiva di diritto privato: tra strumenti di pagamento, forme alternative di investimento e titoli impropri, in S. Capaccioli (a cura di), Cripto-attività, criptovalute e bitcoin, Giuffrè, Milano, 2021, pp. 100 e s.
64 Cfr. sent. Trib. Firenze, 21 gennaio 2019, n. 18. La Corte ha ritenuto in tale sede che la capacità di soddisfare un interesse umano sia da ricondurre all’assolvimento della funzione di circolazione della ricchezza che avviene «evidentemente in un sistema pattizio e non regolamentato, in cui i soggetti che vi partecipano, accettano – esclusivamente in via volontaria – tale funzione, con tutti i rischi che vi conseguono e derivanti dal non rappresentare la criptovaluta moneta legale o virtuale».
65 F. Piraino, op. cit.
66 Secondo F. La Fata, Distributed Ledger Technology e token crittografici. Un “sistema” alternativo di circolazione della ricchezza (e dei diritti?), in Persona e Mercato, Vol. 1, 2023, pp. 85-98, per poter rientrare nella categoria civilistica dei beni giuridici risultano necessari due indici: la appropriabilità, ossia la possibilità di essere oggetto di situazioni di appartenenza da parte di un soggetto, e l’attitudine alla circolazione. È chiaro come suddette caratteristiche appartengano indubbiamente ai cripto-asset, che possono essere oggetto di appropriazione e circolare mediante la DLT.
67 M. Pierro, Contributo per la nozione di crypto asset e suoi riflessi nell’ordinamento tributario nazionale, in Rassegna Tributaria, n. 3, 2022, pp. 574-611. Si noti che l’autrice si è occupata per svariato tempo della questione definitoria dei beni ai sensi dell’articolo 810 C.c. e dell’evoluzione che essa ha avuto. Si rinvia per un maggior approfondimento a M. Pierro, Beni e servizi nel Diritto Tributario, CEDAM, 2003, pp. 1-60, e al contributo, venti anni dopo, della medesima M. Pierro, Le cripto-attività e l’imposizione dopo la legge di bilancio 2023, in G. Ragucci (a cura di), Fisco digitale Cripto-attività - Protezione dei dati, controlli algoritmici, Giappichelli, Torino, 2023, pp. 11-32.
68 In particolare, per un maggior approfondimento sugli approcci normativi dei vari legislatori nazionali, vedasi B. Cappiello, Cepet leges in legibus. Cryptoasset and cryptocurrencies private international law and regulatory issues from the perspective of EU and its member states, in Diritto del Commercio Internazionale, Vol. 33, n. 3, 2019, pp. 561 e ss.; A. Caponera - C. Gola, Aspetti economici e regolamentari delle criptoattività, in Banca d’Italia Occasional Paper, n. 484, 2019, pp. 20 e ss.
69 Tale intervento è stato concepito sulla base del principio di sussidiarietà, sancito dall’art. 5, co. 3 e s., T.U.E., che prevede che l’Unione europea intervenga nei settori che non sono di sua competenza esclusiva soltanto se gli obiettivi dell’azione prevista non possano essere raggiunti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale e possano invece essere meglio conseguiti a livello di Unione. Infatti, come possiamo leggere nella Proposta di regolamento, la stessa Commissione ha sottolineato: «I diversi approcci adottati dagli Stati membri rendono difficile la prestazione transfrontaliera dei servizi correlati alle cripto-attività. Il moltiplicarsi degli approcci nazionali comporta inoltre rischi per la parità di condizioni nel mercato unico in termini di tutela dei consumatori e degli investitori, integrità del mercato e concorrenza. Inoltre, [...] i consumatori, gli investitori e i partecipanti al mercato di altri Stati membri non sono tutelati contro alcuni dei rischi più significativi posti dalle cripto-attività (ad esempio frodi, attacchi informatici, manipolazione del mercato)». Si aggiunge altresì che porre in essere un’azione a livello unionale «creerebbe un contesto favorevole allo sviluppo di un più ampio mercato transfrontaliero delle cripto-attività e dei fornitori di servizi per le cripto-attività, che permetterebbe di cogliere appieno i vantaggi del mercato interno; [...] ridurrebbe notevolmente la complessità e gli oneri finanziari e amministrativi per tutti i portatori di interessi, quali i fornitori di servizi, gli emittenti, i consumatori e gli investitori. L’armonizzazione dei requisiti operativi per i fornitori di servizi e degli obblighi di informativa in capo agli emittenti potrebbe inoltre apportare chiari vantaggi in termini di tutela dei consumatori e degli investitori e di stabilità finanziaria». Per ulteriori informazioni, vedasi Commissione Europea, Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai mercati delle cripto-attività e che modifica la Direttiva 2019/1937/UE, consultabile al seguente link: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:52020PC0593.
70 Particolarmente interessante in tale ambito risulta essere il contributo di M. Bursi - S. Scagliarini, Lo sceriffo euro-unitario nel “Crypto Far West”, in Il dir. dell’economia, anno 70, n. 113, 2024, pp. 455-479.
71 Così come previsto ai sensi dell’art. 1, “Modifiche della direttiva (UE) 2015/849”, n. 2, lett. d).
72 A. Quattrocchi, La natura proteiforme delle criptovalute al crocevia della tutela penale del mercato finanziario, in Giur. Italiana, n. 5, 2022, pp. 1214 e ss.
73 Trattasi dei seguenti report: EBA, Report with advice for the European Commission on crypto-assets, 9 gennaio 2019; ESMA, Advice. Initial coin offerings and Crypto-Assets, 9 gennaio 2019. Essi vengono ampiamente analizzati in M. Bursi - S. Scagliarini, op. cit.
74 Come si vedrà inoltre nel corso del successivo paragrafo, la qualificazione di tali strumenti ai fini della Direttiva MiFID II poteva differire tra i vari Stati membri, in quanto dipendeva da come la stessa fosse stata recepita.
75 M. Bursi - S. Scagliarini, op. cit.
76 Cfr. P. Carrière, Crypto-assets: le proposte di regolamentazione della Commissione UE. Opportunità e sfide per il mercato italiano, in Approfondimenti Dir. Banc., 2020, che lo ha definito come una palestra, in cui i gestori possano temporaneamente operare.
77 I. Capelli, La struttura finanziaria delle imprese e gli strumenti finanziari digitali. Prime considerazioni tra decentralizzazione e regolazione nel contesto del DLT Pilot Regime e del decreto FinTech, in Dir. dell’informazione e dell’informatica, Vol. 4-5, 2023, pp. 645-677.
78 I. Capelli, ibid.
79 Si noti il contributo di F. Annunziata, An Overview of the Markets in Crypto-Assets Regulation (MiCAR), in EBI Working Paper Series, n. 158, 2023, pp. 21 e s. che ha ravvisato: «The wording is notably very broad, as it evokes not only DLT, but also similar technologies, which may obscure the exact content of the definition and make its approach uncertain. However, such a term should be viewed under a positive lens: on the one hand, in fact, the definition is not open to any technologies other than DLT, but only to those that are ‘analogous’ to it; on the other hand, it is a more than opportune, if not even necessary, provision to allow for adequate regulatory flexibility, in the face of (often unexpected and unforeseeable) evolutions of technology. Where, on the other hand, the Regulation had limited its scope of application only to a specific technological form, it would have conferred on the DLT a general legitimacy and a sort of consecration at the European level that would have been entirely undesirable and would have made itself impervious to future innovations».
80 Secondo D. Masi, Cripto-attività come beni giuridici immateriali, in Rivista di diritto dell’impresa, Vol. 2, n. 2, 2023, p. 335, la nozione di cripto-attività fornita dal MiCAR si caratterizzerebbe per tre aspetti fondamentali «la prima è data dal fatto che le cripto-attività empiricamente si riducono a dei codici sequenze di lunghezza variabile; la seconda riguarda il modo attraverso il quale questi codici circolano e sono registrati [...]; la terza, infine, attiene alla funzione assolta dalle stesse, che in linea teorica, dovrebbe essere quella di rappresentare virtualmente valori e diritti».
81 Per maggiori approfondimenti, cfr. L.T. Hoang - D.G. Baur, How stable are stablecoins?, in The European Journal of Finance, 2020; L. Sannikova, ESG vs Cryptoassets: Pros and Contras, in Giur. Comm., n. 1, 2023, pp. 156 e ss.; G. Albè - F. Bottini, Cosa sono le stablecoin, i diversi tipi e come funzionano, in Agenda digitale, 31 maggio 2022.
82 D. Bullmann et al., In search for stability in crypto-assets: are stablecoins the solution?, in ECB Occasional Paper Series, n. 230, 2019, p. 9. Nel medesimo documento, la BCE ha poi individuato quattro categorie che rientrano in tale definizione. In primo luogo, i c.d. tokenised funds, ossia quelle unità di valore monetario che rappresentano un credito nei confronti dell’emittente, che è responsabile della riscattabilità del credito stesso, che vengono emesse, al ricevimento dei fondi, allo scopo di effettuare operazioni di pagamento a persone diverse dall’emittente. Altra categoria individuata sono le off-chain collateralised stablecoins, che sono supportati da asset tradizionali, che richiedono un apposito soggetto che si occupi della loro custodia e sono in possesso dell’emittente solo fino a quando l’utente non li richieda indietro. Terza categoria individuata è quella delle on-chain collateralised stablecoins, che sono anch’esse supportate da asset, ma si tratta tipicamente asset crittografici, che possono essere custoditi in modo decentralizzato e non necessitano di un emittente per essere identificati. Quarta e ultima tipologia sono le algorithmic stablecoins, che possiedono un valore determinato in base ad un algoritmo e sono caratterizzate dal fatto che sono supportate unicamente dall’aspettativa dell’utilizzatore di un futuro potere d’acquisto delle stesse. Inoltre, «in contrast to collateralised stablecoins, there is no risk-mitigating measure in the form of (either off-chain or on-chain) assets that are committed by users, in the issuance phase, and then maintained over time».
83 A. Lipton et al., From Tether to Libra: Stablecoins. Digital currency and the future of Money, 2020.
84 Cfr. E. Bocchini, La struttura dello Stato Patrimoniale, in Diritto della contabilità delle imprese – 2 Bilancio di Esercizio, V ed., UTET Giuridica, Milano, 2021, pp. 115 e ss., che con riferimento alla nozione di valore, ha ritenuto che essa si trovi sul piano della qualificazione giuridica, in particolare «per la considerazione che il valore è in funzione del potere e, quindi, del diritto o, più in generale, della situazione giuridica soggettiva (attiva o passiva) che insiste su ciò che chiamiamo bene». Specificamente, il valore attribuibile a suddette situazioni giuridiche è funzione della tutela che l’ordinamento attribuisce ad esse, derivando in ultima analisi da una scelta del legislatore.
85 M. Pignatone, Art-Asset Referenced Token, in S. Capaccioli - M.T. Giordani (a cura di), Crypto-asset: regolamento MICA e DLT Pilot Regime, Giuffrè, Milano, 2023, pp. 101 e ss.
86 Cfr. Considerando n. 18.
87 M. Granatiero, Cripto-attività diverse dai token collegati ad attività o dai token di moneta elettronica, in S. Capaccioli - M.T. Giordano (a cura di), Crypto-asset: regolamento MICA e DLT Pilot Regime, Giuffrè, Milano, 2023, p. 81
88 P. Carrrière, Decreto Fintech e MICAR: il quadro normativo sulle cripto-attività, in Approfondimenti Dir. Banc., 2023
89 E. Pezzuto - R. Razzante, MiFID II: le novità per il mercato finanziario, Giappichelli, Torino, 2018, p. 3
90 Si noti che in realtà la nozione di strumento finanziario fu introdotta per la prima volta in Italia con il c.d. Decreto Eurosim, nel 1996, che recepì la Direttiva 1993/22/CE. Tale nozione sostituì quella preesistente di valore mobiliare così come definito dalla L. 1/1991. Tale cambiamento assunse una notevole rilevanza in quanto, mentre la definizione esistente assumeva carattere descrittivo, quella di carattere comunitario invece era rappresentata da una elencazione tassativa e puntuale. Un ulteriore cambiamento si avrà poi l’entrata in vigore del T.u.f., che ampliò la nozione di strumento finanziario, a sfavore di quella di valore mobiliare, ed introdusse il concetto di prodotto finanziario. In tale ambito, vedasi il contributo di S. Belleggia, Gli strumenti finanziari, in L. Gaffuri - S. Belleggia (a cura di), I Servizi di Investimento dopo la MIFID II, Giuffrè, Milano, 2019, p. 72, in cui l’autore ha ritenuto che tali nozioni si trovano in un rapporto di genus a species, in quanto l’art. 1, co. 1, lett. u), del D.lgs. n. 58 del 1998, prevede che “sono prodotti finanziari gli strumenti finanziari nonché ogni altra forma di investimento di natura finanziaria, mentre non costituiscono prodotti finanziari i depositi bancari o postali non rappresentati da strumenti finanziari; a loro volta, i valori mobiliari costituiscono particolari tipi di strumenti finanziari che possono essere negoziati nel mercato dei capitali, quali ad esempio le azioni di società, le obbligazioni e gli altri titoli di debito”.
91 Al momento il mercato dei derivati risulta essere destinatario di una serie di norme che si sono via via stratificate in modo, per così dire, alluvionale. Per approfondimenti, cfr. P. Lucantoni, Il mercato dei derivati: note preliminari ad uno studio sistematico, in Banca Borsa Titoli di Credito, n. 2, 2017, p. 182.
92 S. Belleggia, op. cit.
93 Sulla nozione di prodotto finanziario, vedasi il contributo di S. Belleggia, Gli strumenti finanziari, in L. Gaffuri - S. Belleggia (a cura di), I Servizi di investimento dopo la MiFID II, Giuffrè, Milano, 2019, p. 83, il quale sottolinea che «La nozione di prodotto finanziario è stata introdotta dal T.u.f. per individuare l’elemento oggettivo della sollecitazione all’investimento (ora definita offerta al pubblico), estendendo l’ambito di applicazione della disciplina del prospetto informativo anche ad operazioni riferibili a prodotti diversi dagli strumenti finanziari». In effetti, in tale categoria rientrano sia gli strumenti finanziari di cui all’elencazione summenzionata, sia altre modalità e forme di investimento, da valutare caso per caso.
94 Rapporto finale “Le offerte iniziali e gli scambi di cripto-attività” del 2 gennaio 2020, consultabile al seguente link: https://www.consob.it/documents/1912911/1938506/ICOs_rapp_fin_20200102.pdf/e83b06b8-6e7a-2dd7-9fe5-f742e9f2621e.
95 Il documento per la discussione è consultabile al seguente link: https://www.consob.it/documents/1912911/1972122/doc_disc_20190319.pdf/2044537e-487c-5093-112e-3eacc69b12d4.
96 Mission letter of President-elect Von der Leyen to Vice-President Dombrovskis del 10 settembre 2019.
97 S. Capaccioli - M. Simbula, Bitcoin e cripto attività: l’Italia incornicia il passato, l’Europa è già nel futuro, in Econopoly - Il Sole 24 Ore, 2020, consultabile al seguente link: https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2020/01/13/consob-direttiva-cripto/.
98 L’art. 8-ter del c.d. Decreto semplificazioni prevede infatti: “le tecnologie e i protocolli informatici che usano un registro condiviso, distribuito, replicabile, accessibile simultaneamente, architetturalmente decentralizzato su basi crittografiche, tali da consentire la registrazione, la convalida, l’aggiornamento e l’archiviazione di dati sia in chiaro che ulteriormente protetti da crittografia verificabili da ciascun partecipante, non alterabili e non modificabili”.
99 Così come ravvisato dall’ABIE (Associazione Blockchain, Imprese ed Enti), in risposta alla consultazione Consob.
100 Sulla distinzione di tali categorie, vedasi S. Belleggia, Gli strumenti finanziari, cit., pp. 71-88.
101 Sul punto, vedasi la risposta alla consultazione promossa dalla Consob di A. Perrone, nell’Allegato al rapporto finale su “Le offerte iniziali e gli scambi di cripto-attività”, in cui lo stesso ravvisa come «cripto-attività diverse da valori mobiliari e strumenti finanziari appaiono, pertanto, identificabili solo nel caso di token che: (1) attribuiscono come corrispettivo all’apporto di capitale un diritto a “beni” o servizi (pure-commodity token o utility token) e (2) sono destinati alla negoziazione su un mercato secondario, così da poter essere ricondotti alla nozione di “prodotto finanziario” ex art. 1, co. 1, lett. u), T.u.f., nella misura in cui siano caratterizzati dall’aspettativa di un rendimento di natura finanziarie dall’assunzione di un rischio connesso all’impiego di capitale».
102 Vedasi il documento Advice - Initial Coin Offerings and Crypto-Assets (ESMA50-157-1391) del 9 gennaio 2019, consultabile al seguente link: https://www.esma.europa.eu/sites/default/files/library/esma50-157-1391_crypto_advice.pdf.
103 L’ESMA ancora prima si era soffermata sulla questione, nel documento Advice to ESMA - Own Initiative Report on Initial Coin Offerings and Crypto-Assets (ESMA22-106-1338) del 19 ottobre 2018 summenzionato, in particolare nel paragrafo 2 “Are Crypto-assets covered by existing regulation, and if not, should they?”. In tale sede, l’ESMA avrebbe ravvisato che la maggior parte degli asset crittografati fosse già coperta dalla Direttiva sulle pratiche commerciali sleali (Direttiva 2005/29/CE), purché l’emittente fosse un’impresa commerciale e l’acquirente un consumatore. Altresì, ha chiarito che ai fini della determinazione della regolamentazione a cui sottoporre tali asset, è necessario rispondere alle seguenti domande: «1. Does it give the owner an entitlement against the issuer? If so, is it an entitlement in kind or a monetary entitlement? If it is a monetary entitlement, is it profit sharing, a predetermined entitlement, or an undetermined other kind of entitlement? 2. Is it transferable? 3. Is it scarce, and how is scarcity controlled? 4. Does it give decision power on the project of the issuer? On that basis it is possible to identify certain comparable characteristics which suggest applicability of relevant legislation (MiFID II, the Prospectus Regulation and the Market Abuse Directive)».
Breviter e senza pretesa di esaustività, si rammenta che l’ESMA aveva in tale sede ritenuto che i payment token e gli utility token non erano generalmente riconducibili alla normativa MiFID. Invece, con riferimento agli asset token erano da ricondurre alla normativa MiFID II, solo dopo aver verificato la loro natura di strumento finanziario, secondo le modalità individuate nel documento in analisi, a cui si rinvia.
104 Tale comma prevede che per strumento finanziario si intenda “qualsiasi strumento riportato nella Sezione C dell’Allegato I, compresi gli strumenti emessi mediante tecnologia a registro distribuito. Gli strumenti di pagamento non sono strumenti finanziari”.
105 In particolare, la lett. w-bis.1) prevede che per “prodotto di investimento al dettaglio e assicurativo preassemblato” o “PRIIP” si intenda un prodotto ai sensi all’articolo 4, numero 3), del Regolamento (UE) n. 1286/2014, ossia qualsiasi prodotto che rientra in una delle definizioni di cui alle lettere a) e b) o in entrambe: a) un PRIIP, b) un prodotto di investimento assicurativo. In particolare, il PRIIP viene definito dal medesimo art. 4, al num. 1, come “un investimento, compresi strumenti emessi da società veicolo quali definite all’articolo 13, punto 26, della Direttiva 2009/138/CE o società veicolo di cartolarizzazione quali definite all’articolo 4, paragrafo 1, lettera an), della Direttiva 2011/61/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, nel quale, indipendentemente dalla forma giuridica dell’investimento stesso, l’importo dovuto all’investitore al dettaglio è soggetto a fluttuazioni a causa dell’esposizione ai valori di riferimento o al rendimento di uno o più attivi che non siano direttamente acquistati dall’investitore al dettaglio”. Il prodotto di investimento assicurativo è invece definito all’art. 4, num. 2, come “un prodotto assicurativo che presenta una scadenza o un valore di riscatto e in cui tale scadenza o valore di riscatto è esposto in tutto o in parte, in modo diretto o indiretto, alle fluttuazioni del mercato”.
106 La lett. w-bis.2 prevede che per prodotto d’investimento al dettaglio preassemblato o PRIP si intenda un investimento ai sensi dell’articolo 4, numero 1), del Regolamento (UE) n. 1286/201, secondo la definizione data alla nota precedente.
107 La lett. w-bis.3 definisce un prodotto di investimento assicurativo come un prodotto ai sensi dell’articolo 4, numero 2), del Regolamento (UE) n. 1286/2014, già citato sopra.
108 Cfr. M. Pierro, op. cit.
109 Va ravvisato che in dottrina era già stato svolto il tentativo di ricondurre le cripto-attività agli strumenti e prodotti finanziari, così come definiti nel T.u.f. Tale definizione si pone l’obiettivo di ampliare quelle attività finanziarie che la legge italiana riserva alle banche autorizzate e alle investment firms, che saranno tenute al rispetto della serie di obblighi previsti dal T.u.f. medesimo. Tuttavia, secondo U. Malvagna - F. Sartori, Cryptocurrencies as ‘Fungible Digital Assets’ Within the Italian Legal System: Regulatory and Private Law Issues, in The Italian Law Journal, Vol. 8, n. 1, 2022, pp. 481 e ss., la definizione improntata nel T.u.f. resta generica, per questo è importante far riferimento agli elementi che la Cassazione (Cass. civ., Sez. II, 5 febbraio 2013, n. 2736) ha ritenuto necessari affinché potesse parlarsi di prodotto finanziario: «a) a capital contribution from one party to another; b) the expectation of a financial performance; c) the taking of a risk which is directly linked to the capital outlay». Così come ravvisato da E. Stabile, La sentenza Cassazione Sez. 2 Penale n. 44378/2022 del 26.10. 2022 sulla qualificazione della moneta virtuale e delle Initial Coin Offerings (a proposito di un sequestro penale preventivo di wallet contenente bitcoin e di una fattispecie di reato di abusivismo finanziario ai sensi dell’art. 166 co. 1 TUF), in Persona e Mercato, n. 4, 2022, pp. 717-719, la Suprema Corte, in altra sede, ha inoltre «stabilito che la qualificazione di un asset come prodotto finanziario non può dipendere dalla motivazione (elemento soggettivo) di chi lo acquista, ossia la volontà di fare un investimento, ma dalla causa dell’operazione (elemento oggettivo)».
110 M. Cian, La nozione di cripto-attività nella prospettiva del MiCAR. Dallo strumento finanziario al token, e ritorno, in Osservatorio di dir. civ. e comm.le, fasc. speciale, 2022, pp. 66 e ss.
111 M. Cian, op. cit.
112 M. Cian, op. cit.
113 Vedasi ESMA, Consultation paper on the draft Guidelines on the conditions and criteria for the qualification of crypto-assets as financial instruments, del 29 gennaio 2024, reperibile al seguente link: https://www.esma.europa.eu/sites/default/files/2024-01/ESMA75-453128700-52_MiCA_Consultation_Paper_-_Guidelines_on_the_qualification_of_crypto-assets_as_financial_instruments.pdf.
114 D. Conte, Imposizione reale e ricchezza di origine virtuale: quale tassazione per le criptoattività?, in Riv. Dir. Trib., n. 5, 2023, p. 494.
115 D. Conte, ibidem.
116 La questione ha interessato svariati campi, tra cui anche quello delle registrazioni di tali asset nelle statistiche macroeconomiche. A riguardo, vedasi Il documento dell’IMF Committee on Balance of Payments Statistics, The Recording of Crypto Assets in Macroeconomic Statistics, consultabile al seguente link: https://www.imf.org/external/pubs/ft/gfs/gfsac/pdf/Recording_Crypto_Assets_MacroStats_July_22.pdf.
117 M. Pierro, Contributo all’individuazione della nozione di crypto asset e i suoi riflessi nell’ordinamento tributario nazionale, cit., p. 588.
118 In particolare, la attuale disciplina si distingue in due parti: la Direttiva MiFID II, che è incentrata sulle procedure ed il Regolamento MiFIR, principalmente relativo alle strutture di mercato; entrambi sono stati introdotti per via della generale disparità di informazioni esistente sul mercato dei servizi finanziari, l’UE ha ritenuto opportuno introdurre delle norme ulteriori che tutelassero gli investitori, per maggiori approfondimenti vedasi M. Haentjans - P. De Gioia Carabellese, European Banking and Financial Law, 2a ed., Routledge, Londra, 2020.
119 Art. 4, par. 1, punto 15), della Direttiva 2014/65/UE (MiFID II).
120 Vedasi a tale riguardo, ESMA, Consultation paper on the draft Guidelines on the conditions and criteria for the qualification of crypto-assets as financial instruments, del 29 gennaio 2024, consultabile al seguente link: https://www.esma.europa.eu/sites/default/files/2024-01/ESMA75-453128700-52_MiCA_Consultation_Paper_-_Guidelines_on_the_qualification_ of_crypto-assets_as_financial_instruments.pdf, dove l’autorità ha ravvisato «This absence of a common definition and shared criteria applicable to all financial instruments makes it more difficult to adopt a holistic approach in these draft guidelines and to establish a standardised test that could be applied to all types of financial instruments. At the same time, it is important to avoid a piecemeal approach and the below guidelines are therefore attempting to establish some high-level criteria or general principles that can be used to promote convergent practices at national level regarding the classification of crypto-assets as financial instruments. The assessment as to whether a crypto-asset should be considered a financial instrument should however remain a case by-case exercise and the guidelines are only meant to promote convergent practices in this context. Finally, offerors or persons seeking admission to trading of crypto-assets are primarily responsible for the correct classification of such assets. This classification might however be challenged by the relevant NCA, both before the date of publication of the offer and at any time thereafter».
121 La questione risulta essere ben complessa, in quanto, per esempio, se si possiede uno strumento finanziario basato sulla DLT ad esso si applicheranno le normative esistenti e non il MiCAR, ma se, tuttavia, si fosse possessori di moneta elettronica, ma essa soddisfi anche le premesse della definizione di token di moneta elettronica, di cui alla normativa in analisi, allora questa verrà regolata da quest’ultimo.
122 Vedasi l’art. 2, del Titolo I, in merito all’ambito di applicazione.
123 Come sostenuto anche da F. Annunziata, La disciplina delle trading venues nell’era delle rivoluzioni tecnologiche: dalle criptovalute alla distributed ledger technology, cit., «un token che presenti caratteri di rischio-rendimento assimilabili ad un titolo di capitale, o ad uno strumento di debito, o ad una diversa categoria di strumento finanziario, è pacificamente da considerarsi alla stregua di un prodotto finanziario».
124 Tali sovrapposizioni possono derivare altresì dalla struttura ed impostazione simili delle due normative europee. Sulla questione si è soffermato F. Annunziata, ibid., che ha ravvisato: «MiCAR represents an (almost perfect) homologue, in the sphere under discussion, of the MiFID discipline and, not by chance, shows affinities with the latter in its very title (and acronym): both, in fact, aim to regulate not products but their relevant markets. Ultimately, just as one does not expect to find in MiFID a regulation of individual financial instruments as such – specifically, shares, bonds, participative financial instruments, units of collective investment undertakings, emission allowances, derivatives etc. – similarly, one does not find a regulation of crypto-assets as such in MiCAR».
125 I security token posseggono praticamente tutte le caratteristiche di cui alla definizione di cripto-attività improntata dal MiCAR, come la rappresentazione digitale su tecnologia DLT, la trasferibilità mediante mercati digitali, l’emissione e circolazione decentralizzata e mediante il potenziale utilizzo di smart contract. La principale distinzione rispetto alle altre cripto-attività regolate da MiCA risiede nella funzione finanziaria: i security token rappresentano normalmente diritti finanziari tradizionali e risulta essere quindi assoggettati alla normativa MiFID II. Tale sovrapposizione può generare non poche incertezze, ma è solita emergere in casi limite, come ad esempio nel caso in cui l’asset all’emissione non fosse un token di sicurezza, ma ne assume le relative caratteristiche successivamente.
126 M. Pierro, Contributo all’individuazione della nozione di crypto asset e suoi riflessi nell’ordinamento tributario nazionale, in Rassegna Tributaria, n. 3, 2022, p. 579.
127 F. Mattassoglio, Le proposte europee in tema di crypto-assets e DLT. Prime prove di regolazione del mondo crypto o tentativo di tokenizzazione del mercato finanziario (ignorando bitcoin)?, in Rivista di Diritto Bancario, n. 2, 2021, p. 448.
128 F. Mattassoglio, Algoritmi e regolazione. Circa i limiti del principio di neutralità tecnologica, in Rivista della regolazione dei mercati, n. 2, 2018, pp. 226 e ss.
129 P. Leocani et al., Tecnologie di registro distribuito (distributed ledger technologies – blockchain) per la rappresentazione digitale di strumenti finanziari (security token): tra diritto cartolare e disciplina delle infrastrutture di mercato, in Rivista di Diritto Bancario, n. 2, 2022, p. 76.
130 Cfr. I. Sánchez Gil, ¿Tokens como valores negociables? La aplicabilidad del marco europeo del sector financiero a los criptoactivos (I token come titoli negoziabili? L’applicabilità del quadro normativo europeo del settore finanziario alle criptovalute), in Revista General de Derecho de los Sectores Regulados, vol. 11, 2023, p. 125, che ha ritenuto che tale normativa sposti l’onere di individuare la delimitazione tra le due discipline agli operatori privati, che saranno sottoposti ad un controllo ex post per effetto della responsabilità civile. Ne derivano pertanto effetti negativi sulla certezza del diritto.
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