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Le crypto-asset: Quadro regolamentare comunitario e nazionale aggiornato (Crypto assets: Updated EU and national regulatory framework)

Scritto da Emanuela Di Rauso • giu 2025

Sintesi

Il presente lavoro di ricerca attraverso una revisione attenta della letteratura accademica vuole rispondere seppur non ancora in maniera esaustiva, a causa dei pochi elementi presenti sull’argomento ad alcune criticità regolamentari sul quadro regolamentare comunitario e nazionale aggiornato delle crypto- asset in Italia. In modo particolare, passa per i seguenti elaborati, argomentazioni: Esamina il documento di consultazione OCSE sul crypto-asset unshell e i crypto-asset, il regime fiscale delle crypto attività, la tassazione IRPEF delle crypto attività, la tassazione delle crypto attività nel reddito d’impresa, territorialità dei redditi derivanti dalle crypto attività, criticità delle crypto attività nel reddito d’impresa fino ad arrivare alla fiscalità delle crypto attività in Italia e le recenti normative.

Abstract

This research paper through a careful review of the academic literature aims to respond, albeit not yet exhaustively, due to the few elements present on the subject to some critical regulatory issues on the updated EU and national regulatory framework of crypto-assets in Italy. In particular, it goes through the following papers, arguments: It examines the OECD consultation paper on crypto-assets unshell and crypto-assets, the tax regime of crypto assets, the IRPEF taxation of crypto assets, the taxation of crypto assets in business income, territoriality of income from crypto assets, criticalities of crypto assets in business income up to the taxation of crypto assets in Italy and recent regulations.

Contenuto

1. Metodologia, Criterio di Ricerca, Fonti e domanda di ricerca

La metodologia utilizzata per il seguente lavoro è la revisione sistemica della letteratura, prendendo in considerazione le fonti dall’anno 2021 ad oggi. Le banche date utilizzate sono: Juris, Researchgate, Scopus, Google Scholar. Inoltre, sono state prese in considerazione molti testi presenti presso la biblioteca dell’Università degli Studi della Campania ‘‘Luigi Vanvitelli’’. Le parole chiave di ricerca sono state: - Politiche fiscali verdi - Green taxes - imposte ambientali - SAD (Sussidi ambientalmente dannosi).

La revisione sistemica della letteratura è stata svolta in questo modo:

1) Raccolta degli articoli attraverso le banche dati;

2) Attenta analisi degli articoli;

3) Messa in evidenza tutte le componenti che forniscono una panoramica chiara per poter rispondere in modo esaustivo alle domande di ricerca poste nel corso del seguente lavoro


Le domande di ricerca poste sono le seguenti:

1) Come nasce, come viene regolamentato e come si pensa di evolvere la regolamentazione delle crypto-attività in Italia e non?

2) Quali sono e come si pensa di risolvere le criticità relative delle crypto-attività nel reddito d’impresa?

3) Come avviene e come si può migliorare la tassazione IRPEF delle crypto-attività?

Il lavoro attraverso una revisione attenta dei regolamenti già presenti, cerca di rispondere alle domande di ricerca e cerca inoltre di offrire “Possibili soluzioni” alla regolamentazione delle crypto-attività. Lo scopo di questo lavoro di ricerca è quello, infatti di trovare un’equa regolamentazione nell’ambito delle fiscalità delle crypto-attività, per ora in Italia; ma con lo scopo di estendere in futuro o almeno di utilizzare come margine di paragone anche la regolamentazione di altri Stati.


1.1. Introduzione

Per comprendere al meglio l’evoluzione dei crypto-asset, come sono nati e in che maniera si sono diffusi, può essere utile avere una prima impressione di cosa siano questi strumenti. Occorre, quindi, muovere i passi dalla definizione che nel 2019 ne ha dato Banca d’Italia: «il crypto-asset1 è un nuovo tipo di attività registrata in forma digitale e resa possibile dall’uso della crittografia che non è e non intende rappresentare un credito o un debito finanziario di un’entità identificabile. L’emergere dei crypto-asset è stato facilitato dalle tecnologie a registro distribuito (DLT). Una caratteristica distintiva è la mancanza di un credito o debito sottostante, cosa che rende estremamente volatili e speculativi questi asset». Gli aspetti caratteristici di questa tipologia di attività, dunque, sono il loro basarsi sulle Tecnologie a Registro Distribuito, di seguito DLT (dall’inglese Distributed Ledger Technology), e il loro non essere collegate ad un credito o ad un debito. Un ulteriore elemento importante nella definizione fornita, che ci permette di iniziare a delineare il percorso di nascita e sviluppo dei crypto-asset, è l’utilizzo della crittografia. L’idea iniziale degli strumenti crypto, infatti, viene diffusa tramite la mailing list di un sito di appassionati di crittografia (“The Cryptography Mailing List”). Nel 2008 viene inviato agli iscritti un documento in cui si propone una nuova modalità di gestione delle transazioni, firmato da un autore con lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto: “Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System”. Alla base del lavoro di Nakamoto c’è la volontà di creare un sistema di transazioni senza intermediari istituzionali o bancari, con una moneta decentralizzata, e che garantisca l’anonimato. Bisogna sottolineare, d’altronde, come la nascita dei Bitcoin avvenga durante il picco della crisi finanziaria del 2008, subito dopo il fallimento di Lehman&Brothers, un periodo in cui la fiducia verso il sistema bancario era messa a dura prova. Qualche mese dopo la diffusione del suo studio, nel gennaio 2009, Nakamoto ha rilasciato la prima piattaforma open-source, chiamata anch’essa Bitcoin, per le transazioni delle nuove criptovalute, coniando contestualmente un primo blocco di 50 Bitcoin. Il termine “coniare”, in realtà, non è propriamente corretto quando ci si riferisce a delle criptovalute. In luogo di “emettere” o “coniare”, legati alle monete tradizionali, in riferimento alle criptovalute si utilizza il termine mining (minare). Le criptovalute, infatti, si basano sulla memorizzazione delle transazioni finanziarie in una serie di banche dati pubbliche, denominate “blocchi”. Per garantire un’evoluzione del sistema, è necessario aggiungere costantemente nuovi blocchi per registrare nuove transazioni; la loro generazione è chiamata mining. I miner si occupano di trovare, tramite la risoluzione di algoritmi, il codice che permette il completamento di un blocco, venendo remunerati tramite criptovalute. Si stima che Satoshi Nakamoto abbia minato circa 1 milione di Bitcoin prima di abbandonare il progetto, lasciandolo a Gavin Andresen, da allora “volto pubblico” di Bitcoin. Vengono riassunte di seguito le tappe principali che hanno costituito il percorso di questa criptovaluta:

- maggio 2010 ha avuto luogo la prima transazione2 documentata in cui una criptovaluta è stata utilizzata come mezzo di pagamento, con l’acquisto di due pizze per 10.000 bitcoin (ad agosto 2022, effettuare lo stesso acquisto allo stesso prezzo vorrebbe dire pagare una cifra superiore ad un miliardo di euro per una pizza);

  • a febbraio del 2011 viene raggiunta la parità di cambio tra Bitcoin e Dollaro U.S.A.; nel giugno 2011 VISA e PayPal bloccano i pagamenti alla piattaforma WikiLeaks che, in risposta, annuncia l'intenzione di accettare donazioni sotto forma di bitcoin;

  • nell'ottobre 2013 il Federal Bureau of Investigation arresta il creatore del marketplace “Silk Road”, all’interno del quale venivano venduti beni e servizi illegali in cambio di criptovalute, confiscando e mettendo all’asta 144mila Bitcoin, diffondendoli così tra un pubblico più ampio;

  • nel febbraio 2014, Mt. Gox, la più grande piattaforma di scambio di Bitcoin dell'epoca (il 70% di tutto il trading di Bitcoin avveniva qui), ha presentato istanza di fallimento a Tokyo, dopo aver apparentemente perso 850 mila Bitcoin;

  • l 17 dicembre 2017 il Bitcoin raggiunge il valore di 20 mila dollari, facendo crescere l’interesse e l’entusiasmo del pubblico verso la moneta digitale; dopo una così rapida ascesa di valore, avvenne il cosiddetto “Great Bitcoin Crash”:

  • il 22 dicembre 2017, il Bitcoin perse il 45% del suo valore, dimostrando la sua elevata volatilità; all’inizio del 2018, la valuta perse un ulteriore 12% in seguito alle voci di una messa al bando del trading di criptovalute da parte del governo della Corea del Sud e a seguito del furto di Bitcoin subito da Coincheck (un mercato di criptovalute) per l’equivalente di 530 milioni di dollari da parte di un hacker;

  • il 7 marzo 2018, la maggiore borsa di scambio di criptovalute, Binance, annunciò l’irregolarità di alcune transazioni avvenute, bloccando le contrattazioni;

  • il prezzo del Bitcoin a novembre 2018 è circa di 5 mila dollari; nel 2020, l’avvento della Pandemia da Covid-19 ha segnato un punto cruciale nell’evoluzione del Bitcoin, che raggiunse livelli mai registrati in precedenza. L’effetto positivo della Pandemia sulle criptovalute è legato sia alle misure restrittive di contenimento che hanno costretto le persone a casa, con più tempo a disposizione per coltivare i propri interessi (tra cui anche il mondo crypto), sia ai sussidi concessi dai governi per alleviare le perdite subite, talvolta indirizzati anche a fasce della popolazione che non ne avevano bisogno e che hanno potuto impiegarli in altri modi. Questo “effetto Covid” sul Bitcoin può essere ben espresso da un dato: il mercato dei Bitcoin è passato da una capitalizzazione stimata di circa 100 miliardi di dollari a fine 2018, anno del “Great BitcoinCrash”, ad una capitalizzazione stimata di 1.000 miliardi di dollari a fine 2021, registrando il prezzo massimo di 64 mila dollari. Durante questa evoluzione, di cui sono state riportate in breve le tappe fondamentali, le autorità di regolamentazione di tutto il mondo hanno cominciato a studiare il Bitcoin, sia in qualità di valuta alternativa sia in qualità di asset, e a sviluppare dei primi tentativi di regolamentazione, attraverso l’analisi dei i suoi cicli di ascesa e crisi, al fine di proteggere gli investitori dalla grande volatilità che lo contraddistingue. Un lavoro pioneristico, in tal senso, è stato condotto dagli Stati Uniti, attraverso l’impegno congiunto della Securities and Exchange Commission (SEC) e della Commodities and Futures Trading Commission (CFTC). La valutazione effettuata dalle autorità americane, infatti, ha sancito come le criptovalute, in base al Commodity Exchange Act (CEA), debbano essere ricomprese nella stessa sfera delle commodities, ossia i beni di scambio, rientrando in questo modo nell’area di competenza della CFTC. Uno sforzo significativo, inoltre, è stato portato avanti dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti per combattere il fenomeno del riciclaggio di denaro e contrastare il finanziamento del terrorismo realizzati nell’anonimato delle criptovalute. I rischi di attività illecite perpetrati attraverso il mondo crypto, in realtà, sono stati segnalati anche da autorità europee, come riporta l’Unità per l’Informazione Finanziaria per l’Italia (UIF) della Banca d’Italia nella sua informativa “Utilizzo anomalo di valute virtuali”: “L’utilizzo delle valute virtuali può esporre a rischi di riciclaggio e finanziamento del terrorismo, come messo in evidenza da Autorità internazionali ed europee, quali il Gruppo d’Azione Finanziaria Internazionale (Financial Action Task Force, FATF), l’Autorità Bancaria Europea (European Banking Authority, EBA) e la Banca Centrale Europea (European Central Bank, ECB). Le operazioni effettuate con valute virtuali avvengono prevalentemente online, fra soggetti che possono operare in Stati diversi, spesso anche in Paesi o territori a rischio. Tali soggetti non sono facilmente individuabili ed è agevolato l’anonimato sia di coloro che operano in rete, sia dei reali beneficiari delle transazioni. I prestatori di attività funzionali all’utilizzo, allo scambio e alla conservazione di valute virtuali e alla loro conversione da/in valute aventi corso legale non sono, in quanto tali, destinatari della normativa antiriciclaggio e quindi non sono tenuti all’osservanza degli obblighi di adeguata verifica della clientela, registrazione dei dati e segnalazione delle operazioni sospette. Tale circostanza può rendere appetibile lo strumento virtuale per coloro che intendono porre in essere condotte criminali e non agevola le attività di prevenzione e contrasto”. Nonostante questo rischio, tuttavia, paesi come gli Stati Uniti, l’Italia, il Giappone e gli altri stati europei hanno scelto di non vietare le criptovalute e le loro transazioni. Continuano da parte delle autorità di queste nazioni, infatti, le attività di studio e controllo di questa innovazione. Una maggiore chiarezza normativa sullo status di questi strumenti, d’altra parte, ha contribuito a sviluppare un maggior interesse da parte dei risparmiatori e da parte delle istituzioni finanziarie private, che da un atteggiamento di ostruzionismo e sospetto iniziale hanno cominciato a studiare strategie e strumenti per entrare nel mercato tramite derivati, fondi indicizzati e altri mezzi. Questo sviluppo di un maggiore interesse, a seguito di una, seppur primordiale, regolamentazione da parte dei governi, ha generato la speranza e, sotto un certo punto di vista, l’aspettativa di una maturazione del settore, prevedendo una diminuzione della volatilità data da un maggiore volume di capitali3 e da un numero crescente di partecipanti. Peculiare e pioneristico, infine, è l’approccio di El Salvador. Il governo salvadoregno, infatti, ha deciso di considerare il Bitcoin come una moneta legale, affiancandola alla sua valuta sovrana. La decisione, tuttavia, ha portato il paese ad una crisi fiscale, aumentando il rischio di default. C’è da considerare, d’altronde, che un paese scarsamente sviluppato come El Salvador non presenta servizi relativi alla negoziazione di criptovalute; per tale ragione la circolazione dei Bitcoin è stata relativamente scarsa. Diversamente si è mossa, invece, la Cina che ha proceduto gradualmente a mettere fuori legge nel 2021 il Bitcoin, proponendo al suo posto una Central Bank Digital Currency (CBDC), la e-CNY o Digital Renminbi (digital RMB), soprannominata “Yuan Digitale”. Il CBDC è una valuta digitale emessa da una banca centrale, che differisce da una criptovaluta proprio per la sua natura centralizzata legata alla banca che la emette. Nonostante l’ipotesi di creare una valuta digitale nazionale fosse da tempo oggetto di analisi anche di altri paesi, la Cina è stata la prima nazione ad introdurla tramite la People’s Bank Of China (PBOC). La PBOC, d’altronde, è sempre stata all’avanguardia nello studio delle CBDC, avendo dato incarico già nel 2014 ad un comitato di esperti di studiare la possibilità di introdurre una valuta fiat digitale, analizzando le eventuali modalità di emissione e le tecnologie necessarie alla sua circolazione. A seguito delle valutazioni effettuate, all’inizio del 2016, la PBOC si è posta l’obiettivo ufficiale di lanciare una CBDC, visti i conseguenti possibili miglioramenti al sistema finanziario e dei pagamenti. Le valute fiat digitali4, infatti, dovrebbero eliminare i costi legati all’emissione, alla stampa e al trasporto e gestione delle banconote cartacee. Successivamente, i mercati delle criptovalute sono stati oggetto di una ingente speculazione, che ha visto una crescita esponenziale delle Initial Coin Offering (ICO), il metodo con cui le aziende raccolgono capitali tra il pubblico per finanziare un progetto (paragonabile all’Initial Public Offering). La PBOC, su questo fronte, si è mossa rapidamente vietando tutte le ICO nel settembre 2017, in modo che la sola valuta digitale a poter circolare fosse quella emessa o regolamentata dalla banca centrale cinese. A seguito di alcuni anni di lavoro e studio, anche in collaborazione con i principali attori del sistema finanziario, nell’aprile 2020 la PBOC ha annunciato l’avvio di un periodo di prova dello e-CNY in quattro città (Chengdou, Shenzhen, Suzhou e Xiong’an). Solo alcuni mesi dopo, a novembre 2020, il governatore della banca centrale Gang Yi dichiarò che erano già state effettuate 4 milioni di transazioni con la nuova moneta digitale, per un totale di 2 miliardi di Renmimbi (equivalenti a circa 300 milioni di Dollari). Successivamente, da gennaio 2022, l’applicazione di messagistica WeChat ha cominciato ad accettare pagamenti nella moneta digitale cinese, come anche il gigante dell’elettronica JD.com e quello del trasporto privato Didi Chuxing. Le Olimpiadi Invernali, svoltesi a Pechino nel febbraio del 2022, inoltre, hanno permesso alle autorità cinesi di verificare l’impatto della moneta digitale e-CNY anche sui visitatori stranieri, sia fornendogli l'applicazione mobile e le carte di pagamento, sia permettendogli di convertire le banconote straniere in e-CNY presso degli appositi sportelli automatizzati. La moneta convertita poteva essere, poi, spesa nei minimarket all'interno del Villaggio Olimpico e nei negozi delle stazioni ferroviarie vicine agli eventi sportivi. In contemporanea, la PBOC si adoperò affinché lo sviluppo della CBDC fosse in linea con le disposizioni di legge che disciplinavano la moneta nazionale. Lo sforzo della banca centrale portò, dunque, ad una revisione della “Legge della Banca Popolare Cinese”, a seguito della quale si introdusse la previsione per cui il Renmimbi potesse essere sia in forma fisica che in forma digitale.


1.2. Come nasce e come viene regolamentato il primo strumento crypto? “Le cryptovalute”, Cenni introduttivi

L’obiettivo è fornire una panoramica delle nuove norme, tenendo conto della recente prassi dell’Agenzia delle Entrate. Attraverso questo approfondimento, si intende agevolare la comprensione delle nuove regole che disciplinano la tassazione5 dei redditi delle cripto-attività, fornendo un contributo costruttivo al fine di facilitare la compliance da parte di contribuenti e operatori del settore. Difatti, molte questioni interpretative sono state affrontate dalla suddetta prassi, mentre altre restano ancora aperte e potrebbero beneficiare di ulteriori chiarimenti. Con l’introduzione della lettera c-sexies) al comma 1 dell’art. 67 del T.u.i.r., la Legge di Bilancio 2023 ha previsto una nuova tipologia di redditi diversi recante un regime di tassazione ad hoc per i redditi derivanti da cripto-attività, definite come “rappresentazione digitale di valore o di diritti che possono essere trasferiti e memorizzati elettronicamente, utilizzando la tecnologia di registro distribuito o una tecnologia analoga”. I successivi paragrafi riepilogano le principali disposizioni introdotte dal regime fiscale riservato alle cripto-attività. P. Mastellone (22 dicembre 2021), Redditi derivanti da operazioni in criptovalute: profili di fiscalità sostanziale e adempimenti dichiarativi a carico dei contribuenti, in Rivista Telematica di Diritto Tributario, Pacini Giuridica.


1.3. Il regime fiscale delle cripto-attività

Ai sensi della nuova lettera c-sexies) dell’art. 67, comma 1 del T.u.i.r., le plusvalenze e gli altri proventi realizzati mediante il rimborso, la cessione a titolo oneroso, la permuta o la detenzione di cripto attività, comunque denominate, non inferiori a Euro 2.000 nel periodo d’imposta, configurano redditi diversi e sono assoggettati a tassazione con aliquota del 26%. Le eventuali minusvalenze eccedenti Euro 2.000 possono essere compensate con le relative plusvalenze e riportate entro i quattro periodi d’imposta successivi. Analogamente, le minusvalenze realizzate prima dell’entrata in vigore della Legge di Bilancio 2023 possono essere compensate e riportate in avanti. In relazione alle operazioni di permuta tra cripto-attività, il regime prevede che “non costituisce una fattispecie fiscalmente rilevante la permuta tra cripto-attività aventi eguali caratteristiche e funzioni”.


1.4. La tassazione IRPEF delle crypto attività

Ai sensi del nuovo comma 3-bis) dell’art. 110 del T.u.i.r., i componenti positivi e negativi che risultano dalla valutazione delle cripto-attività, non concorrono alla formazione del reddito d’impresa ai fini delle imposte dirette, a prescindere dall’imputazione al conto economico. In deroga alle disposizioni generali che regolano la determinazione del reddito d’impresa, dunque, tutti i fenomeni valutativi riguardanti le cripto-attività sono fiscalmente irrilevanti, indipendentemente dalle modalità con cui tali asset sono iscritti in bilancio e dalla rilevazione a conto economico dei componenti (positivi o negativi) conseguenti alla loro valutazione (con conseguente interessamento del quadro RV per gestire i due distinti valori).


1.5. La tassazione delle cripto-attività nel reddito d’impresa

Come anticipato, la novella ha inserito all’art. 110 del T.u.i.r. il comma 3-bis), il quale dispone che “In deroga alle norme degli articoli precedenti del presente capo e ai commi da 1 a 1-ter del presente articolo, non concorrono alla formazione del reddito i componenti positivi e negativi che risultano dalla valutazione delle cripto-attività alla data di chiusura del periodo di imposta a prescindere dall’imputazione al conto economico”. A tal riguardo, la Relazione illustrativa precisa che «nel momento in cui le cripto-attività sono permutate con altri beni (incluse altre cripto-attività) o cedute in cambio di moneta avente corso legale, la differenza6 tra il corrispettivo incassato e il valore fiscale concorre alla formazione del reddito di periodo». A tal riguardo, non sembra chiaro come differenziare le tipologie di cripto-attività, considerato che l’unica definizione di cripto-attività è quella, piuttosto ampia, fornita dell’art. 67 del T.u.i.r. e mutuata dal regolamento Micar. In particolare, si riscontra l’assenza di una disciplina relativa ad alcune fattispecie che ruotano intorno alla fiscalità dei soggetti imprenditori, come quelle connesse al realizzo o alle operazioni su derivati, la cui disciplina dovrebbe, anche per le cripto-attività, essere rinvenuta nell’art. 112 T.u.i.r. Infine, ad integrazione e completamento di quanto fatto dal legislatore tributario, sembra importante che chiarimenti vengano forniti anche dal punto di vista contabile.


2. Criticità delle crypto-attività nel reddito d'impresa

Come anticipato, la novella ha inserito all’art. 110 del T.u.i.r. il comma 3-bis), il quale dispone che “In deroga alle norme degli articoli precedenti del presente capo e ai commi da 1 a 1-ter del presente articolo, non concorrono alla formazione del reddito i componenti positivi e negativi che risultano dalla valutazione delle cripto-attività alla data di chiusura del periodo di imposta a prescindere dall’imputazione al conto economico”. A tal riguardo, la Relazione illustrativa precisa che «nel momento in cui le cripto-attività sono permutate con altri beni (incluse altre cripto-attività) o cedute in cambio di moneta avente corso legale, la differenza tra il corrispettivo incassato e il valore fiscale concorre alla formazione del reddito di periodo». A tal riguardo, non sembra chiaro come differenziare le tipologie di cripto-attività, considerato che l’unica definizione di cripto-attività è quella, piuttosto ampia, fornita dell’art. 67 del T.u.i.r. e mutuata dal Regolamento7 Micar. In particolare, si riscontra l’assenza di una disciplina relativa ad alcune fattispecie che ruotano intorno alla fiscalità dei soggetti imprenditori, come quelle connesse al realizzo o alle operazioni su derivati, la cui disciplina dovrebbe, anche per le cripto-attività, essere rinvenuta nell’art. 112 T.u.i.r. Infine, ad integrazione e completamento di quanto fatto dal legislatore tributario, sembra importante che chiarimenti vengano forniti anche dal punto di vista contabile.

2.1. Territorialità dei redditi derivanti dalle crypto-attività

La Circolare ha indicato quali siano i principi di territorialità rilevanti per i redditi derivanti dalle cripto-attività, ritenendo applicabili quelli previsti per i redditi diversi dall’art. 23 del T.u.i.r. A tal fine, la Circolare considera prodotti in Italia i redditi derivanti da cripto-attività le cui chiavi di acceso siano: (i) detenute presso un prestatore di servizi residente in Italia o presso la stabile organizzazione in Italia di prestatori non residenti; (ii) oggetto di stabile rapporto con un intermediario finanziario in Italia o presso la stabile organizzazione di intermediari non residenti. Inoltre, viene specificato che, in caso di intermediari residenti in uno Stato Membro ed iscritti all’OAM, il reddito non si considera prodotto in Italia a condizione che le cripto-attività non siano detenute attraverso la stabile organizzazione in Italia di tale soggetto. Se le chiavi sono detenute direttamente dal contribuente (ad esempio tramite chiavette USB), il reddito si considera prodotto in Italia se il supporto di archiviazione si trova nel territorio dello Stato, localizzazione in Italia che è da presumere se il soggetto che lo detiene è ivi residente. Resta ferma la facoltà del contribuente di provare l’effettivo luogo di localizzazione del supporto di archiviazione. Infine, gli stessi presupposti di territorialità devono essere adottati secondo la Circolare per l’individuazione dei redditi prodotti all’estero da parte dei neo-residenti in Italia (di cui al regime dell’art. 24-bis del T.u.i.r.). Tali chiarimenti sono utili ma la Circolare non affronta il caso in cui le cripto-attività siano detenute attraverso un c.d. “noncustodial hot wallet”, quale ad esempio un portafoglio online che non dispone di un archivio fisico (e.g., Metamask). In questo caso si ritiene che debbano trovare applicazione i principi sopra menzionati, che presumono la localizzazione del portafoglio in base alla residenza fiscale del soggetto detentore.

2.2. Fiscalità delle crypto-asset in Italia e le recenti normative

In questo capitolo verrà analizzato il regime fiscale previsto dall’ordinamento tributario8 italiano per i proventi da crypto-asset. Si anticipa come, non essendoci una normativa nazionale di riferimento, a sopperire alle mancanze del legislatore, che si è attivato solo recentemente con la presentazione del D.d.L. n. 2572 (D.d.L. Botto), è stata l’Agenzia delle Entrate con le sue risposte agli interpelli dei contribuenti. Bisogna, tuttavia, fare un’anticipazione ulteriore per dare ragione di questo paragrafo introduttivo sugli aspetti di fiscalità finanziaria e riguarda il diverso inquadramento da parte di Agenzia delle Entrate e D.d.L. Botto dei proventi da crypto-asset: l’Agenzia delle Entrate ricomprende questi tra i redditi diversi, mentre il disegno contiene l’esplicita previsione della loro appartenenza ai redditi di capitale. Si ritiene, dunque, utile fare un richiamo alle caratteristiche e al trattamento di queste due categorie reddituali. La tassazione dei redditi finanziari, ossia quelli di capitale e quelli diversi di natura finanziaria, è sempre stato un tema di dibattito. Il tema dell’opportunità o meno di tassare il risparmio e l’investimento, infatti, si pone su due diverse concezioni del reddito da assoggettare a tassazione. In dottrina, infatti, si individuano ai fini fiscali due tipologie di reddito: il reddito entrata, che prevede la concorrenza dei proventi finanziari alla formazione della base imponibile, e il reddito spesa, che pone il momento impositivo del risparmio al momento in cui questo è consumato. Nell’ordinamento tributario, inoltre, una delle questioni fondamentali riguarda la necessità o meno di mantenere separate le due classi reddituali. L’approccio attualmente applicato è frutto di due importanti tappe legislative: l’adozione del T.u.i.r. nel 1986 e le modifiche intervenute con il D.lgs. n. 461/1997. Tramite questi due testi, infatti, si è proceduto ad un riordino e ad un completamento della materia, prevedendo un’estensione dell’imponibilità a tutti i redditi derivanti dall’investimento finanziario. Su questo indirizzo, i redditi di capitale sono stati arricchiti da nuove fattispecie imponibili, con inoltre la previsione di una voce residuale in chiusura volta a ricomprendere nella categoria tutti i redditi non aleatori derivanti dall’impiego di capitale. Lo stesso approccio onnicomprensivo, d’altronde, è stato seguito nella riformulazione che lo stesso D.lgs. del 1997 ha fatto per i redditi di natura finanziaria. All’interno di questi, infatti, sono stati ricompresi: le plusvalenze da cessioni a titolo oneroso di titoli e strumenti finanziari non partecipativi; i differenziali positivi sui contratti derivati; ogni altra tipologia di plusvalenza finanziaria altrimenti non soggetta a tassazione.

L’approccio dell’ordinamento a queste due classi reddituali, dunque, da un lato segue il principio di onnicomprensività dell’imposizione sui proventi finanziari, mentre dall’altro distingue le due categorie di reddito. I redditi da capitale, dunque, sono ancorati al capitale in quanto loro fonte di produzione unitaria e statica, mentre i redditi diversi di natura finanziaria sono individuati come incrementi aleatori del patrimonio derivanti da un impiego dinamico del capitale. Si segnala come negli ordinamenti di impostazione anglosassone si segue un approccio unitario su questo tema, individuando un’unica classe reddituale omogenea senza distinzioni. I redditi di capitale sono individuati dall’art. 44 del T.u.i.r. che ne fornisce un elenco dettagliato. In linea generale, si può dire che i redditi di capitale sono quei proventi generati, al di fuori dell’attività di impresa, tramite l’impiego di denaro o altri beni. Bisogna differenziare, a questo punto, i redditi di capitale dai i redditi diversi di natura finanziaria, dal momento che i primi sono generati dal mero possesso di capitale e i secondi sono generati dalla negoziazione del capitale investito (plusvalenze e minusvalenze). L’elenco di voci appartenenti ai redditi di capitali fornito dall’art. 44 può essere suddiviso in tre categorie:

1) dividendi o, in via generale, utili derivanti da partecipazioni in società;

2) interessi e altri proventi derivanti da mutui e altri impieghi del capitale;

3) altri proventi finanziari:

i. rendite perpetue;

ii. compensi da fideiussioni e altre garanzie;

iii. redditi derivanti dalla gestione di patrimoni affidati da terzi;

iv. proventi da altri rapporti con oggetto l’impiego del capitale.

La determinazione dei redditi di capitale, le cui modalità sono stabilite dall’art. 45 del T.u.i.r., segue due principi: il principio di cassa e quello di tassazione al lordo. Nella composizione dei redditi da capitale, infatti, verranno considerati esclusivamente i proventi realizzati nel periodo d’imposta, non rilevando alcun credito maturato, e su questi non sarà possibile applicare alcuna deduzione. Per quel che riguarda la tassazione di questa classe reddituale, invece, sono previste diverse forme di imposizione. La prima è l’imposizione, per così dire, ordinaria, in cui i redditi di capitale concorrono alla formazione della base imponibile IRPEF e sono, dunque, soggetti all’applicazione delle relative aliquote progressive. Una seconda forma riguarda l’applicazione di un’imposta sostitutiva al 26%. Questa forma di tassazione sostitutiva è stata introdotta per incoraggiare il risparmio, in linea con quanto previsto dall’art. 47 della Costituzione: “la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito”. Ulteriori forme di imposizione sostitutiva, poi, sono quelle che prevedono l’applicazione di un’aliquota del 12,5% su determinati proventi (come gli interessi da titoli di Stato) o di un’aliquota del 20% sul risultato di forme di previdenza complementare. In queste forme di imposizione sostitutiva, l’aliquota può essere applicata sia dal contribuente in sede di dichiarazione, sia dagli intermediari, che opereranno da sostituti di imposta applicando una ritenuta alla fonte. Sul tema della tassazione dei redditi da capitale9 è necessario, per completezza di informazione, dare brevemente nozione dei regimi fiscali dei dividendi derivanti dal possesso di partecipazioni in società soggette all’IRES (come società per azioni o società in accomandita per azioni). Questi, infatti, saranno soggetti ad un’ampia esenzione in capo ai soggetti riceventi. La ragione di tale previsione risiede nella volontà di evitare una duplice imposizione sui dividendi distribuiti, che non sono deducibili dalla base imponibile delle società ai fini IRES. Per tale motivo, dunque, sono previsti i seguenti regimi di tassazione sui dividendi:

- se percepiti da persone fisiche, saranno reddito di capitale e soggetti all’imposta sostitutiva del 26%;

- se percepiti da un imprenditore individuale, formeranno il suo reddito d’impresa per il 58,14% del loro valore (stesso regime si applica se a percepire i dividendi è un socio di una società di persone commerciale);

- se percepiti da enti non commerciali, vengono considerati redditi di capitale e sono tassati nella loro interezza;

- se percepiti da soggetti IRES, godranno di un’esclusione da tassazione per il 95% (participation exemption).


Si analizza ora la categoria dei redditi diversi, nello specifico i redditi diversi di natura finanziaria. All’interno di questa categoria, come si anticipava in precedenza, sono ricomprese le plusvalenze e le minusvalenze derivanti dalla negoziazione del capitale investito. Il loro importo non è predeterminato e sono soggetti all’eventualità di essere anche negativi (le minusvalenze). Vi è la possibilità, in questo caso, di portare i redditi diversi di natura finanziaria negativi a riduzione dei redditi diversi del medesimo periodo d’imposta e viceversa; eventuali proventi negativi non utilizzati in compensazione potranno essere portati a nuovo non oltre il quarto periodo di imposta successivo. Le eventuali plusvalenze sono determinate effettuando la differenza tra quanto percepito e il valore originario di acquisizione. Il regime di tassazione applicato a questa classe di reddito è a discrezione dei contribuenti, tra quelli previsti dalla legge. I differenti proventi ricompresi all’interno dei redditi diversi di natura finanziaria sono individuati dall’art. 67 del T.u.i.r. e sono:

1. Le plusvalenze realizzate dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni qualificate (ossia partecipazioni o diritti di acquisizione di partecipazioni che garantiscono più del 2% o del 20% dei voti esercitabili in assemblea ordinaria o una partecipazione al capitale sociale superiore al 5% o al 25%);

2. Le plusvalenze registrate per la cessione a titolo oneroso di partecipazione non qualificate;

3. Le plusvalenze da cessione o rimborso di titoli non partecipativi, di metalli preziosi e di valute estere se derivano da depositi o da cessione a termine;

4. Le plusvalenze derivanti da contratti derivati o da cessione o chiusura di rapporti produttivi di redditi di capitale.

L’inquadramento giuridico, e di conseguenza il trattamento fiscale, dei crypto-asset è ancora soggetto a un elevato grado di incertezza e oggetto di studio e discussioni. Le tesi prevalenti riguardo le criptovalute, ad esempio, diffuse sia da ambienti accademici o istituti di ricerca che da organi pubblici, sono inclini a far rientrare questa tipologia di token ora nella classe delle valute estere, ora tra i beni materiali o immateriali, ora negli strumenti finanziari. Dal punto di vista fiscale, inoltre, da alcune voci è posto in dubbio se effettivamente le criptovalute siano soggette all’imposta sul reddito, non rientrando apparentemente in nessuna delle fattispecie imponibili previste dal T.u.i.r. Con riguardo agli altri token (utility token e security token), invece, l’opinione invalsa opta per valutarne la natura giuridica e il regime fiscale in relazione all’asset sottostante e ai rapporti contrattuali instaurati, non richiedendo dunque una regolamentazione specifica. Per tale ragione, infatti, questo capitolo si concentrerà in prevalenza sul trattamento delle criptovalute, analizzando, innanzitutto, la posizione dell’Agenzia delle Entrate e, poi, i progetti di intervento del legislatore. La decisione di cominciare con la posizione dell’Agenzia delle Entrate risiede nella mancanza di una legge nazionale che riporti la disciplina fiscale delle criptovalute. Tale lacuna, infatti, ha comportato per chi effettua operazioni in questo settore la necessità di richiedere chiarimenti all’Agenzia delle Entrate tramite un’istanza d’interpello. L’istanza d’interpello, in sintesi, garantisce al contribuente in procinto di compiere un’operazione fiscalmente rilevante di richiedere chiarimenti sull’interpretazione, l’applicazione o la disapplicazione delle norme che riguardano il suo caso specifico. Si ritiene, dunque, mancando una regolamentazione che abbia forza di legge a livello nazionale, che sia di sicuro valore analizzare l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate agli interpelli ricevuti. Il primo caso sottoposto all’Agenzia delle Entrate è stato presentato da una società intenzionata a svolgere, per conto terzi, operazioni di compravendita di Bitcoin. Nell’istanza di interpello si richiedevano lumi su quale fosse il corretto trattamento fiscale delle operazioni di acquisto e vendita di Bitcoin ai fini IVA, Ires e Irap. La risposta dell’Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione n. 72/E/2016 è così sintetizzabile: non essendoci una normativa nazionale, l’Agenzia delle Entrate pone il suo fondamento nella sentenza C-264/14 pronunciata in materia di IVA dalla Corte di Giustizia UE (CGUE). In tale sentenza, infatti, la CGUE ha individuato i Bitcoin come mezzo di pagamento e le operazioni realizzate mediante queste come operazioni finanziarie: “le operazioni relative a valute non tradizionali,10 vale a dire diverse dalle monete con valore liberatorio in uno o più paesi, costituiscono operazioni finanziarie in quanto tali valute siano state accettate dalle parti di una transazione quale mezzo di pagamento alternativo ai mezzi di pagamento legali e non abbiano altre finalità oltre a quella di un mezzo di pagamento è pacifico che la valuta virtuale «bitcoin» non abbia altre finalità oltre a quella di un mezzo di pagamento e che essa sia accettata a tal fine da alcuni operatori”. In completamento a tale interpretazione, inoltre, la CGUE aggiunge che le operazioni realizzate in criptovalute rientrano nelle operazioni “relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio” come indicate nella Direttiva IVA 2006/112/CE. Tale considerazione determina apparentemente il trattamento delle criptovalute come valute estere; approccio, come si vedrà, seguito anche dall’Agenzia delle Entrate. In base alla sentenza della CGUE, dunque, l’Agenzia delle Entrate ricomprende l’attività di compravendita per conto terzi di Bitcoin tra le attività rilevanti ai fini IVA, IRES e IRAP, con il requisito, tuttavia, che questa sia “svolta in modo professionale e abituale”. Risulta, dunque, come eventuali plusvalenze non siano rilevanti ai fini fiscali se generate da un’attività privata di trading e non da un’attività imprenditoriale; differenza, questa, di difficile identificazione non essendo sempre netti i confini tra le due. La Risoluzione n. 72/E/2016, infine, con riguardo ai soggetti che detengono Bitcoin “al di fuori dell’attività d’impresa”, ricorda come questi non siano soggetti all’imposta sul reddito in quanto “le operazioni a pronti (acquisti e vendite) di valuta non generano redditi imponibili mancando la finalità speculativa”. Come anticipato, dunque, l’Agenzia delle Entrate applica alle operazioni in criptovalute lo stesso trattamento previsto per le valute. La disciplina delle imposte sul reddito derivante da operazioni in criptovalute è arricchita dalla Risoluzione n. 956/39/2018. La suddetta, infatti, da un lato conferma la non rilevanza delle operazioni a pronti e l’applicazione dei principi che normano le valute tradizionali, dall’altro ricorda le previsioni del T.u.i.r. nella definizione dei redditi diversi con riguardo alle operazioni in valuta estera: “le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute estere rivenienti da depositi e conti correnti concorrono a formare il reddito a condizione che nel periodo d’imposta la giacenza dei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento sia superiore a cento milioni di lire per almeno sette giorni lavorativi continui”. L’Agenzia delle Entrate, basandosi su ciò, ricomprende tra i redditi diversi soggetti all’imposta sui redditi le plusvalenze realizzate sulle criptovalute solo se la valuta ceduta è stata detenuta in portafogli elettronici per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta e per un importo superiore a 51.645,69 € (l’equivalente odierno di 100 milioni di Lire). Due ulteriori elementi aggiuntivi, poi, sono stati introdotti dalla Risoluzione n. 788/2021. Basandosi sempre su quanto previsto dall’art. 67 del T.u.i.r., al comma 1-bis, infatti, l’Agenzia delle Entrate sancisce che, nella determinazione della plusvalenza derivante da prelievi da portafogli elettronici, è necessario “utilizzare il costo di acquisto considerando cedute per prime le valute acquisite in data più recente”. Non essendoci un prezzo11 ufficiale di riferimento per il cambio Bitcoin/Euro, inoltre, l’Agenzia delle Entrate disciplina che il costo d’acquisto sarà quello applicato dal sito su cui si è effettuato l’acquisto o, in mancanza di questo, sarà individuato nel prezzo applicato dal sito maggiormente utilizzato per le sue operazioni dal contribuente. La Risoluzione, infine, prevede che il reddito generato dalla compravendita di criptovalute “percepito da una persona fisica al di fuori dell'esercizio di attività d'impresa” sarà soggetto all’imposta sostitutiva del 26%, in base all’art. 5 del D.lgs. n. 461/1997. In base alle risposte agli interpelli analizzate, dunque, la posizione dell’Agenzia delle Entrate sul regime tributario da applicare alle operazioni in criptovalute realizzate al di fuori dell’attività di impresa sembrerebbe prevedere due diversi trattamenti fiscali in base alla tipologia dell’operazione:

operazione a “termine”: accordo di scambio, in un momento futuro, tra due valute a un tasso di cambio individuato al momento dell’operazione. I proventi generati sono sempre soggetti all’imposta sostitutiva ai fini IRPEF;

operazione a “pronti”: scambio immediato, all’attuale tasso di cambio, tra due valute. L’operazione è soggetta all’imposta sostitutiva ai fini IRPEF solo se sussistono i seguenti requisiti:

  • Le valute sono state prelevate da un portafoglio elettronico; per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta;

  • le valute hanno avuto una giacenza superiore a 51.645,69€.


Fino a qui si è tralasciato di analizzare il trattamento riservato ai contribuenti che esercitano un’attività di impresa legata alla compravendita di criptovalute. Per analizzare il trattamento riservato a questi, occorre richiamare gli elementi che configurano ai fini fiscali una serie di operazioni come esercizio di attività d’impresa. Riguardo tale argomento, l’art. 55 del T.u.i.r. equipara la definizione di attività di impresa con quella di impresa commerciale: “sono redditi d’impresa quelli che derivano dall’esercizio d’imprese commerciali”. Il medesimo articolo, poi, identica come attività di impresa “l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva” delle attività considerate dall’art. 2195 del Codice civile. È evidente, dunque, come la disciplina fiscale muova i suoi passi, su questo tema, dai principi civilistici, mutuando da questi l’idea di “impresa” come “impresa commerciale”; il T.u.i.r. non manca, tuttavia, di arricchire quanto previsto ai fini civili con un’espansione della definizione di impresa. L’art. 2195 del Codice civile, infatti, riporta tra le attività di impresa commerciale:

- l’attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi;

- l’attività intermediaria nella circolazione dei beni;

- l’attività di trasporto per terra, per acqua o per aria;

- l’attività bancaria o assicurativa; le attività ausiliarie alle precedenti.

L’art. 55 del T.u.i.r. ricomprende tali attività all’interno della definizione di attività di impresa ai fini fiscali “anche se non organizzate in forma di impresa”. Ai fini fiscali,12 dunque, vi possono essere imprenditori anche senza l’organizzazione in forma di impresa. Nonostante tale previsione, inoltre, il T.u.i.r. introduce anche un’ipotesi in cui è l’esistenza di un’organizzazione a qualificare un’attività come attività d’impresa. Saranno da ricomprendere tra i redditi d’impresa, infatti, anche “i redditi derivanti dall'esercizio di attività organizzate in forma d'impresa dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell'art. 2195 c.c.”. Si segnala come nel caso dei “servizi” vi sia un triplice trattamento, in base a se si tratti di produzione o prestazione di servizi e se tali attività siano svolte in maniera organizzata o non:

la produzione di servizi genera sempre reddito di impresa anche se non organizzata in forma di impresa;

la prestazione di servizi non compresi nell’art. 2195 del Codice civile genera reddito di impresa solo se organizzata in forma di impresa;

la prestazione di servizi non compresi nell’art. 2195 del Codice civile e non organizzata in forma di impresa è da considerare come attività di lavoro autonomo ai fini fiscali.

L’art. 55, infine, ricomprende tra le attività di impresa anche: l’allevamento di animali e la manipolazione, trasformazione e alienazione di prodotti ottenuti dalla coltivazione o dall’allevamento se superano i limiti previsti per le attività agricole dall’art. 32 del T.u.i.r.; l’esercizio delle attività sopra menzionate, pur se nei limiti ivi stabiliti, se i redditi derivanti spettino a società in nome collettivo, a società in accomandita semplice o a “stabili organizzazioni di persone fisiche non residenti esercenti attività di impresa”, lo sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni e altre acque interne. La tendenza per cui molte operazioni realizzate in criptovalute siano generalmente portate avanti da soggetti singoli con il proprio capitale in maniera non continuativa e scarsamente organizzata, non pregiudica l’esistenza di un’attività imprenditoriale. La qualifica di imprenditore, infatti, potrà essere derivata anche dal “compimento di un unico affare”, soprattutto qualora per sua natura e sua dimensione comporti la necessità di compiere “una serie coordinata di atti economici”. La Corte di Cassazione, inoltre, ha sancito come l’organizzazione dell’impresa non debba per forza concretarsi in “un apparato strumentale fisicamente percepibile, poiché quest’ultimo può ridursi al solo impiego di mezzi finanziari, sicché la qualifica di imprenditore va attribuita anche a chi utilizzi e coordini un proprio capitale per fini produttivi”. Le plusvalenze realizzate dai contribuenti che esercitano un’attività di impresa, in base ai requisiti analizzati finora, andranno ricompresi nei redditi di impresa ai fini IRPEF. Questi concorreranno, dunque, alla formazione degli scaglioni reddituali sui quali saranno applicate le aliquote progressive. Bisogna segnalare come, a seguito della loro rimodulazione da parte della Legge di Bilancio 2022, saranno introdotte nuovi scaglioni e aliquote a partire dalla dichiarazione da presentare nel 2023, sui redditi 2022:


Fino alla Dichiarazione 2022

Scaglioni Aliquote

Fino a 15.000 € 23%

15.001 – 28.000 € 27%

28.001 – 55.000 € 38%

55.001 – 75.000 € 41%

> 75.000 € 43%


Dalla Dichiarazione 2023

Scaglioni Aliquote

Fino a 15.000 € 23%

15.001 – 28.000 € 25%

28.001 – 50.000 € 35%

> 50.000 € 43%


In tema di attività di impresa, inoltre, bisogna segnalare la Risoluzione n. 14/2018, con cui l’Agenzia delle Entrate indica il trattamento fiscale della vendita di utility token da parte di una società, nello specifico in occasione di una Initial Coin Offering. L’Agenzia delle Entrate segnala come la cessione di utility token, «qualora sul piano contabile l’operazione sia rappresentata come una mera movimentazione finanziaria in applicazione dei corretti principi contabili», non assuma rilevanza fiscale né ai fine IRES, né ai fini IRAP. Fino a questo momento ci si è mossi in base alle posizioni assunte dall’Agenzia delle Entrate in risposta agli interpelli sottopostigli dai contribuenti. Come è normale, tuttavia, data la natura stessa dell’interpello, le risposte dell’Agenzia delle Entrate non hanno l’obiettivo di fissare una disciplina completa e di coprire tutte le fattispecie possibili in tema di operazioni con criptovalute. Per tale ragione, può essere utile in questa sede dare accenno delle “altre operazioni”, ossia quei casi che finora, non essendoci una normativa nazionale, non sono neanche mai stati direttamente trattati dall’Agenzia delle Entrate. Si riporta, in apertura, uno schema delle operazioni che verranno analizzate in questo paragrafo:

- scambio di criptovalute con altre criptovalute;

- ottenimento di criptovalute come compenso per il proprio lavoro;

- acquisto di beni o servizi mediante criptovalute;

- ricompense derivanti da attività di mining e di staking;

- acquisizione di criptovalute tramite airdrop e hard forks.


Tale lavoro, non volendo essere un’opera meramente elencativa, verrà portato avanti provando a prevedere un possibile trattamento di queste fattispecie, riprendendo anche quanto previsto dalle normative dei paesi analizzati nei capitoli precedenti qualora non sia possibile affidarsi esclusivamente sulle risposte date dall’Agenzia delle Entrate; il paese su cui ci si baserà maggiormente sarà la Germania, appartenendo sia il nostro che questo paese all’Unione Europea. Il trattamento fiscale della cessione di criptovalute in cambio di altre criptovalute si può trarre dalle regole fin qui analizzate fissate dall’Agenzia delle Entrate. Naturalmente, lo scambio di una valuta digitale con un’altra sarà fiscalmente rilevante esclusivamente se vi è la registrazione di una plusvalenza.

Nella determinazione della plusvalenza13 varranno il prezzo originario di acquisizione della criptovaluta ceduta e il valore attuale di mercato di quella ottenuta in cambio. Si pensi, ad esempio, al caso di un soggetto che cede un Bitcoin acquistato per 1.000 € e riceve in cambio una moneta Ether dal valore di 1.500 €, la differenza di 500 € sarà soggetta a tassazione. Le eventuali plusvalenze, dunque, potranno essere:

1. Soggette a imposta sostitutiva forfettaria del 26% qualora il contribuente le abbia registrate al di fuori di un’attività di impresa;

2. Ricomprese tra i redditi di impresa del contribuente che detiene le criptovalute in relazione ad un’attività di impresa e soggette all’IRPEF.


Con riguardo al pagamento di un lavoratore in criptovalute, queste possono essere ricomprese tra i compensi in natura. L’ordinamento fiscale italiano, infatti, prevede che qualsiasi compenso, in denaro o in natura, corrisposto a un dipendente residente in Italia sia trattato come reddito da lavoro dipendente soggetto a IRPEF. Nel caso in cui, dunque, i contribuenti siano pagati in criptovalute, tali importi costituiscono benefici in natura e sono inclusi nel calcolo del reddito da lavoro dipendente. La legge, inoltre, stabilisce una soglia di esenzione per i compensi in natura, tassabili esclusivamente se il loro importo supera i 258,23 €. L’importo soggetto a tassazione sarà il valore di mercato della criptovaluta al momento dell’ottenimento; questo sarà anche utilizzato come costo di acquisizione per determinare la creazione di una plusvalenza in caso di futura cessione. L’acquisto di beni o servizi tramite criptovalute non è apparentemente oggetto di trattazione né da parte di Autorità nazionali, né da parte della letteratura scientifica su cui fin qui si è basato il lavoro. Possiamo affidarci in questo caso a quanto previsto per la stessa operazione da parte della legislazione tedesca, facendo tuttavia dei doverosi distinguo. Per il sistema della Germania, infatti, le criptovalute sono considerate come private asset e un’operazione di acquisto di beni o servizi assumerà rilevanza fiscale esclusivamente se porta alla registrazione di una plusvalenza: sarà tassata esclusivamente la differenza positiva tra il costo a cui si è acquisita la criptovaluta e il valore del bene o del servizio acquistato. Dal lato italiano, se può mantenersi valido il presupposto di nascita di una plusvalenza per determinare una rilevanza fiscale, bisogna tuttavia ricordare come per il nostro sistema le criptovalute siano da considerare come valute estere. L’acquisto di beni o servizi denominati in Euro con valute estere, dunque, potrebbe configurarsi come un’operazione di cambio e l’eventuale plusvalenza realizzata potrebbe essere soggetta all’imposta sostitutiva del 26% esclusivamente nel caso in cui le valute abbiano avuto una giacenza superiore a 51.645,69 € per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta. Nel caso in cui non sussista tale requisito, la plusvalenza non è soggetta a tassazione. Anche per le operazioni di mining e staking, in assenza di indicazioni, si possono provare a fare solo delle supposizioni in base a quanto analizzato finora. Le ricompense da mining o da staking possono configurarsi, in linea generale, come reddito di impresa soggetto all’IRPEF. Tali operazioni, infatti, sono volte alla produzione di un bene e sono portate avanti tramite una necessaria organizzazione, seppur minima. Qualora, tuttavia, l’attività di mining e staking sia svolta in modo occasionale, il reddito derivante da tale attività potrà rientrare nella categoria dei redditi diversi ai fini IRPEF. Le ricompense da tali operazioni sono tassabili sulla base del loro valore di mercato. In linea generale, inoltre, le spese sostenute per le operazioni di mining e staking, ad esempio l’altro consumo di elettricità necessario, potranno essere deducibili. Quest’ultima ipotesi si fonda sul trattamento previsto per queste dal sistema tedesco. Non esistono indicazioni di sorta neanche per le criptovalute ricevute a seguito di airdrop o hard forks. Nonostante ciò, si può immaginare che le valute ottenute tramite airdrop gratuito, senza dunque il bisogno di compiere nessuna operazione, siano esentate da tassazione, come previsto in Germania; saranno tassate solo in caso di plusvalenza a seguito di cessione, con il valore di acquisizione inteso come il valore di mercato al momento dell’airdrop. Le criptovalute ottenute da airdrop a seguito del compimento di un’attività, invece, si presume che siano ricomprese tra i redditi diversi o i redditi di impresa ai fini IRPEF, a seconda che il contribuente li abbia ricevuti al di fuori di un’attività di impresa o meno. Per quel che riguarda l’ottenimento di criptovalute a seguito di hard forks, invece, si può sostenere che l’attribuzione al contribuente della criptovaluta nata dalla biforcazione derivi dall’abbandono della criptovaluta della blockchain14 originale. In base a questa interpretazione, dunque, l’operazione potrebbe configurarsi come un’operazione di scambio tra due criptovalute e seguire le regole previste per tale operazione. Un’eventuale plusvalenza registrata, dunque, sarà soggetta all’imposta sostitutiva del 26%, se l’operazione è portata avanti al di fuori di un’attività di impresa, o concorrerà alla formazione del reddito di impresa ai fini IRPEF, con l’applicazione delle aliquote progressive, se l’operazione è realizzata in un ambito di attività di impresa. Il 30 marzo 2022 è stato presentato al Senato della Repubblica il Disegno di Legge n. 2572, contenente “Disposizioni fiscali in materia di valute virtuali e disciplina degli obblighi antiriciclaggio”, anche denominato D.d.L. “Botto” dal nome della Senatrice Elena Botto che l’ha presentato. Il disegno, poi, ha continuato il suo iter legislativo con l’assegnazione, il 23 maggio, alla Commissione Finanze e Tesoro del Senato in sede redigente. La crisi del Governo Draghi, l’impossibilità di formare una nuova maggioranza e il conseguente scioglimento delle Camere hanno comportato lo stop dei lavori parlamentari, con il disegno di legge che risulta non ancora esaminato dalla Commissione. Nonostante la formazione di un nuovo Parlamento a seguito delle elezioni comporterà probabilmente l’abbandono di questo disegno di legge e un nuovo approccio alla materia, può essere comunque utile analizzare quanto fosse previsto dal D.d.L. “Botto” per avere alcune linee di indirizzo su quella che potrebbe essere l’iniziativa futura del legislatore. Il D.d.L. “Botto” si compone di due articoli: il primo introduce il riconoscimento fiscale delle valute virtuali attraverso una loro definizione unitaria e regola le previsioni in materia di antiriciclaggio; il secondo disciplina il trattamento fiscale delle criptovalute in modo da garantire ai soggetti coinvolti la possibilità di riferirsi ad un quadro normativo definito. Da segnalare, inoltre, come il disegno di legge si occupi delle criptovalute esclusivamente in relazione alle imposte sulle persone fisiche. Sul tema delle plusvalenze derivanti da valute virtuali, l’Agenzia delle Entrate aveva indicato l’applicazione di quanto previsto dal T.u.i.r. in materia di valute estere: concorrono a formare il reddito le plusvalenze generate da una cessione a pronti di valute estere la cui giacenza media per sette giorni lavorativi sia stata superiore a 51.645,69 €. L’Agenzia delle Entrate, come già riportato, nelle sue risposte, aveva ritenuto opportuno assimilare le criptovalute alle valute tradizionali estere. Ciò detto, il D.d.L. “Botto” non solo non abbandona questa impostazione, ma mira ad introdurla nella normativa fiscale nazionale attraverso una modifica dell’art. 67, al comma 1-ter del T.u.i.r. Il disegno integra detto comma prevedendo che: “le plusvalenze derivanti da operazioni che comportano il pagamento o la conversione in Euro o in valute estere di valute virtuali concorrono a formare il reddito a condizione che nel periodo d’imposta il controvalore in Euro delle valute virtuali complessivamente possedute dal contribuente, calcolato avendo riguardo al costo o al valore di acquisto soggetto a tassazione, sia superiore a 51.645,69 Euro per almeno sette giorni lavorativi continui”. Quella che sembra una normale conferma di ciò che aveva già previsto l’Agenzia delle Entrate, in realtà, ha al suo interno alcune novità. Viene, infatti, espressamente determinata la rilevanza fiscale, con riguardo alle valute virtuali, esclusivamente per le operazioni che comportano il pagamento o la conversione in Euro o in valute estere delle stesse. La portata innovativa di tale previsione risiede sia nell’esclusione dalla tassazione delle operazioni di scambio tra criptovalute che nel cambio del momento impositivo. Per le valute estere, infatti, il momento impositivo coincide con il prelievo; con questo D.d.L., invece, il momento impositivo per le valute virtuale coinciderebbe con il momento del pagamento o della loro conversione in altre valute. Ulteriore novità introdotta dal D.d.L. n. 2572 riguarda il superamento della soglia prevista per determinare la rilevanza fiscale delle valute virtuali. Essendo le criptovalute assimilate alle valute virtuali in base all’orientamento dell’Agenzia delle Entrate, infatti, la rilevanza fiscale di questa sussisteva se la loro giacenza superava i 51.645,69 € per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo di imposta. La difficoltà di tenere questo approccio anche in relazione alle valute virtuali risiede nell’elevata volatilità di queste. Mentre, infatti, il rapporto di cambio tra valute aventi corso legale non è soggetto a grandi oscillazioni ed è possibile che la giacenza di queste superi per un certo periodo di tempo continuato un valore indicato, le criptovalute sono soggette a fluttuazioni molto più intense e frequenti. Per loro natura, dunque, è difficile che superino in giacenza la soglia indicata per un periodo superiore a sette giorni continuativi, raggiungendo il presupposto di rilevanza. A tal proposito, il D.d.L. Botto prevede che per le valute virtuali il superamento della soglia non dovrà riguardare la giacenza ma il loro controvalore. Per far assumere rilevanza fiscale alle operazioni di pagamento o di conversione in Euro o in altre valute estere di valute digitali, dunque, è necessario che, nel periodo di imposta, il loro controvalore superi per almeno sette giorni lavorativi continui il valore di 51.645,69 €. Il controvalore delle valute virtuali, inoltre, in base al D.d.L., dovrà essere calcolato in base “al costo o al valore di acquisto soggetto a tassazione”. Qualora non siano documentati né il costo, né il valore di acquisto, il controvalore dev’essere calcolato in base all’ultimo cambio utilizzato dal contribuente nell’ultima operazione realizzata avente come oggetto le stesse valute virtuali; in mancanza anche di questo, si utilizzerà il tasso di cambio documentato dal contribuente all’inizio del periodo di imposta.


2.3. Risultati di ricerca e conclusioni

Nonostante i recenti sviluppi in Italia, prendendo in considerazione il Disegno di Legge n° 2572, intitolato “Disposizioni fiscali in materia di valute virtuali e disciplina degli obblighi antiriciclaggio”, dove il D.d.L. intende rispondere all’esigenza, ormai impellente, di disciplinare in modo più compiuto i profili tributari delle crypto-attività anche attraverso l’istituzione della sezione speciale dei registri dei cambiavalute dell’OAM disciplinato dall’art. 1785, comma 8-bis e 8-ter del D.lgs. n. 141 del 2010 e dal Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 13 gennaio 2022. Il Decreto prevede:

  1. L’utilizzo della valuta virtuale e dei servizi di portafoglio digitale sia riservato ai soggetti iscritti nella sezione speciale del registro e al possesso dei requisiti previsti dall’art. 17-bis, comma 2, del D.lgs. n. 141/2010 per i cambiavalute;

  2. La sede legale e quella amministrativa per i soggetti comunitari, la stabile organizzazione nel territorio della Repubblica;

  3. Inoltre il Decreto prevede che i soggetti prestatori di servizi soggetti all’iscrizione nella sezione speciale trasmettono trimestralmente all’OAM per via telematica i dati relativi alle operazioni di crypto-valute dei propri clienti.


È chiaro che l’esistenza di portafogli digitali prevede anche l’esistenza di titolari di essi ed espresso intervento di una normativa tributaria. Anche l’interpretazione dell’agenzia delle entrate è fondamentale in particolare la qualificazione delle crypto-valute15 come “Valute estere” risulti in linea con la prassi internazionale. Nel sostanziale vuoto normativo, l’Agenzia delle Entrate ha fatto propria tale lettura anche ai fini della disciplina sul monitoraggio fiscale. Tuttavia, nella pratica, nel quadro RW13 del modello Redditi non si prevede l’obbligo di compilare il campo “Codice Stato estero”, che individua il luogo di detenzione dell’attività dichiarata, stante la generale difficoltà di determinare l’esatta ubicazione delle cripto-valute. A riguardo, la mancanza di prassi omogenee a livello di singoli Stati comporta l’insorgere di situazioni dubbie, più marcate per gli Nft, per i quali esiste l’ulteriore complicazione di localizzare il token rispetto al suo sottostante e difettano indicazioni puntuali da parte dell’amministrazione finanziaria. Inoltre viene raccolta la precisazione contenuta negli interpelli n. 433/E e n.437/E perché in linea con il principio di territorialità formulato sulla residenza del service provider contenuto nel documento OCSE. Il seguente lavoro di ricerca riesce quindi a rispondere solo in parte alle domande di ricerca poste. Nei vari paragrafi si può dedurre anche la regolamentazione delle attività in termini di redditi d’impresa. Nel seguente paragrafo invece ci si sforza di dare un’interpretazione e quindi una soluzione di natura interpretativa circa le disposizioni fiscali in materia di valutazione virtuali e di disciplina degli obblighi antiriciclaggio. Si spera che nei prossimi lavori di ricerca si possono fornire maggiori delucidazioni regolamentati circa le crypto-valute che sono riconducibili ad una particolare giurisdizione poiché censite nel ledger che è privo di una territorialità definita.

1 N. Schmidt - J. Bernstein - S. Richter - L. Zarlenga (Eds.), “Taxation of Crypto Assets”. 2021, Wolters Kluwer.

2 D. Vidal-Tomás, “Transitions in the cryptocurrency market during the COVID19 pandemic: A network analysis”, 2021, Finance research letters.

3 Si veda A. Marinello, “Redditi di capitale e diversi di natura finanziaria”. 2020 G. Giappichelli Editore - Torino, pp. 26-69.

4 Si faccia riferimento a F. Gallio, G. Giora, “Criptovalute, NFT e altri assets digitali in attesa dell’inquadramento giuridico e fiscale” 2022. Commercialista telematico.

5 P. Mastellone, “Redditi derivanti da operazioni in criptovalute: profili di fiscalità sostanziale e adempimenti dichiarativi a carico dei contribuenti”. 2021 Rivista Telematica di Diritto Tributario. Pacini Giuridica.

6 Chohan - W. Usman, “Assessing the Differences in Bitcoin & Other Cryptocurrency Legality National Jurisdictions”, 2021 Economy.

7 Si faccia riferimento a T. Tomczak, “Crypto-assets and crypto-assets’ subcategories under MiCA Regulation”, Capital Markets Law Journal, 2021, Volume 17, Issue 3, pp. 365-382.

8 F. Tesauro, “Istituzioni di diritto tributario – Vol.2: Parte speciale”, 2020 UTET Giuridica.

9 Si veda V. Carlini, “nella finanza decentralizzata è boom di furti e riciclaggio”, 2022, Il Sole 24 Ore.

10 G. Chiap - J. Ranalli - R. Bianchi, Blockchain, “Tecnologia e applicazioni per il business”, 2019 Hoepli.

11 A. Cretarola e G. Talamanca. “A confidence-based model for asset and derivative prices in the Bitcoin market”. SSRN Eletronic Journal, 2017.

12 Chainalysis, “3 Common Blockchain Analysis Mistakes that Impede Cryptocurrency Investigations”, 2021.

13 Z. Bodie, A. Kane, A. Marcus “Essentials of Investments”, 2021 11° edizione, McGraw-Hill Education.

14 G. Comandini, “Da Zero alla Luna. Quando come e perché la Blockchain sta cambiando il mondo”, 2020, Palermo, Dario Flaccovio.

15 A. Galimberti, “Redditi cripto senza Quadro RW se la piattaforma è italiana”, 2022, Il Sole 24 Ore.