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Pubblicazione Anteprima 4 - 2024Articolo 3

Ancora sui profili di possibile incostituzionalità della tassazione per trasparenza dei soci accomandanti indipendentemente dalla percezione del reddito della società

Scritto da Rita Verde • nov 2024

Sintesi

Nel giudizio di impugnazione di un avviso di accertamento contenente maggiori imposte sul reddito dovute dal socio accomandante di una s.a.s., la Corte di Giustizia tributaria di primo grado di Udine ha ritenuto rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate per contrasto con gli artt. 3, 53 e 24 della Costituzione. Ad avviso della Corte, andrebbe verificato se la scelta del legislatore, per cui il reddito prodotto da una s.a.s. è reddito del socio accomandante “indipendentemente dalla percezione”, sia una scelta razionale e giustificata alla luce dei principi di uguaglianza, capacità contributiva e diritto di difesa.


PAROLE CHIAVE: imposte sui redditi, società di persone, tassazione per trasparenza, principi di uguaglianza, capacità contributiva e diritto di difesa

Abstract

In a judgment of appeal related to an assessment notice for higher direct taxes due by the limited partner member of a limited partnership, the Udine’s Court of Tax Justice of first instance found the questions of constitutional legitimacy raised to the articles 3, 53 and 24 of the Constitution be relevant and not manifestly unfounded. In the opinion of the Court, it would be necessary to verify whether the choice of the legislator, according to the income generated by a limited partnership is the income of the limited partner “regardless of perception” is a rational and justified choice in the light of the principles of equality, ability to pay and right of defence. . KEYWORDS: income tax, partnership, transparency taxation, principles of equality, ability to pay and right of defence.

Contenuto


Ancora sui profili di possibile incostituzionalità della tassazione per trasparenza dei soci accomandanti indipendentemente dalla percezione del reddito della società

di Rita Verde


In a judgment of appeal related to an assessment notice for higher direct taxes due by the limited partner member of a limited partnership, the Udine’s Court of Tax Justice of first instance found the questions of constitutional legitimacy raised to the articles 3, 53 and 24 of the Constitution be relevant and not manifestly unfounded. In the opinion of the Court, it would be necessary to verify whether the choice of the legislator, according to the income generated by a limited partnership is the income of the limited partner “regardless of perception” is a rational and justified choice in the light of the principles of equality, ability to pay and right of defence.


KEYWORDS: income tax, partnership, transparency taxation, principles of equality, ability to pay and right of defence.


Nel giudizio di impugnazione di un avviso di accertamento contenente maggiori imposte sul reddito dovute dal socio accomandante di una s.a.s., la Corte di Giustizia tributaria di primo grado di Udine ha ritenuto rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate per contrasto con gli artt. 3, 53 e 24 della Costituzione. Ad avviso della Corte, andrebbe verificato se la scelta del legislatore, per cui il reddito prodotto da una s.a.s. è reddito del socio accomandante “indipendentemente dalla percezione”, sia una scelta razionale e giustificata alla luce dei principi di uguaglianza, capacità contributiva e diritto di difesa.


PAROLE CHIAVE: imposte sui redditi, società di persone, tassazione per trasparenza, principi di uguaglianza, capacità contributiva e diritto di difesa


1. L'ordinanza

Con ordinanza del 2 novembre 2023, n. 244, la Corte di Giustizia tributaria di primo grado di Udine ha ritenuto rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità sollevate, con riferimento agli artt. 3, 53 e 24 Cost., nei confronti dell’art. 5, comma 1, del t.u.i.r., nella parte in cui attribuisce i redditi della società in accomandita semplice ai soci accomandanti “indipendentemente dalla percezione”. Per l’effetto la Corte di Giustizia di primo grado ha sospeso il giudizio fino all’esito del giudizio incidentale di costituzionalità, disponendo la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.

La controversia traeva origine dal giudizio promosso dal socio accomandante di una s.a.s., che aveva impugnato un avviso di accertamento per maggiori imposte sui redditi relative all’anno 2016 contestando la mancata percezione del reddito prodotto dalla società. Nello specifico, la Corte di Giustizia tributaria di primo grado ha ravvisato la possibile violazione dell’art. 3, comma 1, Cost. per la disparità di trattamento subita dal socio accomandante, la cui posizione è equiparata, sotto il profilo fiscale, a quella dei soci illimitatamente responsabili; e dell’art. 24, comma 2, Cost. perché il socio accomandante sarebbe stato leso nel suo diritto alla prova in giudizio, in quanto estraneo alla gestione e alla rappresentanza della s.a.s.

In punto di diritto, la Corte di Giustizia tributaria di Udine muove dalla premessa interpretativa che «a fronte di una normativa civilistica che vieta (solo) al socio accomandante di ingerirsi nell’amministrazione della società e limita i suoi poteri di controllo sull’amministrazione rispetto a quelli riconosciuti al socio non amministratore di altri tipi di società di persone, non può essere ritenuta esente da un sospetto di incostituzionalità una normativa fiscale che equipara ai fini delle imposte sui redditi il socio accomandante agli altri soci».


2. I precedenti della Corte costituzionale

Ciò che colpisce dell’ordinanza in commento è il percorso motivazionale seguito dalla Corte di Giustizia. Il caso di specie origina da una situazione nella quale il socio accomandante era totalmente estraneo alla vita della società stessa; il tema generale non è nuovo e la Corte costituzionale, nelle diverse occasioni in cui è stata chiamata ad affrontare il tema della legittimità costituzionale della tassazione per trasparenza dei redditi delle società di persone ex art. 5 del t.u.i.r., ha sempre dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni in tal senso sollevate. In attesa di una nuova pronuncia della Corte che ad oggi non risulta essere ancora arrivata, potrebbe essere utile richiamare i precedenti della Consulta al fine di verificare la possibilità di una pronuncia di accoglimento, anche se parziale.

La Corte di Giustizia di Udine, per sostenere l'asserita incostituzionalità dell’art 5, comma 1, del t.u.i.r., richiama l'ordinanza della Corte costituzionale n. 5 del 29 gennaio 1998, la quale prendeva le mosse da una pronuncia in cui si esaminavano i profili procedurali della trasparenza fiscale, in merito all'imputazione dei redditi delle società di persone a ciascun socio, indipendentemente dall’effettiva percezione. Nel caso di specie, la Commissione rimettente evidenziava che al socio accomandante veniva “denegata la legittimazione passiva nei giudizi inerenti al reddito della società medesima ai fini Ilor”, privandolo così della possibilità di contestare il reddito accertato nei confronti della società e, per l’effetto, il suo reddito di partecipazione. Per la Commissione, ciò avrebbe comportato la violazione dei principi costituzionali di capacità contributiva e di difesa. In quell’occasione la Consulta aveva ribadito la legittimità costituzionale dell’art. 5 dell’allora D.P.R. n. 597/1973 rilevando però che “al socio accomandante, privo di legittimazione processuale nel giudizio relativo all’accertamento del reddito societario ai fini dell’imposta Ilor, deve ritenersi sempre consentita, allorché gli sarà notificato l’accertamento del suo reddito personale, la possibilità di tutelare i suoi diritti, contestando anche nel merito l’accertamento del suo reddito di partecipazione nonostante l’intervenuta definitività dell’accertamento del reddito societario ai fini Ilor”.

Similmente, con la successiva ordinanza n. 53 del 6 marzo 2001, la Corte costituzionale aveva riaffermato la legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del t.u.i.r. Nel caso di specie, l’ordinanza muoveva da un caso in cui si discuteva l’imputazione pro quota ai soci di una s.a.s. del reddito societario, anche nel caso in cui il predetto reddito non fosse stato conseguito, perché illecitamente sottratto dagli amministratori. A sostegno della manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del t.u.i.r., la Corte aveva concluso che tale reddito dovesse comunque ritenersi effettivo, posto che la sua sottrazione avrebbe rappresentato una vicenda interna alla società senza incidere né sul momento genetico della produzione del reddito né sull’esistenza dello stesso. La mera produzione del reddito è stata ritenuta, in quell’occasione, condizione necessaria e sufficiente per configurare un reddito di partecipazione tassabile in capo a ciascun socio; d’altro canto, la diretta imputazione del reddito è stata ricostruita come la conseguenza logica immediata del principio accolto dal legislatore di “immedesimazione” esistente tra società a base personale e i singoli soci che la compongono, per cui non sarebbe configurabile una “soggettività distinta, separata o disgiunta” della società rispetto ai soci, i quali, sul piano tributario sono chiamati a contribuire alle spese pubbliche in relazione a un incremento patrimoniale realizzato per effetto di un’attività sociale rispetto alla quale hanno un onere e un potere di controllo che li pone giuridicamente in grado di essere a piena conoscenza del suddetto incremento. Si assiste così a una scissione tra attività produttiva del reddito e reddito stesso, che vengono imputati a due soggetti distinti: organizzazione societaria e soci; due eventi che si pongono in un rapporto di consequenzialità necessaria combinandosi in un’unica fattispecie giuridica complessa a cui consegue un unico effetto impositivo (cfr. P. BORIA, Il principio di trasparenza nella imposizione delle società di persone, Giuffrè, 1996).

Pertanto, sebbene in prima approssimazione la formulazione letterale dell’art. 5, comma 1, del t.u.i.r., potrebbe indurre a far ritenere che i redditi, imputati per trasparenza ai soci, siano redditi di esclusiva competenza della società e non dei soci, sotto un profilo impositivo la società di persone, in quanto tale, non ha alcuna disponibilità sugli utili risultanti a fine esercizio. E anche un’eventuale mancata distribuzione dell’utile ai soci resta ascrivibile soggettivamente al potere dispositivo di ciascun socio, il quale vanta in ogni caso il diritto a percepire gli utili societari.

Più recentemente, la legittimità costituzionale della tassazione per trasparenza dei redditi prodotti dalle società di persone è stata oggetto di un nuovo intervento della Corte costituzionale, sollecitato dalla Commissione tributaria provinciale di Genova con due ordinanze di analogo tenore, entrambe del 22 gennaio 2019. Con la sentenza 21 luglio 2020, n. 201, la Corte costituzionale ha, ancora una volta, riaffermato la legittimità costituzionale del meccanismo impositivo disciplinato dall’art. 5 del t.u.i.r. In tale circostanza, la Corte ha concluso che il meccanismo di imputazione per trasparenza ai soci dei redditi prodotti dalle società di persone avrebbe la funzione di rendere fiscalmente rilevante la disponibilità giuridica del reddito. In altri termini, sebbene il reddito prodotto dalla società di persone e non distribuito ai soci configuri, ad avviso della Corte, un reddito posseduto dalla società, in quanto è la società che pone in essere il presupposto d’imposta, quest’ultimo, tuttavia, viene attribuito in capo a ciascun socio per una fictio iuris, consistente nella qualificazione normativa per la quale alla disponibilità giuridica del reddito che il socio ha, in forza del suo diritto alla percezione degli utili ex art. 2262 c.c., si riconosce la stessa rilevanza giuridica che si attribuisce al possesso ai fini della titolarità dell’obbligazione tributaria (Cfr. S. ZAGA’, Le società semplici. Disciplina reddituale e forme di trasparenza fiscale, Giuffrè, 2023).

Anche in questo caso l’intervento della Corte costituzionale appare in una certa misura scontato, in quanto si limita a richiamare i propri precedenti. Risulta, però, particolarmente innovativo il passaggio della Consulta con riferimento ai particolari poteri di controllo di cui è dotato il socio accomandante rispetto all’andamento gestionale dell’attività societaria quale fondamento giustificativo dell’imputabilità a suo carico del reddito societario. In effetti, i soci accomandanti esercitano l’attività commerciale utilizzando la struttura societaria e accedono al beneficio della responsabilità limitata sul presupposto normativo che non siano amministratori né possano esserlo, concentrando il potere di gestione dell’impresa sociale in capo ai soli soci accomandatari. Come è noto, i soci accomandanti non possono compiere atti di amministrazione, né trattare o concludere affari in nome della società in forza del divieto di immistione; divieto al quale è strettamente correlato il beneficio della responsabilità limitata per le obbligazioni sociali. Il socio accomandante, però, può compiere, se l’atto costitutivo lo consente, ai sensi dell’art. 2320, comma 2 c.c., atti di ispezione e di sorveglianza e ha il diritto di avere comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite e di controllarne l’esattezza, consultando i libri e gli altri documenti della società. Dunque, ai soci esclusi dall’amministrazione si riconoscono comunque penetranti poteri di controllo (art. 2261 c.c.) articolati nel diritto di avere dagli amministratori notizia sullo svolgimento degli affari sociali, nel diritto di consultare i documenti relativi all’amministrazione e di acquisire il rendiconto nel momento in cui gli affari per cui è costituita la società sono stati compiuti. Il divieto di immistione degli accomandanti è stato, così, contemperato dal legislatore con il potere di controllo ad essi spettante che si materializza nel diritto indisponibile di avere comunicazione del bilancio e di controllarne l’esattezza, nonché nel diritto di impugnare giudizialmente il bilancio stesso (Cass. civ., Sez. I., sent. 20 aprile 1995, n. 4454).

Tirando le fila del discorso, quindi, la ratio dell’imposizione fiscale per trasparenza sarebbe pienamente sintonica e coerente con la normativa civilistica, in quanto è la situazione giuridica attiva sugli utili riservata ad ogni singolo socio a costituire il principale fondamento conciliativo della trasparenza fiscale.


3. L'accertamento dei redditi prodotti in forma associata e il diritto di difesa

Le argomentazioni della Corte di Giustizia tributaria di primo grado di Udine a sostegno della contestazione dell’accertamento individuale del socio accomandante per non aver percepito i maggiori redditi accertati in capo alla società, per effetto della sua necessaria estraneità nella gestione societaria, appaiono insoddisfacenti. In realtà, l’ordinanza in commento si concentra sull’assenza di una norma che preveda, già nella fase procedimentale, l’obbligo di coinvolgere tutti i soggetti interessati.

Come è noto, il procedimento impositivo mediante il quale si realizza il prelievo sui redditi prodotti in forma associata è caratterizzato da una fattispecie complessa, nella quale il reddito di partecipazione dei soci risulta determinato in misura pari a quello prodotto dalla società e viene ad essi imputato in proporzione alla quota di partecipazione degli utili.

Dalla riconducibilità in capo alla società degli obblighi strumentali di dichiarazione consegue che l’ente collettivo sia il soggetto destinatario della procedura di accertamento. Ai sensi dell’art. 40, comma 2, del D.P.R. n. 600/1973, all’accertamento del reddito realizzato dalla società̀ di cui all’art. 5 del t.u.i.r., si procede con un unico atto diretto alla società̀ ma i cui effetti si riflettono anche sulla determinazione del reddito di partecipazione dei singoli soci. Si tratta di un «peculiare modello d’accertamento fondato su una definizione del reddito societario non solo unitaria per società̀ e soci, quanto soprattutto contestuale, giacché destinata a compiersi solamente in questa sede con l’atto (cosiddetto accertamento unitario) indirizzato alla società» (Così A. CARINCI, L’accertamento nel regime di trasparenza delle società: responsabilità, garanzie e tutele per la società e per i soci, in Rass. trib., 2006, pp. 172 e ss.). L’accertamento unitario non contiene la liquidazione dell’imposta, in quanto non può valere come accertamento verso il socio, nei cui confronti si procede comunque con un autonomo atto di accertamento (parziale).

Il reddito imputato ai soci sul quale deve essere liquidata la relativa imposta è sempre e comunque quello realizzato dalla società e il principio di trasparenza assume rilievo anche nello svolgimento del procedimento di accertamento, atteso che la determinazione del maggior reddito imponibile, effettuata nei confronti della società, costituisce il presupposto dell’obbligazione tributaria in capo ai soci, con l’esigenza di assicurare l’effettività del diritto di difesa del socio al quale venga automaticamente imputato il maggior reddito determinato in capo alla società (in proposito, v. D. COPPA, Redditi prodotti in forma associata, in Rass. Trib., 2008, p. 414).

In tale prospettiva, numerosi sono stati gli interventi della giurisprudenza, anche costituzionale, che hanno inteso privilegiare l’esigenza di garantire il diritto di difesa del socio. La stessa Corte costituzionale (ord. 29 gennaio 1998, n. 5), con un intervento di interpretazione adeguatrice riferito specificatamente alla posizione del socio accomandante, ha chiarito, in linea di principio, come a tale socio spetti la legittimazione ad impugnare l’atto di accertamento che riguarda il proprio reddito da partecipazione, nonostante l’intervenuta definitività̀ dell’accertamento del reddito societario. La pronuncia, però, si riferisce ad un ricorso proposto secondo le regole processuali dettate dal D.P.R. n. 636/1972 e, quindi, in assenza di una specifica norma in tema di litisconsorzio necessario. In quella ordinanza, la suprema Corte pare compiere una rivalutazione delle esigenze proprie del diritto di difesa, ponendo al centro delle proprie argomentazioni l’autonomia della posizione del socio e sembra affermare che l’impugnazione investa solo “formalmente” il reddito societario ma, in realtà, sia strumentale ad impugnare la propria quota di reddito di partecipazione. E ancora, in presenza di tale imputazione automatica del reddito della società ai soci, la difesa di questi ultimi di fronte alla pretesa erariale deve necessariamente trovare uno spazio processuale per interloquire sulla determinazione del reddito della società, altrimenti la presunzione si risolverebbe in una palese violazione del diritto di difesa e del principio della tassazione in base alla capacità contributiva (cfr. M. BASILAVECCHIA, L’impugnazione del socio sana la nullità della notifica dell’avviso della società; in Riv. giur. trib., n. 2/2008).

Con la nota sentenza del 4 giugno 2008, n. 14815 le Sezioni unite della Cassazione, muovendo dalla premessa che quello dei redditi delle società di persone è un accertamento unico che «riguarda inscindibilmente una pluralità di soci», i quali devono essere parte nello stesso processo e che la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi perché non ha ad oggetto la singola posizione debitoria, ravvisano nelle relative controversie un ipotesi di litisconsorzio necessario che coinvolge società e soci (così anche Cass., ord. 16 febbraio 2023, n. 5007). Quanto alla inscindibilità dell’oggetto del ricorso, tale vincolo sussiste tutte le volte che la fattispecie costitutiva dell’obbligazione presenti elementi comuni a una pluralità di soggetti e siano proprio tali elementi ad essere posti a fondamento dell’impugnazione proposta da uno dei soggetti. La peculiarità della fattispecie del litisconsorzio tributario si giustifica, quindi, sul piano costituzionale quale espressione dei principi di cui agli artt. 3 e 53 della Costituzione, perché è funzionale alla parità di trattamento dei coobbligati e al rispetto della loro capacità contributiva (Cass., sentt. 18 gennaio 2007, n. 1052, e 16 aprile 2024, n. 10270). L’unitarietà dell’atto di accertamento emesso nei confronti della società e la consequenzialità del riparto tra i soci del reddito accertato in capo alla società costituiscono il presupposto che determina di per sé una situazione di litisconsorzio necessario, al fine di consentire, con pienezza di contraddittorio, la verifica in concreto del presupposto impositivo (cfr. Corte di Giustizia tributaria di II grado del Lazio, sent. 20 ottobre 2022, n. 4568).

In proposito, si rileva, altresì, interessante contestualizzare l’analisi della fattispecie in esame tenendo conto dell’evoluzione che sta attraversando il nostro ordinamento tributario sul tema del contraddittorio endoprocedimentale e sulla necessità di ricondurre ad unità un istituto che, fino ad oggi, ha formato oggetto di previsioni isolate.

Tale esigenza è ravvisabile nell’ordinanza in commento nella parte in cui ravvisa la mancata possibilità di contestare il reddito accertato in capo alla società e, di conseguenza, in capo al socio accomandante, per l’assenza di contraddittorio in una fase che preceda l’emissione dell’avviso di accertamento. Sul tema si era recentemente pronunciata, come noto, la stessa Corte costituzionale (sent. 21 marzo 2023 n. 43), evidenziando l’importanza di introdurre nell’ordinamento interno una previsione generale che consentisse sia un’interlocuzione preventiva con il contribuente sia il superamento della disarmonia esistente, sotto questo profilo, tra sistema tributario interno e principi fondamentali del diritto europeo (v. A. COLLI VIGNARELLI, Anche la Corte costituzionale [sent. 21 marzo 2023] si esprime sull’essenzialità del contraddittorio endoprocedimentale [in nuce della recente delega fiscale] in Riv. tel. dir. trib., 29 aprile 2023). Il contraddittorio endoprocedimentale rappresenterebbe, nell’impostazione della Corte costituzionale, principio diretto a tutelare il diritto di difesa del contribuente e a far emergere elementi idonei a contestare i presupposti dell'accertamento fiscale. In particolare, la Corte riprende il suo precedente orientamento riconoscendo al contraddittorio anticipato un ruolo centrale quale espressione e declinazione del principio del “giusto procedimento” e di buona amministrazione, in virtù del quale si riconosce ai soggetti privati destinatari di un atto lesivo il diritto di beneficiare di un termine congruo per poter esporre le proprie ragioni in merito agli elementi sui quali l’Amministrazione finanziaria intende fondare le proprie decisioni. Il contraddittorio endoprocedimentale, da un lato, persegue lo scopo di ottimizzare il controllo fiscale risultando, così, strumentale al buon andamento dell’amministrazione, dall’altro, garantisce il diritto di difesa del contribuente, permettendogli di neutralizzare, sin dalla fase amministrativa, eventuali errori.

In tale prospettiva, il d.lgs. 30 dicembre 2023, n. 219 contenente le modifiche allo Statuto dei diritti del contribuente, ha previsto all’art. 6-bis, principio del contraddittorio»), una disposizione ad hoc finalizzata a garantire una tutela maggiore dei soggetti interessati mediante l’applicazione generalizzata del diritto al contraddittorio, inteso quale diritto del soggetto ad essere sentito prima dell’adozione di un atto che incida sfavorevolmente sulla sua sfera giuridica. Tale principio consente, da un lato, di aprire una “finestra” attraverso la quale completare la fase istruttoria e predecisoria mediante l’acquisizione di informazioni e, dall’altro, rafforza, ancor di più, il diritto di difesa del soggetto interessato (in proposito, cfr. L. CARPENTIERI, Il contraddittorio obbligatorio, in La riforma fiscale – i diritti e i procedimenti – Vol. II, (a cura di) A. GIOVANNINI, Pacini Giuridica, 2024, pp. 27 e ss.). Tuttavia, il decreto attuativo del 24 aprile 2024, all’art. 2, comma 1, lett. b), ha escluso dall’ambito di applicazione del contraddittorio endoprocedimentale proprio, tra gli altri, gli accertamenti parziali tipicamente emessi nei confronti dei soci della società di persone. Dunque, nonostante le intenzioni del legislatore della legge delega all’affermazione del contraddittorio quale principio di generalizzata applicazione, il perimetro di tale istituto risulta tuttora circoscritto, con il rischio di una contrazione del diritto di difesa proprio per i soci – e soprattutto i soci accomandanti – delle società di persone.


4. Considerazioni conclusive

Dall’ordinanza in commento e dalla giurisprudenza conforme della Corte costituzionale, appare infondato paventare dubbi di legittimità costituzionale con riferimento al principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost. in quanto il solo possesso della quota partecipativa attribuisce a ciascun socio (anche accomandante) la titolarità del diritto di credito a percepire la sua parte di utile prodotto dalla società.

Inoltre, l’asserita unicità dell’atto di accertamento emesso nei confronti dei soci e la consequenzialità del riparto tra i soci del reddito accertato in capo alla società costituiscono il presupposto unitario che determina il litisconsorzio necessario, quale opzione idonea a garantire la parità di trattamento e l’equa ripartizione del carico impositivo correlato ad una materia imponibile comune a più soggetti, espressione dei principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 53 Cost.

Eventuali criticità attengono semmai alla disparità di trattamento legata a un’applicazione circoscritta del principio di contraddittorio endoprocedimentale, posto che il contribuente dovrebbe essere sempre messo nella condizione di difendersi nei confronti della pretesa tributaria. L’applicazione generalizzata del contraddittorio endoprocedimentale agli accertamenti parziali emessi nei confronti dei soci delle società di persone avrebbe potuto, dunque, realizzare l’inalienabile diritto di difesa del socio accomandante presidiato dall’art. 24 Cost.


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