Scritto da Emanuela Di Rauso • dic 2020
Il caso Uber ci fa capire il rapporto sussistente fra diritto, mercato e tecnologia, rappresentando un concetto dell’obsolescenza delle regole giuridiche rispetto all’evoluzione dei mercati e della tecnologia. Il mercato è in grado di evidenziare carenze e inadeguatezze della regolazione. Ed è il diritto che ha il compito di colmare tali lacune e risolvere dette debolezze. Anche la tecnologia, come il mercato, è strettamente correlata al diritto. Un rapporto messo in chiaro dalla Sharing Economy detta anche economia della condivisione o collaborativa.
È molto importante analizzare i problemi della Sharing Economy riguardanti l’Uber. Ciò per almeno tre ordini di ragioni:
Perché il gruppo Uber rappresenta il più rilevante operatore economico riconducibile alla Sharing Economy;
Per la peculiarità del terreno di competizione in cui la stessa impresa opera, rappresentando la mobilità urbana non di linea un mercato dovunque regolato;
In quanto il suo ingresso nel mercato ha sollevato, pressoché ovunque, problematiche giuridiche attinenti alla natura dei servizi resi e al rispetto delle regole già applicabili ai vettori tradizionali
La Sharing Economy “à la Uber” racchiude: apps, communities, algoritmi e meccanismi di feedback. L’economia collaborativa o della condivisione, presenta una forte connotazione tecnologica, trattandosi, come già rilevato, di un sistema economico nel quale beni e servizi sono condivisi fra privati «tipicamente attraverso internet». L’accesso temporaneo a beni e servizi avviene attraverso internet. L’intermediazione fra domanda e offerta di beni e servizi opera mediante internet. L’incontro (fisico o virtuale che sia) fra i privati e, dunque, la condivisione di beni e servizi avvengono, anch’essi, in quanto esiste internet. E gli operatori economici della share condividono naturalmente questa connotazione. Uber, fornisce una app agli utenti; crea una community; individua le preferenze degli iscritti e conforma le proprie azioni in base ad esse, determinando i prezzi; presenta meccanismi reputazionali che consentono ai suoi iscritti di valutarsi reciprocamente e stimare la credibilità di ciascun membro all’interno della comunità.
Questo modello, fortemente innovativo, è molto diverso rispetto alle modalità con cui i servizi di mobilità urbana non di linea vengono tradizionalmente erogati. E questa diversità, unita certamente agli interessi economici propri di ciascuna categoria, rende sempre più distanti le categorie professionali tradizionali dal nuovo gruppo economico, mondi, questi, che appaiono ad oggi inconciliabili e del tutto incapaci di comunicare. Il diritto statunitense merita, in relazione al caso Uber, un riguardo particolare.
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