Scritto da Mercedes Guarini • mar 2024
Partendo dalla individuazione della fattispecie società a partecipazione mista pubblico-privata viene sottolineata la necessità di differenziare tali società dalle società “miste” in cui la “scelta” del socio privato, e conseguentemente il particolare ruolo da attribuire allo stesso nella governance, non sia da considerare elemento qualificante della fattispecie. In tale prospettiva, si esclude che le società a partecipazione mista pubblico-privata, seppur con partecipazione pubblica maggioritaria, debbano necessariamente ascriversi tra le società a controllo pubblico.
After analysing the identifying elements of the Institutionalised public-private partnership (PPPI) and differing this corporate type from that one in which the peculiarities of the private shareholder’s participation doesn’t characterized the type of this corporate, the paper excludes that majority public participation always qualifies the Institutionalised public-private partnership as a publicly controlled company.
1.
Il Testo unico delle società partecipate (di seguito T.u.s.p.)1 non definisce le società a partecipazione mista pubblico-privata.2 Il termine è invero utilizzato dal T.u.s.p. nell’art. 17; articolo richiamato (quanto al procedimento da rispettare per la scelta del socio privato)3 dalla lett. c) dell’art. 4 T.u.s.p. che, a sua volta, individua quali possibili attività (da affidare alla società aggiudicataria), quelle volte “alla realizzazione e gestione di un’opera pubblica ovvero all’“organizzazione” e “gestione” di un servizio d’interesse generale”.4 La citata norma sembrerebbe riferirsi alle ben note ipotesi delle società miste affidatarie di “appalti” o “concessioni” con procedura della c.d. gara a doppio oggetto e, sicuramente, rappresenta una disposizione innovativa perché introduce una disciplina di carattere generale per tali società.5 L’affidamento a società a partecipazione mista pubblico-privata (il cui socio sia appunto individuato secondo la procedura dell’art. 17 T.u.s.p.) viene poi individuato quale una delle “modalità” di gestione del servizio pubblico locale che gli Enti locali (e gli altri enti competenti) possono scegliere per organizzare servizi pubblici locali che si ritengano da affidare (a un singolo operatore o a un numero limitato di operatori)6 nel rispetto del diritto dell’Unione europea.7 In assenza di una norma “definitoria”, il primo problema attiene, dunque, all’individuazione degli elementi “caratterizzanti” la fattispecie società a partecipazione mista pubblico-privata e, conseguentemente, dell’àmbito applicativo della disciplina che si rinviene nel citato art. 17 del T.u.s.p.8 Prendendo in prestito una terminologia già utilizzata occorre differenziare: le società a partecipazione mista pubblico-privata (di seguito società miste o anche società miste stricto sensu) in cui la scelta del socio privato avvenga, attraverso la procedura ad evidenza pubblica della c.d. gara a doppio oggetto, per le sue “qualità” ai fini dell’esecuzione dell’opera o del servizio;9 le “altre” società miste (di seguito società miste in “senso lato” o a partecipazione mista) quelle in cui la selezione del soggetto privato avviene al fine di consentire un mero investimento di capitale.10 Del resto, l’art. 7 del Testo unico, nel richiedere l’evidenza pubblica nel caso in cui l’atto costitutivo preveda la partecipazione di soci privati, solleva quanto meno il dubbio che la disciplina, di cui al citato art. 17, sia stata pensata dal legislatore non per tutte le società in cui via sia una coabitazione di soci pubblici e soci privati. Tali società sono state tradizionalmente ricondotte all’unica ipotesi del c.d. partenariato istituzionalizzato per differenziarlo dalle diverse “fattispecie” riconducibili invece al partenariato c.d. “contrattuale”; 11disciplina questa del partenariato pubblico-privato (per il raggiungimento di un risultato di interesse pubblico) oggetto di un’importante rivisitazione da parte del nuovo codice dei contratti pubblici;12 codice che ha, altresì, rivoluzionato in generale lo stesso diritto dei contratti pubblici.13 Chiaramente recependo le indicazioni provenienti dalla Commissione europea,14 quale elemento distintivo unitario di tutta la categoria del partenariato, si individua il rapporto (necessariamente di lungo periodo) che deve intercorrere tra il partner privato che (secondo quanto riportato dalla Relazione al nuovo codice dei contratti pubblici) fornirà un servizio al pubblico 15e il partner pubblico che dovrà definire gli obiettivi e verificare l’attuazione degli stessi.16
Il suddetto articolo 17, quindi, in ossequio alle principali problematiche che hanno interessato le società affidatarie di appalti e concessioni (soprattutto nella misura in cui occorreva distinguerle dalle società in house) è innegabilmente improntato sulle peculiarità della partecipazione del socio privato e ciò giustifica ed impone una necessaria differenziazione in termini di disciplina tra società miste in “senso stretto” e società miste in cui la individuazione del socio privato non è collegata ai requisiti che lo stesso deve possedere.17 Tale modello, in via di estrema sintesi, si caratterizza per una diversa allocazione del ruolo delle due “categorie” di soci. L’interesse pubblico si sostanzierebbe in un maggior potere di controllo e coordinamento funzionale a monitorare costantemente il servizio affidato, dovendo riservarsi al socio pubblico un ruolo che non si limiti all’esercizio di un’attività di indirizzo e supervisione ab externo ma che sia più incisiva e che si svolga dall’interno;18 coordinamento ancor più imprescindibile nel caso in cui si tratti di una pluralità di servizi.19
Il ruolo “operativo” (necessariamente da riconoscere al socio privato) nelle società miste in senso stretto dovrebbe perciò richiedere (o quanto meno far ritenere opportuna) una disciplina che quel ruolo esalti, seppur nel corretto bilanciamento della tutela dell’interesse pubblico che la pubblica amministrazione abbia inteso perseguire con la costituzione della società e da cui non potrà prescindersi nemmeno ove si eserciti quell’autonomia statutaria pur “ampiamente” consentita dal legislatore.20
Il carattere strumentale della società mista rispetto al programma negoziale di partenariato incide sensibilmente sulla conformazione della sua struttura organizzativa nonché sulla sua governance21 e, per il “ruolo” che lo stesso legislatore ha voluto riconoscere al socio privato, deve ammettersi e sarebbe da preferire una governance che, pur in presenza di una partecipazione pubblica maggioritaria, sottrae le società in esame alla “categoria” delle società a controllo pubblico. Ciò anche valorizzando il riferimento che per tali società (seppur solo per le s.p.a.) viene fatto ad un “controllo interno” che si vuole consentire al socio pubblico; espressione questa (del “controllo interno”) che effettivamente sembrerebbe non riferirsi al controllo codicistico di cui all’art. 2359 C.c.22
Tale prospettiva impone, altresì, preliminarmente anche di superare l’assunto che le società a partecipazione mista pubblico-privata siano in ogni caso società a controllo pubblico in quanto sussisterebbe sempre un controllo contrattuale ex art. 2359, n. 3, C.c.23
Il tema che non può essere approfondito in questa sede è il ruolo da riconoscere al contratto di servizio. Pur nell’innegabile funzione pubblicistica del contratto di servizio (che tanto ha fatto discutere circa la sua natura) si ritiene che i poteri dallo stesso riconosciuti all’ente pubblico socio non possano essere identificati con quei poteri di “gestione” o “eterodirezione” idonei a determinare sempre una carenza di autonomia gestionale della società o comunque una “subordinazione” della società controllata alle scelte degli enti controllanti. Occorre, cioè, distinguere i “poteri amministrativi” degli enti affidanti che il contratto di servizio attribuisce al solo fine di un “controllo sul servizio” dai poteri di “gestione” che consentono un controllo sulla società.24
2.
Posto che la fattispecie della società in esame richiede che al socio privato venga attribuito un particolare ruolo nella governance, occorre preliminarmente vagliare l’opzione interpretativa (sostenuta anche dalla giurisprudenza sia amministrativa che contabile) – volta ad escludere che le società a partecipazione mista pubblico-privata siano necessariamente da ricondurre alla “categoria” delle società a controllo pubblico25 – alla luce dell’orientamento (del pari più volte ribadito dalla citata giurisprudenza) che si è espresso per l’illegittimità della “detenzione” di una partecipazione “pulviscolare” (seppur maggioritaria) allorquando la stessa non consenta alla pubblica amministrazione di incidere (anche “congiuntamente” con le altre amministrazioni) sul governo della società partecipata al fine di garantirne la funzionalizzazione al soddisfacimento di interessi generali.26 In altri termini, la legittimità della detenzione di partecipazioni pulviscolari viene collegata alla (e condizionata dalla) nozione del controllo pubblico “congiunto”.27
Le decisioni di cui si darà atto avevano ad oggetto società miste in senso lato ma si ritiene comunque utile una (seppur breve) analisi in questa sede poiché rappresentano un’ulteriore conferma della necessità di differenziare le società miste in senso “lato” dalle società miste in senso “stretto” in cui il socio privato è scelto per le sue “qualità”; sebbene, fin dalle premesse, deve sollevarsi il dubbio che il richiamato orientamento (non essendo del tutto conforme alle prescrizioni dettate dal Testo unico) possa effettivamente accogliersi seppur limitatamente alle società in cui la coabitazione pubblico-privato non sia da ricondurre al c.d. partenariato istituzionalizzato. Le prime pronunce (chiamate ad esprimersi in riferimento all’obbligo di dismissione delle partecipazioni minoritarie della pubblica amministrazione; nella specie Enti locali) hanno riguardato la sussistenza o meno della stretta necessità dell’attività di produzione di beni e di servizi di interesse generale alle finalità istituzionali dell’ente.28 Le citate decisioni sono sostanzialmente argomentate valorizzando l’importanza dell’entità concreta della partecipazione, nell’ottica della capacità dell’Ente pubblico di assicurarsi un’incidenza determinante sul governo della società partecipata.29
Orbene, la legittimità di partecipazioni minoritarie o pulviscolari viene ricondotta alla sussistenza o meno di un controllo pubblico e, nel caso di partecipazioni pulviscolari, alla sussistenza o meno di un controllo pubblico congiunto; ciò sebbene l’art. 4 del T.u.s.p., nel vietare alle amministrazioni pubbliche il possesso (diretto o indiretto) di partecipazioni societarie e nell’individuare le partecipazioni societarie eccezionalmente consentite, non sembrerebbe fare alcun riferimento alla situazione di controllo pubblico in cui versi la società partecipata .
In altri termini, ai fini della configurazione della “stretta necessità” dell’attività per le finalità istituzionali delle P.A. (ex art. 4, comma 1, T.u.s.p.), non vi sarebbe alcuna necessità di un controllo delle pubbliche amministrazioni sull’attività della società; controllo, del resto, non richiesto da nessuna disposizione di legge e, quanto ai “servizi di interesse generale”, non richiesto dall’art. 2, comma 1, lett. h), del succitato Testo Unico. 30
Dalle decisioni richiamate emerge, cioè, una certa tendenza della giurisprudenza (in ciò confortata dalla fumosa nozione della stretta necessarietà e dall’assenza di puntuali criteri volti a circoscrivere la stessa) a ricorrere alla definizione del controllo pubblico che ha invece ben altre finalità: di applicare e/o escludere lo statuto speciale delineato dal Testo unico per le società in controllo pubblico e individuare le “partecipazioni indirette” soggette agli obblighi di ricognizione e razionalizzazione. Quel che in questa sede preme evidenziare è che (dalle richiamate decisioni) sembrerebbe emergere una fuorviante tendenza (forse per un’eccessiva preoccupazione della giurisprudenza contabile a contenere e razionalizzare la spesa pubblica) a ricorrere alla nozione di controllo pubblico31 per motivare decisioni che avrebbero potuto trovare ben altre giustificazioni.
Il requisito della “stretta necessità” dell’azionariato pubblico alle finalità istituzionali della pubblica amministrazione, da requisito che deve essere verificato caso per caso, viene a priori escluso ove non sussista un controllo pubblico sulla società partecipata. La stessa nozione di controllo pubblico (e pubblico congiunto) non è pacifica e, come si anticipava, si giustificano interpretazioni diverse a seconda del se si tratti di risolvere a monte il profilo della legittimità dell’esercizio della funzione amministrativa piuttosto che dell’applicazione dello statuto speciale delle società a controllo pubblico. Ed è su tali tendenze che devono manifestarsi alcune perplessità di certezza del diritto. Le definizioni, a cui la legge ricollega determinate conseguenze, non possono essere diverse sol perché le esigenze del singolo caso concreto o di politica legislativa rendono opportuna una determinata decisione.
Una tale interpretazione determinerebbe la stessa impossibilità di configurare in concreto società miste a partecipazione minoritaria o comunque le altre «società partecipate direttamente da amministrazioni pubbliche», da ricondurre al genus «società a partecipazione pubblica» accanto alle società a controllo pubblico e a quelle «partecipate da società a controllo pubblico». Lo stesso art. 11, comma 16, del T.u.s.p., fa riferimento alla configurabilità di “società a partecipazione pubblica”, che non siano al contempo “a controllo pubblico”. Si deve, pertanto, escludere che nelle “società a partecipazione pubblica” debba necessariamente ricorrere una situazione di “controllo pubblico” (solitario o congiunto).32 Deve, allora, ritenersi fuorviante il ricorso alla necessità di un controllo pubblico quale motivazione della legittimità dell’acquisto e/o mantenimento della stessa partecipazione pubblica.33 L’obbligo di “organizzarsi” e dover “formalizzare” un controllo pubblico34 e (in caso di mancato adeguamento da parte degli enti pubblici) l’invito della magistratura contabile a “riconsiderare” la “legittimità” del mantenimento della stessa partecipazione, sembrerebbero in verità da collegare alla più generale (e in linea teorica non sovrapponibile problematica) di assicurare che i vari enti coinvolti riescano ad “addivenire” a una volontà deliberativa al fine di evitare possibili “inattività” nel funzionamento assembleare, con tutte le conseguenze alla stessa ricollegabili.35
Di qui, la necessità di predisporre apposite “soluzioni” volte a superare un’eventuale “paralisi” che, però, se non si erra, non devono necessariamente essere “convenzioni” di voto volte a “formalizzare” una posizione di controllo congiunto.36
L’assunto che in caso di partecipazione pubblica “minoritaria” o “pulviscolare”, seppur maggioritaria, la società debba “necessariamente” essere a controllo pubblico non può sicuramente accogliersi per le società a partecipazione mista pubblico-privata. La “specificità” di tale società, per la quale la partecipazione del privato deve risultare non inferiore al 30%, legittima la configurabilità di società “miste” ove il capitale sociale sottoscritto e/o comunque detenuto da soggetti privati sia maggioritario alla quota imputabile a una o più amministrazioni pubbliche. Ne consegue che la partecipazione pubblica maggioritaria deve ritenersi soltanto uno degli elementi mediante i quali l’interesse pubblico può tradursi e trovare attuazione in attività esercitabili in forma societaria. L’articolo 17 del Testo unico legittima, inoltre, articolazioni statutarie volte a configurare la società a controllo privato o società a «controllo misto pubblico privato», pur in presenza di partecipazioni pubbliche singole o pulviscolari maggioritarie.37
3.
Occorre ora dar conto dei dubbi interpretativi sollevati dalla portata “definitoria” delle “società a controllo pubblico”. Tale definizione si rinviene dal combinato disposto dell’art. 2, lett. b) e lett. m), T.u.s.p., 38e ha (sin da subito) imposto, ancora una volta, una riflessione sulle ipotesi di controllo previste dall’articolo 2359 C.c. nonché sulla valenza generale dello stesso.39 Occorre, invero, sottolineare (nuovamente)40 una certa “pigrizia” del legislatore che (forse), acriticamente e semplicisticamente, 41richiama la nozione di controllo di cui all’art. 2359 C.c. (con ciò manifestando almeno formalmente di aderire all’opzione di una portata generale della stessa) e viceversa, introducendo una o più note “aggiuntive”, solleva il dubbio che, a dispetto di quel richiamo, la definizione di controllo (anche nel caso in esame) sia da intendere in modo del tutto diverso, tanto da degradare ad una categoria “particolare”.42 L’espresso richiamo alla citata disposizione codicistica, riferito ad una o più amministrazioni, ha riproposto, altresì, la risalente questione dell’àmbito applicativo delle ipotesi di controllo ivi previste.43 Opzioni interpretative, come è noto, oscillanti tra quelle più restrittive intese a limitarle al solo controllo solitario 44e quelle favorevoli ad ammettere anche un controllo congiunto.45 Quanto alle società a partecipazione pubblica, la questione ha investito il rilievo da ascrivere, ai fini della configurabilità di un controllo “pubblico”, alla locuzione (contenuta nell’art. 2, lett. m) dell’“esercizio” da parte di “una” o “più” amministrazioni, dei poteri di controllo, così come delineati dalla lett. b) dello stesso articolo.
Non può invero dubitarsi che il Testo Unico valorizza una prospettiva “sostanzialistica” del controllo, per la quale è l’effettivo esercizio a rilevare ai fini dell’individuazione delle società controllate.46 Conseguentemente la pubblica amministrazione potrà fornire la prova della insussistenza di una influenza dominante.47 Del pari indubitabile è l’esplicita rilevanza di un controllo pubblico congiunto e ciò ha imposto di interrogarsi sui requisiti per la configurabilità dello stesso.48 Il tema è stato ampiamente trattato in relazione alle c.d. ipotesi di partecipazioni “pulviscolari” dove le pubbliche amministrazioni, complessivamente titolari di una partecipazione (totalitaria o maggioritaria), non detengano, singolarmente considerate, una posizione di “controllo”. 49
La questione non ha riguardato solo le società a partecipazione mista pubblico-privata ma anche le società a totale partecipazione pubblica50 e le stesse società in house.51 Le varie tesi, che in questa sede ci si limita solo ad accennare, oscillano (come è stato puntualmente analizzato)52 tra gli orientamenti più rigidi (che attribuiscono rilevanza al solo controllo “solitario” societario da influenza dominante e al controllo “congiunto” per la sola fattispecie di cui al citato secondo periodo della lett. b) dell’art. 2 del T.u.s.p.; 53quelli che estendono il controllo congiunto anche alle ipotesi di cui all’art. 2359 C.c.54 differenziandosi, nell’àmbito di tale orientamento, le decisioni che ritengono necessaria una “formalizzazione” del controllo55 da quelle che attribuiscono rilevanza anche ai “comportamenti concludenti”;56 ed infine gli orientamenti per i quali la partecipazione pubblica totalitaria o maggioritaria rappresenterebbe una “presunzione” di esercizio in concreto di un controllo congiunto sulla società57 ovvero quelle che, nell’ottica di assoggettare quanto più possibile le società allo statuto del controllo pubblico, arrivano ad equiparare tout court la partecipazione pubblica (totalitaria o maggioritaria) al controllo pubblico,58 fatto salvo il solo caso in cui vi sia/siano uno o più soci privati in posizione di controllo di fatto o di controllo congiunto con soci pubblici. 59
Tralasciando ogni ulteriore considerazione posta a supporto delle suddette opzioni interpretative, per le quali si rinvia agli autori che ne hanno già approfondito le relative argomentazioni ed evidenziato eventuali limiti, preme sottolineare come la concezione “sostanzialistica” della nozione del controllo pubblico, che individua nell’effettivo esercizio dei relativi poteri l’elemento necessario e caratterizzante del(il) controllo pubblico, viene particolarmente enfatizzata proprio avuto riguardo alle società in cui vi sia la partecipazione del privato scelto con gara a doppio oggetto. Se ai fini del controllo pubblico, ciò che rileva è che la pubblica amministrazione “eserciti” o comunque sia nelle condizioni di esercitare un simile controllo, tale possibilità dovrà escludersi allorquando (pur in presenza di una partecipazione pubblica maggioritaria), al socio privato venga riconosciuto un particolare ruolo nella governance che, impedendo quell’esercizio da parte della pubblica amministrazione, non consentirà di ascrivere la società a partecipazione mista pubblico-privata tra le società a controllo pubblico.
4. Segue. L’irrilevanza della mera partecipazione pubblica maggioritaria ai fini del controllo pubblico
L’affermazione che le società a partecipazione mista pubblico-privata, sebbene a partecipazione pubblica maggioritaria, non confluiranno nella “categoria” delle “società a controllo pubblico” deve, allora, essere puntualizzata alla luce della citata concezione “sostanzialistica” della nozione di controllo pubblico.60
Quale osservazione di carattere generale, occorre evidenziare che le considerazioni, volte ad escludere un controllo pubblico, troveranno applicazione sia nel caso di partecipazioni “pulviscolari” che nel caso di partecipazione “unitaria”. Sebbene la maggior parte delle decisioni avessero ad oggetto partecipazioni pubbliche “pulviscolari”, che solitamente rappresentano l’ipotesi più frequente della gestione dei servizi pubblici locali, la concezione “sostanzialistica” varrà anche quando il socio pubblico maggioritario (della società mista) sia una società interamente partecipata dagli enti locali. Sempre quale premessa, la stessa impostazione di partenza che occorra differenziare la disciplina delle società miste “lato sensu” da quelle miste in “senso stretto” deve essere verificata per essere confermata.
Ed invero, non deve essere sopravvalutata l’affermazione che si rinviene in alcune decisioni che, seppur aventi ad oggetto società a partecipazione mista pubblico-privata, sottolineano che le questioni sottoposte alla loro analisi siano da ricondurre ad una richiesta di definizione della nozione di controllo pubblico nelle società “genericamente” qualificate come “miste” in quanto partecipate da soci pubblici e da soci privati. 61
In realtà, una più attenta lettura delle decisioni che costantemente escludono il controllo, in presenza di una “peculiare” posizione riconosciuta al privato, sembrano ammettere tale soluzione solo per le società miste in senso stretto e, dunque, confermare che per la magistratura contabile la possibilità di società non a controllo pubblico sia “tollerata” solo per quelle società in cui al socio privato, in tanto può attribuirsi un ruolo tale da escludere il controllo, in quanto ciò sarebbe consentito dalla stessa “fattispecie così come delineata dal legislatore.62 In tale prospettiva deve interpretarsi anche l’obbligo di attuare e formalizzare “misure” e “strumenti” coordinati di controllo che la magistratura contabile in sede di controllo pone a carico degli enti nel caso di società miste in senso lato nonché il “monito” agli enti pubblici di riconsiderare “attentamente” il mantenimento di una partecipazione marginale (e priva di controllo pubblico ancorché congiunto) che non garantirebbe “adeguatamente” il raggiungimento delle finalità istituzionali.63 Di qui la critica della non conformità di tale orientamento con le diverse “tipologie” di società a partecipazione pubblica ammesse dal Testo unico e il rilievo, de iure condendo, di una modifica volta chiaramente a differenziare le diverse “fattispecie” in cui vi sia una coabitazione pubblico-privata e (eventualmente ed espressamente) richiedere – per quelle a partecipazione pubblica maggioritaria in cui non sia rilevante la “scelta” e il “ruolo” da attribuire al socio privato – la necessità di un controllo pubblico.
Quanto al rilievo da ascrivere alla partecipazione pubblica maggioritaria, la conclusione pressoché pacifica e costante di tutte le decisioni – che si sono occupate dei requisiti necessari perché possa configurarsi un controllo pubblico (e, dunque, anche di quelle che assumono una posizione più estrema nel senso di ritenere “sufficiente”, ai fini della configurazione del controllo, la mera partecipazione pubblica maggioritaria)64 – è di escludere tale controllo tutte le volte in cui dalle disposizioni statutarie o contrattuali emerga chiaramente ed univocamente che il socio privato concorra in modo determinante alla governance della società.
A tal fine viene attribuita una certa rilevanza anche alle eventuali prescrizioni del contratto di servizio, confermando così il corretto ruolo che deve attribuirsi allo stesso ai fini della sussistenza di un controllo contrattuale. Sarebbe da aggiungere che questa articolazione è anche quella che si ritiene sia da preferire in quanto più conforme allo stesso ruolo da riconoscere al socio privato ove non si riesca a superare il “preconcetto” di attribuirgli una partecipazione maggioritaria,65 soluzione che sarebbe da preferire anche nell’ottica di una maggiore allocazione del rischio di impresa in capo al socio privato.66
Nello specifico, quanto alle possibili articolazioni statutarie e/o parasociali idonee ad escludere un controllo pubblico, si è ritenuta rilevante la circostanza del voto “decisivo” del socio privato per la modifica dello statuto e per qualsiasi altra deliberazione dell’assemblea ordinaria e straordinaria ovvero l’attribuzione allo stesso di altri poteri (di veto).67 Ancora, non si potrà discorrere di controllo pubblico allorquando al socio privato spetti la nomina della maggioranza degli amministratori o dell’amministratore delegato a cui lo statuto assegni ampi poteri gestori.
Ciò in piena adesione all’orientamento secondo cui l’“influenza dominante” sia quella che avviene esclusivamente su tutta l’attività di impresa attraverso l’organo amministrativo. Significativo che, dalla prima versione dell’art. 17 dello schema del T.u.s.p., sia stata eliminata sia la previsione che il socio o i soci pubblici dovessero mantenere, in ogni caso, una posizione di controllo “individuale” o “congiunto” della società sia quella che attribuiva al socio privato la designazione dell’amministratore unico o dell’amministratore delegato.68
Ed ancora, pur a fronte della detenzione della maggioranza delle quote societarie da parte di uno o più enti pubblici, dovrà escludersi un controllo pubblico nel caso in cui l’influenza dominante del socio privato (o di più soci privati) sia da ritenere “congiunta” ad alcune delle amministrazioni pubbliche socie. Situazione, quest’ultima, che pur riassunta con la locuzione “controllo congiunto misto pubblico-privato”69 non consentirà di qualificare la società quale società a controllo pubblico atteso che la definizione, contenuta nella lett. m) dell’art. 2 del T.u.s.p., richiede espressamente che debba trattarsi di “più amministrazioni”.70 La partecipazione pubblica maggioritaria (sia pulviscolare che unitaria) rappresenta, dunque, solo un indice “presuntivo”71 del controllo pubblico superabile attraverso la prova di una posizione dominante del socio privato (o dei soci privati) ovvero anche congiuntamente al socio pubblico; ciò in piena adesione anche per quanto attiene alla governance della società del particolare ruolo che il legislatore (e prima ancora la prassi) ha inteso assegnare al partner privato e che si ritiene essere caratteristica indefettibile della “fattispecie” società a partecipazione mista pubblico-privata.72
1 Il Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, approvato con il D.lgs. 19 agosto 2016, n. 175 (di seguito T.u.s.p.), sicuramente costituisce un tassello importante della riforma “amministrativa” anche se devono condividersi le critiche sollevate sia in relazione ad alcune “sviste” (che comproverebbero la sciatteria e trasandatezza di un legislatore poco interessato alla qualità di ciò che produce e più interessato al segnale politico che con la legge prodotta si vuole manifestare, così C. Angelici, Tipicità e specialità delle società pubbliche, in Le «nuove» società partecipate e in house providing, a cura di S. Fortunato - F. Vessia, Milano, 2017, pp. 16 e ss.) sia per la formulazione di alcune disposizioni che hanno fin da subito sollevato non pochi dubbi interpretativi; dubbi che, per quel che attiene alla presente indagine, attengono alla stessa individuazione della fattispecie “società a partecipazione mista pubblico-privata” e alla stessa definizione del controllo pubblico avuto particolare riguardo al controllo pubblico congiunto. Gli obiettivi fondamentali del T.u.s.p. sono stati il riordino della disciplina e la riduzione del numero delle società (per l’elevato numero soprattutto in ambito locale); riordino resosi necessario per l’intenso susseguirsi di interventi normativi aventi finalità eterogenee (contenimento della spesa, anticorruzione, apertura alla concorrenza, ecc.) che avevano disciplinato anche molti aspetti dell’attività e dell’organizzazione delle società pubbliche, a volte frammentariamente e in modo incoerente o comunque dando luogo ad un regime di difficile interpretazione e, dunque, di attuazione ed effettività. Per una sintesi delle problematiche delle società a partecipazione pubblica ante riforma e per quelle aperte (o non risolte) dal Testo unico, v. G. Morbidelli, Introduzione, in Codice delle società a partecipazione pubblica, a cura di G. Morbidelli, con il coordinamento di F. Cintioli - F. Freni - A. Police, Milano, 2018, pp. 3 e ss., che critica anche l’eccessiva diversificazione di species di società a partecipazione pubblica che si rinvengono nello stesso Testo unico che dunque non può intendersi come configurante una disciplina unitaria e integralmente applicabile a tutte le società pubbliche atteso che la fattispecie della “società pubblica” si articola in una pluralità di sub fattispecie con conseguenti ricadute sulla disciplina applicabile, così C. Ibba, Introduzione, in Le società a partecipazione pubblica. Commentario tematico ai D.lgs. 175/2016 e 100/2017, diretto da C. Ibba - I. Demuro, Torino, 2018, pp. 2 e ss., 9; per G. Rossi, Le società partecipate fra diritto privato e diritto pubblico, in Le «nuove» società partecipate e in house providing, cit., pp. 33 e ss., per le numerose distinzioni interne ed eccezioni introdotte è da ritenere impropria la stessa qualificazione come Testo unico della normativa del D.lgs. n. 175/2016. Attuando le indicazioni dell’art. 18, comma 1, lett. b), della Legge 7 agosto 2015, n. 124 (di seguito Legge delega), si conferma lo sfavore per l’impresa pubblica in forma societaria e ciò come scelta di politica interna non imposta dal diritto europeo che, com’è noto, ha un atteggiamento di “neutralità” rispetto alla proprietà pubblica o privata delle imprese. I casi in cui le partecipazioni societarie sono consentite vengono limitati drasticamente introducendo non solo un vincolo di “scopo” ma anche di “attività”; sfavore cui si è cercato (in qualche modo) di porre rimedio con il decreto correttivo (D.lgs. n. 100/2017) che introduce non poche eccezioni alle attività esercitabili dalle società partecipate. In generale, sulla riforma introdotta dal Testo unico, oltre agli autori che saranno in seguito richiamati, v. V. Donativi, Le società a partecipazione pubblica, Milanofiori Assago, 2016, pp. 3 e ss., a cui si rimanda anche per una ricostruzione delle numerose disposizioni speciali e delle “norme settoriali” che negli ultimi anni hanno riguardato le cosiddette “società pubbliche”, nonché i contributi raccolti in: F. Cerioni (a cura di), Le società pubbliche, Milano, 2023; C. Ibba (a cura di), Le società a partecipazione pubblica a tre anni dal testo unico, Milano, 2019; G. Meo - A. Nuzzo (diretto da), Il testo unico sulle società pubbliche, Bari, 2016; G. Guizzi (a cura di), La governance delle società pubbliche nel D.lgs. n. 175/2016, Milano, 2017; C. D’aries - S. Glinianski - T. Tessaro, Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica. Commento articolo per articolo del D.lgs. 19 agosto 2016 n. 175, Rimini, 2016; F. Cintioli - F. Massa Felsani (a cura di), Le società a partecipazione pubblica tra diritto dell’impresa e diritto dell’amministrazione. Incontri di studio della Scuola Nazionale dell’Amministrazione, Bologna, 2017; R. Garofoli - A. Zoppini (a cura di), Manuale delle società partecipate, con il coordinamento di F. Massa Felsani, Molfetta, 2018; F. Fimmanò - A. Catricalà (a cura di), Le società pubbliche, Napoli, 2016; F. Fimmanò - A. Catricalà -R. Cantone (a cura di), Le società pubbliche. Fenomenologia di una fattispecie, Napoli, 2020; ed ancora: A. Nicodemo, Imprese pubbliche e settori speciali. L’autonomia contrattuale e le regole dell’evidenza pubblica, Torino, 2018; R. Miccù, Un nuovo diritto delle società pubbliche? Processi di razionalizzazione tra spinte all’efficienza e ambiti di specialità, Napoli, 2019; A. Caprara, Impresa pubblica e società a partecipazione pubblica, Napoli, 2017; L. Geninatti Satè, Il nuovo testo unico in materia di società a partecipazione pubblica: verso la definizione di uno statuto speciale delle società pubbliche, in Nuovo dir. soc., 2017, 8, pp. 835 e ss.; G. Bruzzone, Riordino della disciplina delle società partecipate: le sfide da affrontare, in Le società a partecipazione pubblica tra diritto dell’impresa e diritto dell’amministrazione, cit., pp. 27 e ss.
2 Il legislatore definisce: le società a partecipazione pubblica (come genus a cui ricondurre “le società a controllo pubblico) nonché le altre società partecipate direttamente da amministrazioni pubbliche o da società a controllo pubblico” (art. 2, lett. n) e le società a controllo pubblico (combinato disposto dell’art. 2, lett. m) e lett. b). Non vengono definite nemmeno le società “miste” e le ragioni della mancanza di una specifica definizione di società mista vengono esplicitate dal Consiglio di Stato nel par. 3, II, del parere sullo schema di Decreto legislativo recante il Testo unico in materia di società partecipate (Cons. Stato, Ad. Comm. spec., 16 marzo 2016, n. 438 – n. pubb. e sped. 968/16 – (21 aprile 2016), in Foro amm., 2016, 4, pp. 900 e ss., 916, secondo cui: «Non si ritiene opportuno introdurre nella classificazione l’elemento di distinzione fondato sull’entità della partecipazione e quindi inserire, in particolare, le società miste, trattandosi di un elemento di possibile valenza trasversale». Le società miste, quindi, rientrano sicuramente nel genus delle società a partecipazione pubblica e ben possono rientrare nella categoria delle società a controllo pubblico.
3 Ulteriore richiamo è quello effettuato per estendere alle società dallo stesso disciplinate parte della normativa prevista in generale per le società a partecipazione pubblica (il riferimento è in particolare all’art. 5, comma 1, T.u.s.p., che appunto estende l’onere di motivazione analitica (dell’atto deliberativo di costituzione di una società a partecipazione pubblica e dell’acquisto di partecipazioni) anche alle società dei cui all’art. 17.
4 Tali attività venivano ricondotte al contratto di partenariato di cui all’art. 180 del D.lgs. n. 50/2016, così come definito dell’art. 3, lett. e), dello stesso Decreto, che è stato abrogato dal D.lgs. 31 marzo 2023, n. 36 (di seguito Nuovo codice dei contratti pubblici), recante “Codice dei contratti pubblici, in attuazione dell’art. 1 della Legge 21 giugno 2022, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici. L’originaria formulazione della norma (nel definire l’àmbito applicativo della disciplina dell’art. 17) richiamava dunque le sole attività di cui all’art. 4, comma 2, lett. c). Successivamente, con il Decreto correttivo (D.lgs. n. 100/2017), il legislatore si è riferito “genericamente” alle società a partecipazione mista pubblico-privata sollevando non pochi dubbi interpretativi circa l’estensione dell’oggetto delle attività affidabili a tali società nonché ancor più in generale circa l’estensione di (parte) della disciplina (di cui all’art. 17 T.u.s.p.) a tutte le società in cui vi fosse una “coabitazione” tra socio pubblico e socio privato. In sintesi, i primi dubbi sono stati sollevati già avuto riguardo alla originaria formulazione dell’art. 17 T.u.s.p., nella parte in cui limitava le previsioni in esso contenute alle società costituite per le finalità di cui all’art. 4, comma 2, lett. c), e cioè: alla “realizzazione e gestione di un’opera pubblica ovvero organizzazione e gestione di un servizio d’interesse generale attraverso un contratto di partenariato di cui all’articolo 180 del D.lgs. n. 50 del 2016”. I dubbi sono stati ricondotti alla stessa ricostruzione del “contratto di partenariato pubblico-privato” di cui era pacifico facessero parte le concessioni ma non gli appalti (diversamente dalle indicazioni provenienti dal Libro Verde del 30 aprile 2004 - COM(2004) 327 def.) “Relativo ai partenariati pubblico-privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni” (di seguito Libro Verde) e dal diritto europeo degli appalti e concessioni che ricomprendevano nell’unica categoria del partenariato contrattuale sia gli appalti che le concessioni, ciò in quanto solo le concessioni erano invero caratterizzate da un trasferimento del rischio in capo al contraente, mancando nei contratti di appalto quella “volontà collaborativa” di realizzare una comune iniziativa, cfr., M.P. Chiti, Il partenariato Pubblico Privato e la nuova direttiva concessioni, in www.studiolegalechiti.it, 2015; G.F. Cartei, Le varie forme di partenariato pubblico-privato. Il quadro generale, in Urb. e app., 2011, 888; F. Mataluni, Sub art. 4, in Il Testo Unico sulle società pubbliche, cit., p. 66, che sollecitava la necessità di un coordinamento tra quanto prescritto dall’art. 17, comma 1, e quanto prescritto nella lett. c) dell’art. 4, comma 1, T.u.s.p.; il tutto per rendere le disposizioni coerenti con la disciplina contenuta nel codice di contratti pubblici di cui al D.lgs. n. 50 del 2016. A tale problema di coordinamento avrebbe inteso rimediare il decreto correttivo del 2017 (art. 11 D.lgs. 16 giugno 2017, n. 100) sostituendo la suddetta locuzione con quella più generale: “Nelle società a partecipazione mista pubblico-privata”, senza però apportare alcuna modifica alla succitata lett. c). Modifica interpretata (dalla maggior parte della dottrina) come possibilità per la società mista in senso stretto di svolgere tutte le attività ammesse per le società a partecipazione pubblica dall’art. 4, comma 2, del T.u.s.p., che possano costituire oggetto di contratti pubblici; cfr. N. Aicardi, Società miste e affidamento di contratti pubblici, in Giur. comm., 2020, 4, pp. 756 e ss.; in tal senso sembrerebbe orientato anche C. Ibba, La tassonomia delle società a partecipazione pubblica, in Le imprese a partecipazione pubblica, a cura di G. Presti - M. Renna, Milano, 2018, pp. 17 e ss., 20, secondo cui la citata soppressione è da intendere nel senso di voler estendere la disciplina dell’art. 17 del T.u.s.p. a qualunque società mista, a prescindere dall’oggetto sociale.
5 Come è noto, le società miste hanno fatto ingresso nel nostro ordinamento con la previsione dell’art. 22, della Legge n. 142/1990, articolo poi confluito nell’art. 113 del T.u.e.l. (approvato con D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267) ed abrogato (in uno con gli artt. 112 e 117) dall’art. 37 del D.lgs. 23 dicembre 2022, n. 201, sul Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica (di seguito D.lgs. n. 201/2022). In sintesi, tale disposizione prevedeva espressamente solo la costituzione delle società per azioni a partecipazione pubblica locale (esclusivamente maggioritaria) quale forma di espletamento del servizio cui l’ente locale poteva ricorrere qualora si fosse resa opportuna la partecipazione di altri soggetti, pubblici e privati, in relazione al servizio da erogare. Successivamente, con la Legge 23 dicembre 1992, n. 498, venne ammessa anche la società con partecipazione minoritaria dell’ente locale, come pure la forma della società a responsabilità limitata, prevedendo che tali società potessero (oltre che gestire servizi pubblici) realizzare infrastrutture e altre opere d’interesse pubblico. Tale Legge affidava poi l’attuazione a un regolamento approvato (in ritardo) solo con D.P.R. 16 settembre 1996, n. 533. Un profondo cambiamento dell’iniziale favor riconosciuto alle società miste (per le quali non si riteneva necessario far riferimento a particolari procedure per la scelta del gestore, considerando sostanzialmente le società miste come “mezzo” di gestione del servizio da parte dell’ente) si è avuto con la riformulazione dell’art. 113 del T.u.e.l. e con l’introduzione dell’art. 113-bis ad opera della Legge n. 448/2000 (finanziaria per il 2002). Tale normativa introduceva una netta distinzione tra servizi aventi “rilevanza industriale” (per i quali l’erogazione del servizio era da svolgere in regime di concorrenza, attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica) e servizi privi di tale rilevanza per i quali il modello di gestione poteva essere quello dell’affidamento diretto. Distinzione (questa dei servizi aventi rilevanza industriale e servizi privi di tale rilevanza) sostituita con la distinzione tra servizi di rilevanza economica e servizi di rilevanza non economica con la successiva riscrittura dell’art. 113 (dall’art. 14 del D.L. n. 269/2003, convertito in Legge n. 326/2003). Tale disciplina è stata sostanzialmente sostituita prima dall’art. 23-bis, comma 2, lett. b, del D.L. n. 112/2008 (così come modificato dall’art. 15, comma 1, lett. b, del D.L. n. 135/2009, e poi abrogato dal D.P.R. 18 luglio, 2011, n. 113, a seguito del referendum del 12-13 giugno 2011) e successivamente dall’art. 4, comma 12, del D.L. n. 138/2011, a sua volta dichiarato incostituzionale dalla Corte cost. con la sent. 20 luglio 2012, n. 199). Sull’evoluzione delle società miste fino al T.u.s.p., v. R. Vitolo, L’evoluzione normativa dei servizi pubblici locali, in Id. (a cura di), Le società miste per la gestione dei servizi pubblici locali, Napoli, 2016, pp. 21 e ss.; S. Antoniazzi, Società miste e servizi pubblici locali, Napoli, 2017, pp. 143 e ss.; S. Valaguzza, Gli affidamenti a terzi e a società miste, in La riforma dei servizi pubblici locali, a cura di R. Villata, Torino, 2023, pp. 159 e ss. (da cui si cita) e già in La riforma dei servizi pubblici locali, a cura di R. Villata, Torino, 2011, pp. 121 e ss.
6 L’art. 14 del D.lgs. n. 201/2022, seppur discorra genericamente di affidamento a società “mista” (quale possibile scelta della modalità di gestione del servizio pubblico locale) opera un rinvio all’art. 16 (dello stesso Decreto) in cui si specifica che le società “miste”, affidatarie dei servizi di interesse economico generale, siano appunto le società a partecipazione mista pubblico-privata il cui socio privato “è individuato secondo la procedura di cui all’articolo 17 del T.u.s.p.”.
7 Sempre l’art. 14 del citato decreto, nell’individuare le possibili “scelte” per la gestione del servizio pubblico locale, richiede il rispetto del “diritto dell’Unione europea” anche per l’affidamento a terzi mediante procedura ad evidenza pubblica nonché il rispetto dei “limiti fissati dal diritto dell’Unione europea ove la gestione avvenga con l’affidamento a società in house. L’espressa previsione del rispetto del diritto e/o dei limiti fissati dal diritto dell’Unione attiene ovviamente a quei vincoli e limiti ulteriori e diversi da quelli già recepiti dal nostro ordinamento con la riforma. Per un’approfondita analisi dei vincoli di derivazione europea recepiti dal nostro ordinamento con la riforma del T.u.s.p., v. F. Vessia, Vincoli europei alle partecipazioni pubbliche e riflessi societari, Napoli, 2020. Per una prima analisi del riordino della disciplina dell’organizzazione dei servizi pubblici locali, v. R. Chieppa - G. Bruzzone - A. Moliterni (a cura di), La riforma dei servizi pubblici locali, Milano, 2023; R. Villata (a cura di), La riforma dei servizi pubblici locali, Torino, 2023.
8 Sulla disciplina introdotta dall’art. 17 T.u.s.p., v.: A. Cetra, Le società a capitale misto pubblico-privato, in Riv. dir. civ., 2024, 5, p. 836; G. Montedoro - M. Giordano, Le società nel “partenariato pubblico privato”, in V. Donativi (diretto da), Trattato delle società, IV, Milano, 2022, pp. 805 e ss.; V. Donativi, Le società a partecipazione pubblica, Milano, 2016, pp. 1082-1098; Id., Le società miste, in Le società a partecipazione pubblica a tre anni dal testo unico, cit., pp. 249 e ss.; F. Guerrera, Le società a partecipazione mista pubblico-privata (art. 17 T.u.s.p.), in Le “nuove” società partecipate e in house providing, cit., pp. 117 e ss.; G.A. Fois - A. Riccardi, La società mista con contratto di partenariato pubblico privato nel testo unico e nel nuovo codice degli appalti, in Le società pubbliche, cit., 2016, pp. 741 e ss.; S. Sablone, Sub art. 17, in Il testo unico sulle società pubbliche, cit., pp. 249 e ss.; S. Antoniazzi, Società miste e servizi pubblici locali, pp. 228-242; M. Maltoni - A. Ruotolo, La costituzione di nuova società a partecipazione mista pubblica-privata: statuti delle s.p.a., delle s.r.l., speciali categorie di azioni e patti parasociali (art. 17 T.u., “società a partecipazione pubblica”), Studio di Impresa n. 298-2016/I, in Studi e materiali, 2017, pp. 231 e ss.; E. Codazzi, Le società miste, in Le società a partecipazione pubblica. Commentario tematico ai D.lgs. 175/2016 e 100/2017, cit., pp. 277 e ss.; A. Cordasco - P. Tonnara, Le società miste: verso il partenariato pubblico-privato istituzionalizzato?, in www.federalismi.it, n. speciale 6 (16 novembre 2018); G.P. La Sala, Le società a partecipazione mista pubblico-privata, in Acqua: bene pubblico, risorsa non riproducibile, fattore di sviluppo, a cura di Staiano, Napoli, 2017, p. 447; C. Ibba, Diritto comune e diritto speciale nella disciplina delle società pubbliche, in Giur. comm., 2018, pp. 958 e ss., 968-969; V. Neri, La società mista pubblico-privato, Manuale delle società a partecipazione pubblica, cit., pp. 131 e ss.; V. Varone, sub art. 17, in Codice delle società a partecipazione pubblica, cit., pp. 375 e ss.
9 In tal senso: V. Donativi, Le società miste, cit., p. 251, secondo cui la tesi restrittiva troverebbe conferma sia in considerazioni di carattere storico che in indici normativi; M. Maltoni - A. Ruotolo, La costituzione di nuova società, cit., p. 232, seppur con riguardo alla precedente formulazione dell’art. 17 T.u.s.p., che espressamente richiamava le sole società costituite per le finalità di cui alla lett. c) dell’art. 4: “realizzazione e gestione di un’opera pubblica ovvero organizzazione e gestione di un servizio di interesse generale”. In tal senso anche la deliberazione della Corte dei conti, Sez. reg. contr. Marche, n. 115/2022/PAR, avente ad oggetto il parere ex art. 5 del T.u.s.p. (deliberazione consultabile in www.corteconti.it, così come tutte le altre deliberazioni che verranno richiamate; riferimento che di qui in seguito si ometterà dovendo intendersi ogni volta come riportato) che, nel contestare al Comune di aver erroneamente qualificato la costituenda società quale società consortile a partecipazione mista pubblico-privata, chiaramente sottolinea come le caratteristiche della c.d. società a partecipazione mista pubblico-privata siano da rinvenire nella c.d. gara a doppio oggetto e che la normativa dell’art. 17 T.u.s.p., deve intendersi quale peculiare disciplina di tale “fattispecie”. Concetto ribadito dal Cons. Stato, 1° settembre 2021, n. 6142, in Dir. proc. amm., 2022, 1, 163-187, con nota di S. Valaguzza, Un elefante dietro un filo d’erba: il Consiglio di Stato ricorda il perché dell’evidenza pubblica nelle selezioni dei partners delle società pubbliche, secondo cui la scelta del socio è un elemento identificativo della fattispecie.
10 La distinzione tra società miste in senso “lato” e società miste in senso “stretto” è da attribuire a V. Donativi, Le società miste, in Le società a partecipazione pubblica a tre anni dalla riforma, cit., p. 249, che individua: 1) le società che non siano affidatarie di appalti o concessioni e che operino in regime di libera concorrenza sul mercato (campo immobiliare, settore bancario o finanziario o che gestiscono fondi di private equity, parchi scientifici o tecnologici) 2) le società affidatarie di appalti o concessioni (non a doppio oggetto) e cioè a seguito di una procedura ordinaria di gara che, però, riguarda la società (partecipata anche da privati) in quanto tale e non per le “qualità” del socio privato cui aggiudicare la quota di partecipazione ed affidare l’esecuzione dell’opera o del servizio; socio che, dunque, non sarà chiamato ad un ruolo operativo se non in eventuale ed ordinario regime di subappalto (società nel settore stradale o in campo fieristico); 3) le società affidatarie di appalti o concessione in regime di in house providing (ovviamente entro i ristretti limiti in cui è consentita la partecipazione del privato).
11 Non è questa la sede per ripercorrere la copiosa evoluzione normativa e dottrinale in tema di “Partenariato Pubblico Privato” (di seguito: PPP) formula giuridica elaborata dalla Commissione europea nel Libro Verde, successivamente oggetto di numerose comunicazioni interpretative (di cui in questa sede si segnala quella relativa all’applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni ai partenariati pubblico-privati istituzionalizzati (PPPI – 2008/C 91/02) che sembra aver ispirato la riforma; sul tema sia consentito rinviare a: F. Vessia, Vincoli europei alle partecipazioni pubbliche e riflessi societari, cit., pp. 290-318, anche per gli autori ivi citati; R. Mininno, La partecipazione del socio privato alla società a capitale misto pubblico-privato, in Riv. dir. soc., 2022, 4, p. 835, nonché a M.P. Chiti, I partenariati pubblico-privati e la fine del dualismo tra diritto pubblico e diritto comune, in Il Partenariato Pubblico-Privato, a cura di M.P. Chiti, Napoli, 2009, pp. 1 e ss.; Id., Luci, ombre e vaghezze nella disciplina del Partenariato Pubblico-Privato, in Il Partenariato Pubblico-Privato, a cura di M.P. Chiti, Bologna, 2005, pp. 7 e ss.; sul tema, anche G. Montedoro-M. Giordano, Le società nel “partenariato pubblico privato”, cit., pp. 805 e ss.
12 Il D.lgs. 31 marzo 2023, n. 36 (di seguito D.lgs. n. 36/2023 o nuovo codice dei contratti pubblici) si inserisce nell’attuazione degli impegni assunti dal Governo con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e risponde all’obiettivo, in primis, come dichiarato nella Relazione Illustrativa, 9: «[…] di semplificazione ottenuta aumentando la discrezionalità delle amministrazioni e rimuovendo il goldplating ovunque possibile […]». Da evidenziare che la riforma, nel chiaro intento di dare nuova “linfa” al partenariato, ha decisamente invertito (anche da un punto di vista terminologico) l’approccio da cui riguardare le diverse “forme” di collaborazione pubblico-privato. Il nuovo impianto, infatti, coerentemente all’approccio di maggiore discrezionalità ed autonomia negoziale delle pubbliche amministrazioni, che anima tutta la riforma dei contratti pubblici, opera una revisione sistematica rispetto al precedente assetto normativo. Le disposizioni generali in materia di partenariato precedono la disciplina delle figure contrattuali tipiche. In tale prospettiva, il partenariato pubblico-privato non viene più definito come figura “contrattuale a sé stante ma come “operazione economica” nel chiaro intento di ricomprendervi anche fattispecie “atipiche”, purché ricorrano i requisiti “necessari” e “caratterizzanti” lo schema del partenariato pubblico-privato, così come puntualmente delineati dal legislatore. La nozione, sicuramente, muove da quella elaborata dalla Commissione europea (a partire dal Libro Verde) dove, dopo aver premesso come il termine partenariato pubblico-privato non sia definito a livello comunitario, vengono individuati gli elementi che “normalmente” caratterizzano le “operazioni” di tale partenariato (v. §1.1). Nell’impianto normativo del D.lgs. n. 50/2016, invece, il contratto di partenariato pubblico-privato era stato definito (dall’art. 3, comma 1, lett. e) come: “il contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto con il quale una o più stazioni appaltanti conferiscono a uno o più operatori economici per un periodo determinato in funzione della durata dell’ammortamento dell’investimento o delle modalità di finanziamento fissate, un complesso di attività consistenti nella realizzazione, trasformazione, manutenzione e gestione operativa di un’opera in cambio della sua disponibilità, o del suo sfruttamento economico, o della fornitura di un servizio connesso all’utilizzo dell’opera stessa, con assunzione di rischio secondo modalità individuate nel contratto, da parte dell’operatore”. Gli articoli 174 e 175 del nuovo codice dei contratti pubblici sostituiscono integralmente gli artt. 179, 180, 181 e 182 del D.lgs. n. 50/2016, che contenevano la disciplina generale del partenariato pubblico-privato.
13 F. Caringella, Prefazione, in M. Giustiniani, Il Nuovo codice dei contratti pubblici prima e dopo la riforma, Napoli, 2023, che sottolinea un importante cambio di paradigma politico, ideologico, assiologico e persino fisiologico, consistente nell’aver sottratto il diritto dei contratti pubblici che per anni è stato percepito come branca del diritto della concorrenza (con la conseguenza di ricorrere ad una c.d. concorrenza imposta) per ricondurlo ad un capitolo fondamentale del diritto amministrativo nazionale. Il principio del risultato, quale guida e parametro di legittimità dell’azione amministrativa, segna il passaggio dalla concorrenza assoluta alla concorrenza regolata. In sintesi, il nuovo Codice dei contratti pubblici recepisce il principio di auto-organizzazione amministrativa, sancito anche nell’art. 2 della Direttiva 2014/24/UE, in base al quale, le pubbliche amministrazioni scelgono autonomamente di organizzare l’esecuzione dei lavori o la prestazione dei servizi attraverso i tre modelli dell’autoproduzione, dell’esternalizzazione e della cooperazione con altre pubbliche amministrazioni; discrezionalità, dunque, nella decisione sul ricorso al mercato (art. 7 del nuovo Codice dei contratti pubblici) oltre che nella scelta e nella gestione del modello di affidamento. La riforma, in altri termini, concepisce un’amministrazione dotata di una generale autonomia negoziale fondata anche sul principio della fiducia nell’azione pubblica. In tale prospettiva, vengono valorizzati i poteri discrezionali dei funzionari pubblici e si inserisce una perimetrazione del concetto di colpa grave rilevante ai fini della responsabilità amministrativa dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti (art. 8, comma 3, del nuovo Codice dei contratti pubblici).
14 V. § 1.1, Libro verde.
15 L’art. 174, comma 1, lett. c), testualmente dispone che: “alla parte privata spetta il compito di realizzare e gestire il progetto”.
16 Altro elemento identificativo è costituito dal tipo di retribuzione del contraente privato correlato alla gestione dell’opera o del servizio e all’allocazione dei rischi tra le parti contraenti. Sul punto si richiede che la copertura dei fabbisogni finanziari connessi alla realizzazione del progetto provenga in misura significativa da risorse reperite dalla parte privata, anche in ragione del rischio operativo che la stessa si assume (art. 174, comma 1, lett. b) e che il rischio operativo, connesso alla realizzazione dei lavori e alla gestione dei servizi, sia da allocare in capo al soggetto privato (art. 174, comma 1, lett. d). Ed è proprio su tale ultimo elemento caratterizzante la figura del partenariato, che deve maggiormente prospettarsi il dubbio che la definizione introdotta dal nuovo Codice degli appalti possa (come si legge nella Relazione al nuovo Codice degli appalti Sub art. 174) valere quale nuova nozione generale di partenariato pubblico-privato, comprensiva sia del partenariato pubblico-privato contrattuale sia del partenariato pubblico-privato istituzionale o che, comunque, alcune delle citate “componenti” (espressione utilizzata dalla stessa Relazione) debbano necessariamente essere adattate alle peculiarità della fattispecie “societaria” di collaborazione pubblico-privato. Punto cruciale è che nel partenariato c.d. istituzionalizzato mancherebbe la possibilità di allocare “direttamente” il rischio operativo connesso alla realizzazione dei lavori e alla gestione dei servizi in capo al soggetto privato, ciò perché il rischio di impresa è propriamente della società e come tale, salva diversa disposizione statutaria, ripartito tra i soci in proporzione al peso delle relative partecipazioni e comunque nel rispetto del divieto del patto leonino.
17 Per tali ultime società, il T.u.s.p. non introduce una specifica disciplina né dalla formulazione della norma è chiaramente desumibile l’applicabilità alle stesse. La modifica apportata alla formulazione dell’art. 17, comma, 1, lett. a), T.u.s.p. (nella misura in cui discorre genericamente di società a partecipazione mista-pubblico privata) potrebbe invero anche essere uno degli indici normativi sui quali fondare una possibile interpretazione estensiva dell’àmbito applicativo dello stesso articolo che, dunque, si applicherebbe anche alle società miste lato sensu intese, così espressamente V. Donativi, Le società miste, cit., p. 253, a cui si rimanda per un’approfondita analisi degli indici normativi che deporrebbero in senso contrario. La citata modifica del decreto correttivo potrebbe dunque prestarsi ad una duplice interpretazione: da un lato, come riferita alla volontà del legislatore di estendere la disciplina (in materia di deroghe alla governance) anche alle società miste in cui la scelta del socio non avvenga con la procedure della gara a doppio oggetto e per i requisiti dello stesso; dall’altro, come volta ad individuare le attività che possano costituire l’oggetto dell’affidamento alla società a partecipazione mista pubblico-privata; se cioè solo quelle della lett. c) dell’art. 4 o anche le altre materie non rientrati nel partenariato. Interpretazione, quest’ultima, che sarebbe da preferire anche in considerazione delle ragioni del correttivo nella misura in cui rappresenta un adeguamento alle considerazioni rese dal Consiglio di Stato nel parere sullo schema del Testo unico (Cons. Stato, Comm. Ad. Spec., parte II, punti 4.3. e 15, cit., infra nt. 2); rilievi attinenti all’oggetto delle attività miste stricto sensu intese e non in generale all’estensione dell’àmbito applicativo della disciplina a tutte le società in cui vi fosse una coabitazione pubblico-privato. Anche a voler aderire ad un’estensione di tale àmbito applicativo deve sottolinearsi che la disciplina applicabile potrebbe essere solo quella non collegabile al ruolo da riconoscere al socio privato e, nello specifico, quella che consente di introdurre “forme di tutela rinforzate” rispetto a quelle del diritto societario e individuate dal quarto comma del citato articolo. Interpretazione che sarebbe anche coerente con la logica del Testo Unico incentrata ad esaltare la posizione (e protezione) del socio pubblico, così V. Donativi, Le società miste, cit., p. 252; logica talora anche in termini non del tutto bilanciati rispetto agli interessi, ai diritti (e alle esigenze di protezione) del socio privato.
18 Così, V. Donativi, Le società miste, cit., p. 263, che sottolinea come una soluzione più efficace (e sicuramente più coerente con il modello) possa essere quella che attribuisce al socio privato una partecipazione di maggioranza in modo che gli venga assicurato il pieno esercizio del ruolo operativo; ruolo che, potrà anche assicurarsi (pur in presenza di una maggioranza del socio pubblico) attraverso una particolare articolazione statutaria.
19 Il riferimento è alle società miste multiutilities a cui è possibile affidare servizi anche non simultaneamente. Nello specifico, l’art. 17, comma 5, T.u.s.p., prevede che, per ottimizzare la realizzazione e la gestione di più opere e servizi, la società possa emettere azioni correlate ai sensi del 2350, comma 2, C.c.; costituire patrimoni destinati ovvero essere assoggettata a direzione e coordinamento da parte di un’altra società. Strumenti i primi esclusivamente di appannaggio delle società per azioni, i secondi (ancora) di dubbia applicabilità alle s.r.l. e che potrebbero, invece, costituire rispetto all’altra ipotesi (pur ipotizzabile per la s.r.l.) uno strumento da preferire per l’organizzazione della società a partecipazione mista pubblico-privata quale società multiservizi. Quanto alla ulteriore ipotesi utilizzabile anche per la s.r.l. (il riferimento è alle c.d. s.r.l. di gruppo o al gruppo di s.r.l., sul tema v. M. Miola, La s.r.l. di gruppo, in Le società a responsabilità limitata, III, a cura di C. Ibba - G. Marasà, Milano, 2020, p. 2117; per F. Guerrera, Le società a partecipazione mista, cit., p. 122, «l’art. 17, comma 5, T.u.s.p. prevede una struttura dell’impresa in forma di “gruppo” e l’assoggettamento della società al coordinamento di altra società, con conseguente applicazione, evidentemente, degli art. 2497 e ss. C.c.». Ipotesi quest’ultima che, però, ipotizza che sia la stessa società a partecipazione mista pubblico-privata ad essere assoggettata all’attività di direzione e coordinamento di altra società lasciando, dunque, almeno terminologicamente impregiudicata la questione della possibilità che siano gli Enti pubblici ad esercitare tale attività e la conseguente applicabilità agli stessi dell’art. 2497 C.c. La definitiva versione del Testo unico – a differenza della prima bozza che, all’art. 12, comma 2, individuava una responsabilità ex art. 2497 C.c. degli enti che esercitassero una attività di direzione e coordinamento, “nei confronti dei soci di minoranza e dei creditori delle società partecipate” – non chiarisce se sia effettivamente applicabile tale disciplina, lasciando, dunque, ancora aperto il problema della sua applicabilità agli enti locali e quale il possibile àmbito applicativo. Sul tema v.: C. Ibba, La tutela delle minoranze nelle società a partecipazione pubblica, in Riv. soc., 2015, pp.101 e ss.; Id., Società pubbliche e riforma del diritto societario, in Riv. soc., 2005, pp. 6 e ss.; E. Codazzi, La società in house. La configurazione giuridica tra autonomia e strumentalità, Napoli, 2018, pp. 239 e ss., 250 e ss.; Id., Enti pubblici e direzione e coordinamento di società: considerazioni alla luce dell’art. 2497, 1° co., C.c., in Giur. comm., 2015, I, pp. 1041 e ss.; Id., Sulla responsabilità da direzione e coordinamento dell’ente pubblico holding, in Società, 2021, pp. 827 e ss.; L. Mariconda, Gli enti pubblici e l’art. 2497, comma 1: un problema (ancora) irrisolto, in Giur. comm., 2022, pp. 56 e ss.; C. Garilli, La responsabilità dell’ente pubblico per l’attività di direzione e coordinamento sulle c.d. società strumentali, in Le Società, 2023, 6, pp. 657 e ss.; F. Fimmanò - F. Sucameli, Gli indici formali e legali di “controllo pubblico” e i fatti concludenti dell’abuso di eterodirezione, in Riv. Corte conti, 2020, 4, pp. 3 e ss.; F. Fimmanò, L’abuso di eterodirezione della società pubblica, ivi, 2019, 6, pp. 3 e ss.; C. Angelici, In tema di “socio pubblico”, in Riv. dir. comm., 2015, I, p. 179; Id., Notarelle (quasi) metodologiche in materia di gruppi di società, in Riv. dir. comm., 2013, I, p. 380; V. Cariello, Brevi note critiche sul privilegio dell’esonero dello Stato dall’applicazione dell’art. 2497, 1° comma, C.c. (art. 19, 6° comma, D.L. n. 78/2009), in Le società a partecipazione pubblica, cit., p. 176, pp. 182 e ss.; M. Carlizzi, La direzione e coordinamento delle società a partecipazione pubblica, in La governance delle società a partecipazione pubblica nel D.lgs. n. 175/2016, cit., pp. 353 e ss.
20 La questione, in via di estrema sintesi, è quella del ruolo e dei limiti all’autonomia statutaria in tema di governance delle società a partecipazione mista-pubblico privata. Il riferimento è, quanto alla s.p.a., alle clausole derogatorie delle disposizioni dell’art. 2380-bis e dell’art. 2409-novies (al fine di consentire il controllo interno del socio pubblico sulla gestione dell’impresa); quanto alle s.r.l., alla previsione dell’attribuzione di diritti ai sensi dell’art. 2468, comma 3, C.c. (sia al socio pubblico che al privato) nonché alla possibilità di derogare l’art. 2479, comma 1, C.c., nel senso di eliminare o limitare la competenza dei soci. Ed è proprio in relazione a tali deroghe, che si sollevano alcuni dubbi sulla conformità o comunque funzionalità al ruolo che il legislatore ha sicuramente voluto riconoscere al socio privato. La norma, infatti, è sicuramente da interpretare nel senso di un “potenziamento” dei poteri del socio pubblico mentre sarebbe stato opportuno anche ammettere clausole che consentissero al socio privato (solitamente minoritario) una maggiore partecipazione nella gestione. Ciò sarebbe stato più conforme alla distribuzione dei ruoli (così come delineata dalle prescrizioni europee) e in linea con quanto emerso dalla prassi che ha evidenziato proprio la necessità di un maggior “coinvolgimento” dello stesso, soprattutto in presenza di una partecipazione pubblica maggioritaria. Coinvolgimento che (il più delle volte) viene assicurato dagli statuti attraverso il “gioco” di quorum deliberativi rafforzati ovvero con la predisposizione di peculiari modalità di nomina degli amministratori ovvero ancora attraverso il “sistema” delle deleghe interne al consiglio di amministrazione e una puntuale indicazione dei limiti dei poteri dell’amministratore delegato, solitamente scelto tra gli amministratori di nomina privata.
21 Di qui l’esigenza di dettare una peculiare regolamentazione anche sul piano statutario e, all’occorrenza, mediante accordi parasociali, dei rapporti “interni” fra socio pubblico e socio privato inerenti agli assetti proprietari ed al governo della società mista, che lo stesso contratto di servizio non potrebbe, da solo, disciplinare convenientemente. Ed invero, le regole relative alla governance si applicano solo alle società a controllo pubblico mentre per le società meramente partecipate si introducono norme che disciplinano il socio pubblico piuttosto che la società partecipata; sulla strumentalità della società mista rispetto al programma negoziale di partenariato pubblico-privato, v. F. Luciani, «Pubblico» e «privato» nella gestione dei servizi economici locali in forma societaria, in Riv. dir. comm., 2012, I, pp. 719 e ss., in part. 756; F. Guerrera, Lo statuto della nuova società, cit., pp. 546 e ss.
22 Non è questa la sede per approfondire la disciplina dei “controlli interni” degli enti locali di cui al Capo III del D.lgs. n. 267/2000, il cui art. 147 (rubricato “Tipologie dei controlli interni”) individua il “sistema di controllo interno” che gli Enti locali, nell’àmbito della loro autonomia normativa e organizzativa, devono individuare quale “presidio” per l’osservanza degli obblighi di finanza pubblica oltreché per la salvaguardia dell’integrità e della trasparenza della gestione delle risorse finanziarie pubbliche assegnate. “Vigilanza e controlli sulla gestione” disciplinati anche dall’art. 28 del D.lgs. n. 201/2022. Quanto alle tipologie di controlli e alle specifiche funzioni, v. Corte dei conti n. 23/SezAut/T/2019/FRG, “I controlli Interni degli enti locali”. Per quanto di interesse in questa sede il riferimento è all’art. 147-quater (“Controlli sulle società partecipate non quotate”) che attribuisce ad un ufficio appositamente preposto dall’Ente proprietario il compito di definire, nella Relazione previsionale e programmatica, gli obiettivi gestionali, secondo standard quantitativi e qualitativi cui le società partecipate non quotate devono tendere. Obiettivi che dovranno successivamente essere “monitorati” dall’amministrazione al fine di consentire l’indicazione degli eventuali e adeguati correttivi da introdurre, nei casi di scostamento dagli stessi. La Corte (richiamando sul tema anche la deliberazione della Corte dei conti, Sez. contr. Sicilia, 292/2016/PRSP) evidenzia, tra l’altro, come “l’assetto della governance delle società partecipate, debba conformarsi a «basilari principi di sana gestione finanziaria», i quali presuppongono la conoscenza dello stato degli organismi partecipati, le valutazioni di convenienza economica e gestionale degli stessi (anche in termini di costi-benefici), l’adeguatezza degli standard quantitativi e qualitativi prefissati, l’elaborazione e l’attento monitoraggio dei contratti di servizio, la programmazione di coerenti piani industriali e di valide prospettive di sostenibilità economico-finanziaria e gestionale oltre che un flusso informativo costante”. In sintesi, un proficuo svolgimento dei controlli presuppone necessariamente una governance in cui è fondamentale una “dialettica costante” tra l’Ente proprietario e la società (affinché siano “monitorati” la gestione e i risultati complessivi della stessa, che si riverberano sugli equilibri degli Enti territoriali) ma non richiede obbligatoriamente una posizione dominante. L’importanza di un rafforzamento dei “flussi” informativi e soprattutto l’accesso alla documentazione contabile, gestionale ed organizzativa della società è evidenziata anche dalla deliberazione della Corte dei conti, Sez. reg. contr. Lombardia, n. 199/2018/VSG, che rileva come le irregolarità di tale attività di monitoraggio possano comportare una responsabilità degli amministratori, ai sensi dell’art. 148, comma 4, D.lgs. n. 267/2000; cfr. M. Scognamiglio, La responsabilità amministrativa da assenza o inadeguatezza del sistema di controllo interno degli enti locali, in www. Diritto&Conti.it; sul tema, tra gli altri, I. Cavallini - M. Orsetti - E. Riva, Il controllo degli Enti locali sulla gestione delle società partecipate e sull’assolvimento degli obblighi “pubblicistici”, in Azienditalia, 2021, 10, p. 1645; A. Vaccari, I controlli degli Enti locali sugli organismi partecipati: lo stato dell’arte tra gli oneri di T.e.u.l. e T.u.s.p., la prevenzione della corruzione ed il controllo sui servizi pubblici locali, ibidem, 2024, 7, p. 865.
23 Così F. Guerrera, La governance delle società a partecipazione pubblica, in Imprese a partecipazione pubblica, p. 87; Id., Lo statuto della nuova società, cit., p. 574; nello stesso senso sembrerebbe V. Donativi, Le società a partecipazione pubblica, cit., p. 1275, secondo cui, la portata del controllo contrattuale, potrebbe manifestarsi con una certa frequenza proprio nel settore pubblico in virtù della presenza di “certi” contratti di servizio per i quali la società concessionaria finisce per operare esclusivamente nell’àmbito di quel rapporto di servizio e la cui sopravvivenza, pertanto, per dipendere dalla sorte dello stesso contratto, ciò a maggior ragione in presenza di clausole contrattuali che prevedendo “direttive” ed “ordini di servizio” con “livelli di vincolatività” determinano una compressione dell’autonomia della stessa società. L’“apice” di tale “dipendenza” si verificherebbe secondo l’A. nel caso di società in house per le quali (anche se solitamente sussiste una partecipazione di controllo interno) non è da escludere a priori una rilevanza del controllo contrattuale sol che si pensi alle fattispecie dell’in house frazionato; sul tema E. Marchisio, L’eterodirezione “pubblicistica”, in Aa.Vv., Le imprese pubbliche. A volte ritornano, a cura di C. Brescia Morra - G. Meo - A Nuzzo, Analisi Giuridica dell’Economia, Bologna, 2015, 2, p. 442. Id., Contratti ed «eterodirezione» della società, in Nuovo dir. soc., 2012, p. 99. In senso dubitativo, M.E. Comba - F. Sudiero, Le società a “controllo pubblico” (congiunto): luci e ombre dal (e sul) codice civile?, in Giur. it., 2020, p. 391, secondo cui, sulla premessa che il legislatore abbia richiamato anche la fattispecie del controllo contrattuale (di cui all’art. 2359, comma 1, n. 3) e, in ogni caso, in virtù dell’art. 2, comma 1, lett. b), da considerare quale ipotesi di controllo da influenza positiva (e non di mero veto), ritengono che si darebbe luogo ad una forma di controllo (forse non voluta) di tutti quei soggetti che «in qualche modo dipendono» (in via contrattuale ma soprattutto per legge) dagli enti pubblici. Il riferimento è ad esempio ai soggetti destinatari di finanziamenti pubblici o a quelli le cui decisioni sono prese dagli enti pubblici stessi. Secondo gli A., a tale ultima ipotesi, sarebbero da ricondurre proprio le società che gestiscono public utilities che sono soggette alla regolazione dell’Arera e delle diverse normative di settore atteso che l’Autorità di regolazione determina le tariffe, i relativi obblighi e i livelli di qualità del servizio. Contrattazione “eterodiretta” che potrebbe, cioè, “avvicinarsi” ad una forma di controllo in quanto ogni loro modifica inciderebbe sulle scelte gestionali e finanziarie dei soggetti regolati anche se (come sollevato dagli stessi Autori) si tratti di provvedimenti generali e non diretti alle singole società. E ciò, forse, sarebbe già argo-mento sufficiente per escludere il controllo societario. Il tema potrebbe ricondursi alla c.d. «contrattazione conformata», su cui v. S. Zuccarino, Il contratto «conformato» quale statuto normativo del mercato energetico, Napoli, 2021; A. Ferrara - Zumbini, La regolazione amministrativa del contratto, Torino, 2016.
24 Cfr. TAR Lazio, 19 aprile 2019, n. 5118, in www.giustiziaamministrativa.it, il quale, pur riconoscendo che “attraverso il contratto di servizio si attuano poteri e funzioni pubblicistiche, ritiene che gli stessi non siano in quanto tali idonei a configurare la forma di “controllo” invocata, di cui all’art. 2359, n. 3, C.c.”, ritenendo necessario individuare “poteri di controllo interno” sulla gestione della società in quanto tale che legittimerebbero, ai sensi dell’art. 17, comma 4, D.lgs. n. 175/2016, deroghe (nel caso di specie non evidenziate) al regime delle società commerciali. Ai fini del controllo pubblico occorrerà dunque provare che il contratto di servizio contenga clausole “ulteriori” che incontrovertibilmente attestino i legami particolari fondanti il “controllo” sulla società.
25 Sull’argomento v. infra § 4.
26 In tal senso v. Corte dei conti, Sez. contr. Lombardia, n. 398/2016/PAR, secondo cui non è possibile il mantenimento di una partecipazione societaria di un (singolo) ente pubblico per la realizzazione di “servizi di interesse generale” qualora siffatta partecipazione sia minoritaria. In questi casi, il servizio espletato non può rientrare nella definizione di servizi di interesse generale, non potendo esserne garantita la fruibilità secondo le modalità richieste dal T.u.s.p. Successivamente, il TAR Veneto, 5 aprile 2018, n. 363, in www.leggiditalia.it, estende la conclusione della Corte dei conti al caso delle partecipazioni pulviscolari stante l’evidente somiglianza tra il caso dell’unico socio pubblico titolare di una partecipazione minoritaria (analizzato dalla Corte dei conti) e quello dei Comuni resistenti, titolari ciascuno di una partecipazione al capitale sociale. Secondo i giudici amministrativi, le partecipazioni “pulviscolari” non consentono di per sé ai singoli soci pubblici di influire sulle decisioni strategiche della società e tantomeno sulle decisioni attinenti alle modalità di accesso ai servizi e di erogazione di questi. Aderendo al precedente orientamento del Consiglio di Stato, Sez. V, 11 novembre 2016, 4688, in www. leggiditalia.it, viene ribadito che: “[…] il rapporto di strumentalità di un ente societario, formalmente privatistico e naturalmente operante nel mercato, rispetto ai fini di interesse pubblico devoluti alla cura dell’Amministrazione partecipante, non dipende dal solo oggetto sociale, ma anche dalle ‘modalità’ con cui quest’ultima può esercitare le proprie prerogative di azionista ed indirizzarne e coordinarne l’attività […]”. In altri termini, per un’autorità amministrativa rileverebbe non solo il “se” sia opportuno partecipare al capitale di una società che eserciti un’attività economica ma anche il “come” la stessa venga svolta e, dunque, quale “influenza” sia possibile esercitare per assicurarne la coerenza con finalità di interesse pubblico. La citata sentenza del TAR Veneto verrà nel merito confermata in appello dal Consiglio di Stato, Sez. V, 23 gennaio 2019, n. 578, in www.dejure.it, seppur con una diversa motivazione cercando (in parte) di superare l’assunto che la qualificazione di un’attività come “servizio di interesse generale” dipenda dalle modalità organizzative con le quali è svolta. Il Collegio invero, correttamente differenziando il profilo relativo alla finalità dell’attività da quello inerente alla dimensione della sua organizzazione, non condivide l’argomentazione dell’appellata sentenza per la quale a una partecipazione pulviscolare non può per definizione seguire lo svolgimento di un servizio di interesse generale ma ne condivide la considerazione secondo cui la partecipazione pulviscolare è inidonea a consentire ai singoli soggetti pubblici di incidere sulle decisioni strategiche della società e quindi di poter effettivamente avere un’interferenza sul c.d. fine pubblico dell’impresa. Si richiede, pertanto, la stipulazione di adeguati patti parasociali ovvero la previsione di un organo speciale (che al pari delle assemblee speciali di cui all’art. 2376 C.c. ovvero dell’assemblea degli obbligazionisti) possa esprimere le volontà dei soci pubblici. Singolare l’aver riconosciuto tale ultima opzione della quale andrebbe verificata (problematica su cui ci si riserva una futura trattazione) la non contrarietà con il divieto di istituire “organi diversi da quelli previsti dalle norme generali in tema di società”, di cui all’art. 11, comma 9, lett. b, T.u.s.p. Divieto che è stato ritenuto come finalizzato in particolare ad impedire l’istituzione dei c.d. comitati di coordinamento delle società pluripartecipate a maggior ragione se aventi poteri di gestione o d’indirizzo, v. F. Guerrera, Considerazioni in tema di controllo, controllo congiunto e controllo analogo nella disciplina del T.u.s.p., in Riv. dir. soc., spec., p. 525 (da cui si cita) e già in Studio del Consiglio Nazionale del Notariato, n. 28 - 2017, in Studi e materiali, 2017, pp. 537 e ss.
27 Problema questo del controllo pubblico congiunto a cui si accennerà nel successivo paragrafo.
28 In questi casi (partendo dalla definizione di “servizio di interesse generale” di cui all’art. 2, lett. h), del T.u.s.p.), si ritiene che, ove la partecipazione dell’Ente sia minoritaria (ed in assenza di altri soci pubblici che consentano il controllo della società), il servizio espletato non possa ritenersi “servizio di interesse generale” poiché, a prescindere da ogni altra considerazione relativa alle finalità istituzionali dell’Ente, l’intervento pubblico, stante la partecipazione minoritaria, non può garantire l’accesso al servizio, come declinato dal citato art. 2: “l’accesso al servizio non sarebbe svolto dal mercato, oppure sarebbe svolto a condizioni differenti in termini di accessibilità fisica ed economica, continuità e non discriminazione”. In definitiva, una partecipazione poco significativa non sarebbe in grado di determinare le condizioni di accesso al servizio, che potrebbero legittimare il mantenimento della quota.
29 Occorre in particolare: verificare se questa partecipazione sia tale da consentire all’Ente di governare verso le succitate finalità istituzionali la società partecipata o, meglio, la sua attività. Laddove questo “governo” non sia possibile, si ritiene che la partecipazione dell’Ente pubblico assuma nei fatti le caratteristiche di un semplice “sostegno finanziario” ad un’attività di impresa che si realizza tramite la sottoscrizione di parte del capitale ma che non si accompagna alla possibilità di indirizzarla verso finalità di “interesse pubblico”, così Cons. Stato, 11 novembre 2016, 4688, cit. Come meglio si specificherà, è noto come, le diverse interpretazioni in tema di controllo pubblico (e pubblico congiunto) ruotano intorno al rilievo da riconoscere all’effettivo esercizio dei poteri di controllo di cui si fa menzione nell’art. 2, lett. m), del T.u.s.p., nonché ai rapporti tra la definizione di controllo dell’art. 2359 C.c. e quella ricavabile dal combinato disposto delle lett. b) e m) dell’art. 2 T.u.s.p. Il Testo unico valorizza sicuramente una prospettiva “sostanzialistica” del controllo nella quale è l’effettivo esercizio di quest’ultimo a rilevare ai fini dell’individuazione delle società controllate dalla P.A. e, dunque, dell’applicazione della relativa disciplina, secondo quanto emerge anche dal disposto dell’art. 2, lett. m), il quale definisce le “società a controllo pubblico” come società in cui: “una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo”. Il vero nodo della questione è sicuramente la corretta individuazione dei limiti di questa prospettiva “sostanzialistica”. Sul tema, il TAR Veneto, 5 aprile 2018, n. 363, cit., ha ritenuto che il carattere polverizzato delle partecipazioni potrà essere superato solo ove si provi la sussistenza di elementi tali da garantire un controllo congiunto degli enti sulla società, richiamando (nei limiti della “compatibilità” per la presenza di soci privati) quegli indici presuntivi (elaborati dalla giurisprudenza) per il caso del c.d. in house frazionato (in cui vi è una società che si pone come “in house” rispetto a più Enti pubblici soci) che, seppur diverso, si ritiene presenti alcune somiglianze rispetto alle partecipazioni pubbliche “pulviscolari”. Secondo tale ricostruzione, la prova del controllo pubblico per legittimare la detenzione della partecipazione potrà avvenire solo ove concretamente vi sia una “formalizzazione” in tal senso (attraverso, ad esempio, la sussistenza di patti parasociali, di sindacato, o di previsioni statutarie) che consenta, mediante il controllo congiunto di superare l’impossibilità del singolo Ente di controllare “vita” e “attività” della “holding”. Quanto agli indici presuntivi del controllo analogo, v. Cons. Stato, Sez. V, 24 settembre 2010, n. 7092 in www.dejure.it; TAR Lombardia, Sez. III, 10 dicembre 2008, n. 5758, in Contr. stato enti pubb., 2009, 1, p. 43; TAR Lazio, Roma, Sez. II, 16 ottobre 2007, n. 9988, in www.giustiziaamministrativa.it.
30 Lo stesso Cons. Stato, Sez. V, 23 gennaio 2019, n. 578, cit., pur arrivando a confermare l’obbligo di dismissione di una partecipazione minoritaria ha cura di precisare che la qualificazione di un’attività quale servizio di interesse generale prescinda dalle modalità organizzative con le quali è svolta, non potendosi dunque concludere che “ad una partecipazione a dimensione quantitativa pulviscolare non [possa] per definizione seguire lo svolgimento di un servizio di interesse generale”; e però poi non sembra giungere ad una motivazione coerente con tale premessa laddove precisa che la mancanza di un coordinamento formalizzato, mediante strumenti negoziali, tra le amministrazioni partecipanti, ciascuna con una partecipazione di minoranza deve considerarsi rilevante, quale modalità organizzativa del servizio, nella prospettiva della legittimità dell’esercizio della funzione amministrativa da parte dell’ente pubblico; non potendo tuttavia per ciò solo essere ritenuta indicativa della mancanza di un controllo pubblico congiunto sulla società.
31 Seppur le citate decisioni (per l’oggetto del giudizio) non prendono alcuna netta posizione circa la corretta individuazione della definizione della società a controllo pubblico sono sicuramente influenzate dalla stessa e saranno richiamate dalla successiva giurisprudenza ora per restringere ora per ampliare la nozione di società a controllo pubblico. In tal senso, la delibera della Corte dei conti n. 11/SSRRCO/QMIG/19 delle Sezioni riunite in sede di controllo che – dopo aver specificato come le sentenze sottoposte ad esame (TAR Veneto 363/2018 e Consiglio di Stato n. 578/2019, citate nella delibera di rimessione) siano intervenute a valutare, ai fini del sindacato di legittimità su provvedimenti di razionalizzazione societaria (ex art. 24 T.u.s.p.), il differente profilo nella prospettiva dell’ente socio (non della società) della stretta inerenza della partecipazione societaria alla missione istituzionale di quest’ultimo (art. 4 T.u.s.p.) e non quello relativo all’àmbito di estensione della nozione di “società a controllo pubblico” – superano l’orientamento di una necessaria “formalizzazione” del controllo pubblico congiunto (richiesto dalle sentenze richiamate) e arrivano a ritenere che possano qualificarsi “società a controllo pubblico” anche quelle in cui “una o più” amministrazioni dispongono della mera maggioranza dei voti esercitabili in assemblea ordinaria, fatta eccezione per l’ipotesi in cui (pur in presenza della suddetta maggioranza) vi sia un socio privato in posizione di controllo solitario di fatto (ex art. 2359, comma 1, n. 2) o di controllo congiunto (assieme ad altri soci pubblici); conformi: Corte dei conti, Sez. reg. contr. Liguria, n. 3/2018/PAR e n. 29/2020/PAR; Corte conti, Sez. reg. contr. Piemonte, n. 42/2018/PAR; Corte dei conti, Sez. reg. contr. Trentino-Alto Adige, n. 8/2018/PAR; Corte dei conti, Sez. reg. contr. Lombardia, n. 116/2019/PAR; Corte dei conti, Sez. reg. contr. Lazio, n. 32/2020/PAR e 128/2020/PAR.
32 Cfr., M. Bianchini, Il rapporto tra “società a partecipazione pubblica e “società a controllo pubblico” alla luce della nozione di “controllo” (solitario e congiunto) del Testo Unico, in Le società pubbliche, a cura di F. Cerioni, Milano, 2023, pp. 59 e ss. Del resto, si aggiunge, quando il legislatore intende dare rilievo alla “partecipazione” ha cura di utilizzare una precisa terminologia “società a partecipazione pubblica” e similari, cfr. V. Donativi, Le società a partecipazione pubblica, cit., pp. 1264 e ss.
33 Ancor più singolare poi che la giurisprudenza ricorra alle stesse argomentazioni (della necessità di un controllo pubblico) in relazione al c.d. divieto di soccorso finanziario” (cfr. Corte dei conti, Sez. reg. contr. Veneto, n. 18/2021/PAR) e per legittimare la partecipazione in società aventi quale oggetto esclusivo la valorizzazione degli immobili della pubblica amministrazione; partecipazioni (queste ultime) che possono essere acquistate anche in deroga al vincolo di scopo (in tale senso dovendo interpretarsi la previsione che per l’acquisto di tali partecipazioni consente una deroga al comma 1 dell’art. 4 T.u.s.p.), v. Corte dei conti, Sez. contr. Emilia-Romagna, n. 1/2021/PAR.
34 Come sembrerebbe desumibile dalla decisione del Consiglio di Stato che giunge(rebbe) a ravvisare l’obbligo per ogni “società a partecipazione pubblica” di organizzarsi in una “società a controllo pubblico”, per evitare situazioni di partecipazioni pubbliche “pulviscolari” in società che esercitino attività d’impresa (inclusi i SIEG) e al fine di ritenere così rispettate le norme che ne consentono la costituzione, l’acquisto, la gestione e la eventuale dismissione, ai sensi degli artt. 4, 5, 7, 20 e 24, T.u.s.p. (v. Cons. Stato, n. 578/2019, cit.); nello stesso senso v. Corte dei conti, Sez. riunite contr., 20 giugno 2019, n. 11, dove viene ribadito che – nel caso di società a maggioranza (o integralmente pubbliche) e fatta salva la disciplina delle società miste affidatarie di contratti a seguito di gara c.d. a doppio oggetto – gli enti pubblici hanno l’obbligo di “formalizzare il controllo”; adducendo alcune argomentazioni sulle quali non si ritiene di poter concordare. Oltra a quella da collegare alla stessa legittimità di una partecipazione pubblica in assenza di controllo (già analizzata) deve richiamarsi la “funzionalizzazione” del citato obbligo che la Corte ritiene necessario in quanto strumentale alla strutturazione (ai sensi degli artt. 147 e 147-quater del D.lgs. n. 267 del 2000) delle procedure di controllo interno sulle società; controlli che, come si accennava, deve escludersi che implichino necessariamente un’influenza dominante della società attenendo ad un àmbito diverso (v. supra, nt. 22); per la decisone della Corte dei conti, Sez. riun., 22 maggio 2019, n. 16 (pur espressamente richiamata dalla citata sezione di controllo) deve invece escludersi che gli enti detentori di partecipazioni debbano provvedere alla gestione delle stesse in modo “associato” e “congiunto” (v. infra § successivo).
35 Cfr. deliberazione della Corte dei conti, Sez. reg. contr. Emilia-Romagna, n. 48/2021/VSGO, in relazione ai piani di ricognizione del Comune di Rimini e con riferimento alla società Uni. Rimini spa, Società Consortile per l’Università del Riminese, dove la Corte esprime un giudizio negativo proprio sul rilievo che la peculiare connotazione proprietaria del capitale pubblico (pari al 47, 52% del capitale e al 13, 60% di azioni proprie) avrebbe esposto la società al pericolo di una paralisi assembleare ritenendo non applicabile alle società coabitate da soci pubblici e soci privati le conclusioni cui è giunta la Cass., Sez. I, 2 ottobre 2018, n. 23950, in Riv. dir. soc., 2020, pp. 389 e ss., con nota di G. Bovenzi, Azioni proprie e computo dei quorum assembleari. Come è noto, tale ultima decisione, per il principio dell’agilità del funzionamento dell’organismo societario, ha ritenuto non ostare (al computo del quorum costitutivo e deliberativo delle azioni proprie) il pericolo della c.d. paralisi assembleare, ciò in quanto, il citato principio non impedisce che possa costituirsi anche una società paritetica essendo rimessa ai soci la scelta se accettare o meno il rischio, in presenza di “dissidi insanabili”, di addivenire all’impossibilità di un funzionamento dell’organo assembleare. Ciò in questa sede, brevemente richiamato, i giudici contabili ritengono che le suddette argomentazioni non possano trovare applicazione nel caso di società “coabitate” perché ne conseguirebbero effetti negativi sul corretto esercizio delle risorse pubbliche.
36Per un approfondita analisi delle “situazioni” e dei rimedi nel caso di stallo assembleare, sia consentito rinviare a: C.A. Busi, Lo stallo decisionale assembleare. Studio n. 123-2022/I del Consiglio Nazionale del Notariato, approvato dalla Commissione Studi d’Impresa il 26 gennaio 2023; A. Pisani- Massamormile, Minoranze, “abusi” e rimedi, Torino, 2004; sul problema dello stallo nel caso di società paritetiche, da ultimo, C. Limatola, Lo “stallo decisionale” nelle s. p. a., Torino, 2024, a cui si rimanda anche per l’approfondita bibliografia in materia.
37 Per un’analisi dei due “modelli” in passato ammessi dalla legislazione vigente di società mista a capitale pubblico maggioritario o minoritario, v.: G.F. Campobasso, La costituzione delle società miste per la gestione dei servizi pubblici locali: profili societari, in Riv. soc., 1998, pp. 390 e ss.; A.M. Leozappa, Sulle società miste per la gestione dei servizi pubblici degli enti locali, in Giur. comm., 1998, 1, pp. 67 e ss.; P. Abbadessa, Le società miste per i servizi locali: profili organizzativi speciali, in Le società miste per i servizi locali, a cura di F. Trimarchi, Milano, 1999, pp. 87 e ss., che con osservazione tuttora da evidenziare già sosteneva che (avuto riguardo alle società miste a “prevalente” capitale pubblico) l’autonomia statutaria avesse, da un lato, l’obiettivo dell’ente di assicurare la stabilità del socio o soci prescelti dall’Ente per la costituzione della società, dall’altro, di “incentivare l’interesse di tali soci alla partecipazione, rafforzandone il ruolo all’interno della società”.
38 La definizione di cui all’art. 2, lett. m), T.u.s.p., così recita: “società a controllo pubblico”: “le società in cui una o più amministrazioni pubbliche (così come definite dall’art. 2, lett. a), esercitano poteri di controllo ai sensi della lett. b); lett. b) che a sua volta sancisce la definizione di ‘controllo’ come «la situazione descritta nell’articolo 2359 del codice civile»”, aggiungendo che: “Il controllo può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo”.
39 Nonostante il “proliferare” di definizioni speciali di controllo societario, la prevalente dottrina ha riconosciuto alla disposizione di cui all’art. 2359 C.c. una posizione di “centralità sistematica”. L’affermazione è stata recentemente confermata da A. Palazzolo, La nozione di controllo societario nel Codice Antimafia, in Orizzonti dir. comm., 2021, n. 1, pp. 275 e ss., 304; M. Lamandini, Società controllate e collegate, in Trattato delle società, diretto da V. Donativi, II, Milano, 2022, pp. 1081 e ss.; già: Id., Società controllate e società collegate, in Le società per azioni, diretto da P. Abbadessa - G.B. Portale, I, Milano, 2016, pp. 743-745; G. Mollo - D. Montesanto, Il controllo societario nel Testo unico della finanza – Problemi e prospettive di riforma, in Quaderni Giuridici Consob n. 8 (giugno 2015), Roma, p. 201; V. Cariello, Tra controllo e non controllo: sul mimetismo e sull’occultamento del controllo c.d. di fatto, in Riv. dir. soc., 2017, pp. 13 e ss.; Id., A favore di un riequilibrio tra tutela (diritti) dei soci non di controllo e tutela (diritti) dei soci di controllo (nelle sole società controllate c.d. di diritto), in Riv. dir. comm., 2018, I, pp. 249 e ss.; per tutti ed altri autori sia consentito rinviare a M. Bianchini, Il rapporto tra “società a partecipazione pubblica e “società a controllo pubblico”, cit., p. 60, spec. nt. 2, 70 spec., nt. 17; in senso contrario: M.S. Spolidoro, Questioni in tema di controllo di società, cit., spec. pp. 166-167, 172 (solo parzialmente discostandosi da quanto precedentemente sostenuto in Il concetto di controllo nel codice civile e nella legislazione antitrust, in Riv. soc., 1995, pp. 457 e ss.) secondo cui la centralità dell’art. 2359 C.c. sarebbe solo “apparente” e lo stesso non può considerarsi la figura suppletiva attorno alla quale costruire (in via derogatoria) le figure previste nella legislazione speciale, atteso che occorre partire dalla “constatazione oggettiva” che esistono diverse definizioni “finalizzate” di controllo. Ciò, se è evidente allorquando sia espressamente la stessa norma definitoria a limitare l’applicabilità di quella definizione, per le finalità dalla stessa perseguite (“ai fini della presente legge”), si ritiene debba valere anche quando manchi tale espressa finalizzazione; con la condivisibile conseguenza che tutte le definizioni di controllo devono essere interpretate tenendo conto delle specifiche finalità della normativa che quella definizione introduce. Per il citato A., persino la stessa definizione della norma che comunemente si assume essere al centro del sistema (i.e. quella dell’art. 2359 C.c.) deve ritenersi “finalizzata”; norma di cui, tra l’altro, se ne auspica una “chiarificazione legislativa” suggerendo una “semplificazione” della formulazione che miri a chiarire il rapporto tra controllo di diritto e di fatto; ad eliminare la parte del controllo esterno e a spostare la nozione di società collegata al complesso normativo del bilancio. Sull’opportunità, non colta dal legislatore della riforma del diritto societario, di chiarire alcuni profili “controversi” dell’esatta portata della definizione di “società controllate” nonché di estenderla anche, pur con gli opportuni adattamenti, alle “altre società di capitali” (ciò per rendere la riforma pienamente conforme alle indicazioni della disciplina euro-unitaria), v. R. Weigmann, Verso una definizione di s.r.l. controllata, in Riv. dir. soc., 2014, 1, p. 30; per M. Bianchini, Il rapporto tra «società a partecipazione pubblica e società a controllo pubblico», cit., p. 70, nt. 16, si può ipotizzare come, anche per la disposizione di cui all’art. 2359 C.c., l’erosione della sua “centralità” potrebbe rinvenirsi nella «nuova e distinta rilevanza sistematica delle nuove definizioni delle norme “settoriali”»; Id., La nozione di controllo congiunto, cit., 57, nt., 41; e già G. Figà Talamanca, Direzione e «proprietà transitiva del controllo» di società, in Riv. dir. civ., 1993, II, pp. 338 e ss., p. 359.
40 Con ciò inserendosi nel trend costante della nostra legislazione caratterizzata dalla compresenza di numerose definizioni di controllo e riproponendo l’annoso dibattito (non ancora sopito) del rapporto tra le fattispecie di controllo “disegnate” nell’art. 2359 C.c. e quelle individuate nelle non poche norme di diritto speciale. Definizioni “speciali” di controllo di cui, giustamente, non si è mancato di sottolineare rispettivamente le diverse finalità operative anche nell’ottica di giustificare quegli elementi “aggiuntivi” rispetto a quelli della definizione codicistica o viceversa l’eliminazione degli stessi. Per una puntuale analisi delle disposizioni che, avuto riguardo alle società a partecipazione pubblica, discorrono di controllo e/o controllo pubblico cfr., V. Donativi, Le società a partecipazione pubblica, cit., pp. 1254 e ss. In generale per le diverse nozioni “speciali”, senza pretesa di esaustività, v.: i contributi in L. Acciari - F. Salerno - G. Visentini, Il controllo delle imprese nella legislazione italiana. Alla ricerca di una nozione comune, Pisa, 2023; M.S. Spolidoro, Il concetto di controllo nel codice civile e nella legislazione antitrust, in Riv. soc., 1995, pp. 457 e ss., G. Marino, La relazione di controllo nel diritto tributario: Aspetti interdisciplinari, Padova, 2008, spec. 260 e ss.; Id., Relazioni di controllo e attività d’impresa, in Riv. dir. trib., I, 2009, pp. 851 e ss.; D. Corapi, In tema di interpretazione delle nozioni di concentrazioni e di controllo nella Legge 10 ottobre 1990, n. 287, in Riv. dir. comm., 1992, I, p. 532; M. Notari, La nozione di controllo nella disciplina antitrust, Milano, 1996, pp. 67 e ss.; M. Lamandini, Appunti in tema di controllo congiunto, in Giur. comm., 1993, I, pp. 218 e ss., 243; Id., Il «controllo». Nozioni e «tipo» nella legislazione economica, Milano, 1995; R. Costi, I sindacati di voto nelle leggi più recenti, in Giur. comm., 1992, I, pp. 25 e ss.; S. Serafini, La qualificazione dei rapporti di controllo ai fini dell’accertamento dell’obbligo di redazione del bilancio consolidato, in Riv. dir. comm., 2004, p. 108.
41 Il richiamo operato a tutte le fattispecie civilistiche di controllo solleva particolari problemi avuto riguardo al c.d. controllo contrattuale che, così come è stato “disegnato” dagli interpreti, è ancor più incerto possa trovare concreta applicazione nell’àmbito delle società a partecipazione pubblica, specialmente ove si accolga la premessa che il contratto di servizio abbia un ruolo “diverso” e non possa essere, in ogni caso, considerato ex se e sempre quale “particolare vincolo contrattuale” fonte del controllo pubblico. Il rinvio alla sola nozione di controllo della norma codicistica sarebbe, invece, sicuramente da intendere nel senso di escludere la diversa fattispecie delle società collegate.
42 In tale ottica, si condivide il rilievo che anche la definizione “speciale” di controllo pubblico debba ritenersi “finalizzata” agli scopi specifici del T.u.s.p., v. M. Bianchini, La nozione di controllo congiunto, cit., p. 57, spec. nt. 41. Come si vedrà, l’orientamento prevalente (sia in dottrina che in giurisprudenza) ritiene che il legislatore del Testo Unico abbia chiaramente legittimato (diversamente rispetto alla nozione civilistica) un controllo congiunto, salvo doverne verificare l’estensione dell’àmbito applicativo rinvenendosi sul tema orientamenti discordanti; per M.E. Comba - F. Sudiero, Le società a ‘‘controllo pubblico” (congiunto), cit., p. 392, da un punto di vista soggettivo il T.u.s.p. avrebbe definitivamente dato accesso al concetto di controllo congiunto, da un punto di vista contenutistico, aprendo la strada a forme di «“dominio” più qualificate rispetto a quelle di cui all’art. 2359 C.c., dal veto ad una sorta di direzione e coordinamento» una “nuova” concezione di controllo che si collocherebbe tra la direzione e coordinamento “quasi” sovrapponendosi, pur senza coincidere con il controllo esterno di cui all’art. 2359, comma, 1, n. 3, C.c.
43 Non è questa la sede per ripercorrere analiticamente la cospicua letteratura che ha approfondito i tratti essenziali di ciascuna delle ipotesi civilistiche di controllo pacificamente accomunate da una posizione di “influenza dominante”. Sul tema e per una sintesi della ratio della disciplina generale del controllo codicistico, sia consentito rinviare, oltre agli autori già richiamati e a quelli che lo saranno successivamente, a: L. Schiuma, Sub art. 2359, cit., pp. 1250-1251; M. Lamandini, Sub artt. 2359-2359-quinquies, cit., p. 396; prima della riforma, v.: A. Pavone La Rosa, Tipologia dei “vincoli” di controllo e dei “gruppi” societari, in Trattato delle società per azioni, diretto G.E. Colombo - G.B. Portale, Torino, 1991, p. 582; G. Olivieri, La redazione del bilancio consolidato, in Trattato delle società per azioni diretto da G.E. Colombo - G.B. Portale, Torino, 1994, p. 684; G. Rossi, Le diverse prospettive dei sindacati azionari nelle società quotate e in quelle non quotate, in Riv. soc., 1991, p. 1371.
44 Per la tesi che il controllo di cui all’art. 2359 C.c. sia solo solitario, v. M. Notari - J. Bertone, Sub art. 2359, in Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchetti - L.A. Bianchi - F. Ghezzi - M. Notari, Milano, 2008, p. 668, 715 e ss., secondo cui a soluzione diversa non sarebbe possibile pervenire valorizzando il fatto che oggi il controllo di cui all’art. 2359 C.c. rilevi, in ragione della presunzione di cui all’art. 2497-sexies, rispetto all’applicazione della disciplina relativa all’attività di direzione e coordinamento, di cui agli artt. 2497 C.c., per la quale si ammette l’esercizio congiunto e ciò perché «alle due nozioni e alle relative discipline sono affidati ruoli e funzioni diverse, che giustificano una diversa configurazione delle due fattispecie»; ex plurimis: V. Donativi, I “confini” del controllo congiunto, in Giur. comm., 1996, I, pp. 553 e ss.; M. Miola, Società quotate, controlli esterni e gruppi di società, in Riv. dir. priv., 2005, p. 48; G. Lo Cascio, Sub art. 2359, in La riforma del diritto societario, a cura di G. Lo Cascio, Milano, 2003, p. 215; G.A. Rescio, I sindacati di voto, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. Colombo - G.B. Portale, 3*, Torino, 1994, pp. 679 e ss.; M.S. Spolidoro, Il concetto di controllo, cit., p. 487; R. Costi, I sindacati di voto nelle leggi più recenti, in Giur. comm., I, pp. 25 e ss., 32.
45 Tesi che, in sintesi, ritiene che il controllo possa configurarsi con l’esercizio “concertato” del diritto di voto superando con ciò l’argomento letterale (declinazione del controllo al singolare) e valorizzando il testo dell’art. 2341-bis che, riprendendo quanto già previsto per le società quotate dall’art. 122 T.u.f., fa esplicito riferimento ai patti parasociali che, ai fini di stabilizzare il governo della società, hanno per oggetto o per effetto l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante, v. P. Montalenti, I gruppi di società, in Trattato di diritto commerciale, diretto da G. Cottino, IV, Padova, 2010, pp. 1031 e ss., 1044; M. Lamandini, Appunti in tema di controllo congiunto, cit., pp. 234 e ss.; Id., Il “controllo”. Nozioni e “tipo” nella legislazione economica, Milano, 1995, spec. pp. 106 e ss.; Id., Società controllate e società collegate, cit., pp. 751 e ss.; V. Cariello, “Controllo congiunto” e patti parasociali, Milano, 1997, spec. pp. 85 e ss., Id., Dal controllo congiunto all’attività congiunta di direzione e coordinamento di società, in Riv. soc., 2007, pp. 18 e ss.; F. Guerrera, Considerazioni in tema di controllo, controllo congiunto e controllo analogo nella disciplina del T.u.s.p., in Riv. dir. soc., 2018, pp. 517 e ss., spec. 519-522; F. Cuccu -F. Massa Felsani, Sub art. 2, II, La nozione di controllo, cit., pp. 70 e ss., 82-84; V. Donativi, I “confini” del controllo congiunto, cit., p. 569. Una certa apertura sembrerebbe aversi in Trib. Milano, ord. 24 luglio 2018, in Giur. it., 2019, 3, p. 594.
46 E ciò, diversamente da come è (o almeno è stato) tradizionalmente inteso il controllo codicistico per il quale sarebbe la semplice “disponibilità” della maggioranza dei diritti di voto esercitabili in assemblea a fungere da “presunzione assoluta” di una influenza dominante a prescindere dal se i poteri collegati a quella maggioranza vengano o meno esercitati o “possano” essere esercitati, in tal senso M. Notari - J. Bertone, Sub art. 2359, cit., pp. 673, 701 e ss., 730; M. Lamandini, Società controllate e società collegate, cit., pp. 746 e ss.; Id., Sub artt. 2359-2359-quinquies, in Società di capitali. Commentario, a cura di G. Niccolini - A. Stagno D’Alcontres, I, Napoli, 2004, I, pp. 393 e ss., spec. 397, che rileva come, per l’applicazione della disciplina che il codice civile ricollega ad una “situazione” di controllo, sia «sufficiente il “pericolo” dell’influenza dominante […] non occorrendo – nel caso di controllo interno e a differenza che per il controllo esterno di cui al n. 3, del medesimo art. 2359 C.c. – l’“evento” dell’influenza dominante effettiva»; L. Schiuma, Sub art. 2359, cit., p. 1265; P. Spada, Diritto commerciale, vol. II, Padova, 2009, pp. 161-164, ove l’affermazione per cui «altro [...] è il potere di governare altro il governo»; su posizioni diverse, espressamente statuendo che «non controlla chi, pur avendo la maggioranza dei voti nell’assemblea ordinaria, non può nominare (e revocare) gli amministratori o la maggioranza di essi», M.S. Spolidoro, Il concetto di controllo, cit., p. 480; G.A. Rescio, I sindacati di voto, cit., p. 688; L.A. Bianchi, La nuova definizione di società “controllate” e “collegate”, in La nuova disciplina dei bilanci di società, a cura di M. Bussoletti, Torino, 1995, pp. 1 e ss. È quanto ribadito anche dalla Cass. 3 maggio 2017, n. 10726, in Riv. dir. soc., 2019, 2, pp. 377 e ss. (con nota di N. Calvi, Collegamento societario indiretto: rilevanza della fattispecie ed esistenza della relativa presunzione) secondo cui, come è stato efficacemente sintetizzato: «una società può essere controllante di diritto senza avere un’influenza dominante sull’assemblea di quest’ultima», così M.S. Spolidoro, Questioni in tema di controllo di società, cit., p. 174. Per una sintesi e per ulteriore bibliografia V. Donativi, “Società a controllo pubblico” e società a partecipazione pubblica maggioritaria, in Giur. comm., 2018, I, pp. 747, 766 (nt. 37).
47 V. Donativi, “Società a controllo pubblico”, cit., pp. 766-767.; Id., Sulla nozione di società a controllo pubblico, in Riv. dir. soc., 2021, pp. 13 e ss., K. Martucci, La nozione di controllo pubblico nel Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, in Giur. Comm., 2022, 1, pp. 105 e ss.
48 Esplicita rilevanza sottolineata anche dal Consiglio di Stato (nel citato parere n. 438/16 – nr. pubb. e sped. n. 968/16 – parte II, par. 2.1, p. 915) che, nel suggerire di inserire per “fini di chiarezza” anche una definizione del “controllo congiunto”, ha affermato come questo sia nella sostanza già recepito dal testo in esame, «[…] che però non ne isola la nozione, facendola rientrare in quella – allargata – di “controllo”, peraltro in termini non molto chiari», sul punto v. D.E. Brici - A. Donato, Sub artt. 1-2, in Il testo unico sulle società pubbliche, cit., pp. 18 e ss., spec. 36, che rilevano come il richiamo alle decisioni «finanziarie e gestionali strategiche» risulterebbe poco omogeno rispetto alla definizione civilistica di controllo ritenendo più opportuno che il legislatore avesse utilizzato la più familiare nozione di «influenza dominante». La problematica, tra l’altro risalente, è stata analizzata anche in relazione ad altre ipotesi normative per le quali l’opzione interpretativa della legittimità di un controllo pubblico congiunto si è ritenuta preferibile, cfr. V. Donativi, Le società a partecipazione pubblica, cit., pp. 1259-1261, che sottolinea come, in tali casi, non si operasse un rinvio integrale all’art. 2359 C.c., come nel caso del T.u.s.p. che, dunque, da un punto di vista sistematico impone di interrogarsi sulla ratio dello stesso rinvio. Tra le altre normative speciali che farebbero riferimento ad un controllo congiunto, v.: il D.lgs. n. 58/1998 (T.u.f.) [art. 122, comma 5, lett. d), e art. 93] nonché il D.lgs. n. 14/2019 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza) [art. 2, comma 1, lett. h)]; sull’argomento, tra gli altri, v. C. Esposito, I gruppi di imprese nella dimensione del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Giust. civ., 2023, 3, 10, pp. 543 e ss.; G. Racugno, I gruppi di imprese nella regolazione della crisi e dell’insolvenza. Appunti, in Dir. fall. soc. comm., 2020, 6, p. 1269; N. Abriani, La disciplina dei gruppi di imprese nel Codice della crisi e dell’insolvenza, in Diritto della Crisi, “Studi sull’avvio del Codice della crisi”, a cura di L. De Simone - M. Fabiani - S. Leuzzi, n. speciale settembre, 2022, pp. 178 e ss.; M. Spiotta, Codice della crisi d’impresa dell’insolvenza – la disciplina dei gruppi, in Giur. it., 2019, pp. 8-9, 2014; F. Lamanna, Il nuovo codice della crisi e dell’insolvenza (I), in Il Civilista, 2019, p. 61.
49 «Il fulcro del problema, nel caso di società coabitate da soci pubblici e soci privati, è il rilievo della partecipazione pubblica maggioritaria allorquando tale maggioranza sia da attribuire alla somma delle singole partecipazioni pubbliche. Se si accetta la premessa della legittimità di partecipazioni minoritarie occorre allora vedere se – in presenza di una maggioranza della pubblica amministrazione (seppur data dalla somma delle singole partecipazioni pulviscolari) – quella società possa o debba ascriversi alle società a controllo pubblico allorquando i soci privati non possano esercitare un’influenza dominante di fatto né dispongano di poteri di veto (di fonte legale, statutaria o parasociale) tali da assicurare loro una posizione di influenza “determinante” nel contesto di una forma di controllo congiunto, condiviso con uno o più soci pubblici, o quand’anche di controllo plurimo disgiunto, che fosse loro accreditabile assieme a uno o più soci pubblici e, ciononostante, si finisca per considerarle tutte co-controllanti», così V. Donativi, Rassegna analitica e sistematica della giurisprudenza, delle linee guida e dei provvedimenti amministrativi sulla nozione di società a controllo pubblico, in Corporate governance, 2021, 2, pp. 149 e ss. Del pari, nel caso di società totalitaria, allorquando nessuno dei soci pubblici possa “esercitare” singolarmente un’influenza dominante sulla società; non vi siano tra i soci o tra alcuni di essi forme di “coordinamento formalizzato” di fonte legale, statutaria o parasociale, da cui far derivare l’esercizio di un’influenza dominante congiunta sulla società e non vi siano norme legali, statutarie o parasociali per le quali le principali decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale debbano essere adottate con l’unanimità dei consensi.
50 L’orientamento prevalente della magistratura contabile è di ritenere che nel caso di una partecipazione “totalitaria”, in particolar modo ove gli enti partecipanti siano portatori di interessi di natura omogenea, sarebbe del tutto “illogica” ed “immotivata” la pretesa dell’ insussistenza di un controllo pubblico, pur in assenza di un coordinamento istituzionale formalizzato, v. Corte dei conti, Sez. reg. contr. Emilia-Romagna, n. 106/2020/VSGO; Corte dei conti, 29/SEZAUT/2019/FRG (Gli organismi partecipati dagli enti territoriali e sanitari – Relazione 2019). Per la tesi che, in ogni caso, considera a controllo pubblico le società a totale partecipazione pubblica, v. C. Garilli, In house providing e società pubbliche pluripartecipate. Riflessioni sul “controllo analogo congiunto” nel quadro generale delle “società a controllo pubblico”, in Riv. soc., 2022, 2-3, pp. 450 e ss.
51 L’idea è che le “società in house” (definite nell’art. 2, lett. o) del Testo unico e la cui disciplina si trova per lo più espressa nell’art. 16 del Testo Unico) siano da considerare anche società a controllo pubblico. Per F. Guerrera, Considerazioni in tema di controllo, cit., p. 526: «[…] le regole dettate per le società a controllo pubblico si applicano naturalmente anche alle società in house che sono una species di società controllate (direttamente o indirettamente) da una o più pubbliche amministrazioni, ma che si caratterizzano per il fatto di possedere un singolare assetto proprietario e di governance, come tale compatibile con l’affidamento diretto, senza procedura competitiva, di contratti pubblici da parte degli enti partecipanti»; nello stesso senso: V. Donativi, Le società a partecipazione pubblica, cit., p. 1261, secondo cui, nelle società in house providing, l’amministrazione “ordinariamente” è titolare di una partecipazione di controllo “interno”; M. Bianchini, Il rapporto tra “società a partecipazione pubblica e “società a controllo pubblico”, cit., pp. 141-147, e già Id., La nozione di controllo congiunto, cit., pp. 40-43, spec. 41, nt. 20; in senso analogo, v. anche I. Cavallin - E. Rivola, Controllo societario in forma “congiunta” e ambito soggettivo di applicazione del D.lgs. n. 175/2016, in Azienditalia, 2018, 5, pp. 696 e ss., 698; sul tema, v. anche G.M. Buta, Deroghe al diritto societario comune in materia di amministrazione e controllo delle società partecipate (D.lgs. 19 agosto 2016, n. 175), in Nuove leggi civ. comm., 2017, pp. 496 e ss. In giurisprudenza, Cass., Sez. Un., 1° ottobre 2021, n. 26738, in www.dirittobancario.it. Sul tema, in senso critico C. Pecoraro, Sul controllo analogo nelle società in house providing, Milano, 2021, spec. pp. 121-147.
52 Sul tema: V. Donativi, “Società a controllo pubblico”, cit., pp. 747 e ss.; Id., Le società a partecipazione pubblica, cit., spec. pp. 1262 e s., 1275 e ss.; Id., Rassegna analitica, cit., pp. 149 e ss.; P. Valensise, Un punto sul dibattito relativo alla nozione di “società” a controllo pubblico” ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. “b” e “m”, T.u.s.p., in Il controllo delle imprese nella legislazione italiana, cit., pp. 321 e ss.; M. Bianchini, La nozione di controllo congiunto, cit., pp. 24 e ss.; Id., Il rapporto tra “società a partecipazione pubblica e “società a controllo pubblico”, cit. pp. 59 e ss.; F. Guerrera, Considerazioni in tema di controllo, cit., pp. 519 e ss.; F. Cuccu - F. Massa Felsani, Sub art. 2-II. La nozione di controllo, cit., pp. 70 e ss.; R. Ranucci, Commento Sub art. 2-IX, La nozione di società a controllo pubblico, in Codice delle società a partecipazione pubblica, cit., pp. 135 e ss.; M.V. Susanna, Osservazioni in tema di controllo congiunto e relativa necessaria “formalizzazione” nel testo unico partecipate pubbliche, in Le Società, 2019, pp. 140 e ss.; K. Martucci, La nozione di controllo pubblico nel Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, in Giur. comm., 2022, 1, pp. 105 e ss.; F. Fimmanò - F. Sucameli, Gli indici formali e legali di “controllo pubblico” e i fatti concludenti dell’abuso di eterodirezione, in Riv. Corte conti, 2020, 4, pp. 1 e ss.
53 Orientamento questo che si rinviene in parte considerevole della dottrina: M. Bianchini, La nozione di controllo congiunto, cit., pp. 24 e ss.; C. Ibba, Introduzione, cit., p. 9, là dove afferma che le società a controllo pubblico «sono quelle in cui un’amministrazione pubblica eserciti i poteri propri del controllo di diritto, di fatto o contrattuale ai sensi dell’art. 2359 C.c., nonché quelle in cui tali poteri siano esercitati congiuntamente da più amministrazioni pubbliche», ma con la specificazione che questa «è l’ipotesi considerata nella seconda parte dell’art. 2, 1° co., lett. b), richiedendosi in tal caso, “per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche”, “il consenso di tutte le parti che condividono il controllo”»; C. D’aries, Controllo pubblico, gli enti soci hanno il dovere di verifica, in Quotidiano Enti locali & PA, 22 luglio 2019; e, se ben si intende, R. Ranucci, Art. 2-IX., cit., pp. 135 e ss., pp. 137-138. Tale orientamento sembrerebbe essere stato accolto anche dalla Corte dei conti, Sez. riunite in sede giurisdizionale, nelle deliberazioni del 22 maggio 2019, n. 16, 4 luglio 2019, n. 17 e 29 luglio 2019, n. 25, che per M. Bianchini, La nozione di controllo congiunto, cit., pp. 24 e ss., valorizzano più correttamente la definizione di cui all’art. 2, lett. b), T.u.s.p.
54 Un’apertura già in V. Donativi, “Società a controllo pubblico”, pp. 762 e ss.; Id., Sulla nozione di società a controllo pubblico, cit., pp. 36-45; Id., La società a partecipazione pubblica, cit., p. 1263 (e già in I “confini” del controllo congiunto, cit., pp. 553 e ss.); F. Guerrera, Considerazioni in tema di controllo, cit., pp. 517 e ss.; M.V. Susanna, Osservazioni in tema di controllo congiunto, cit., pp. 140 e ss.; per la giurisprudenza: TAR Marche, 11 novembre 2019, n. 695, in www.moltocomuni.it; TAR Veneto, 5 aprile 2018, n. 363, in www.dirittoeconti.it.
55 Formalizzazione che troverebbe la sua ratio nel limite insito dei comportamenti concludenti che non sarebbero caratterizzati da stabilità, argomentazione che ovviamente presuppone di aderire all’opzione interpretativa che individua nella stabilità un elemento imprescindibile dell’influenza dominante, sul tema v. I. Demuro, Il controllo congiunto nelle società a partecipazione pubblica prevalente, in Le società a partecipazione pubblica a tre anni dal testo unico cit., p. 298; M.V. Susanna, Osservazioni in tema di controllo congiunto cit., p. 142; in senso contrario: M.E. Comba - F. Sudiero, Le società a ‘‘controllo pubblico” (congiunto), cit., p. 406; S. Glinianski, Società in controllo pubblico congiunto, accordi taciti e comportamenti paralleli, in Rivista internet di diritto pubblico, in www.lexitalia.it. La configurabilità di un controllo congiunto a mezzo di comportamenti concludenti, dunque, a prescindere dalla formalizzazione di accordi e richiamando in questa sede solo i provvedimenti più significativi, non è condivisa dall’Osservatorio sulla finanza e contabilità degli enti locali del Ministero dell’Interno nell’atto di indirizzo del 12 luglio 2019, dedicato specificamente alla: «Precisazione della definizione di “società a controllo pubblico” ai sensi e per gli effetti di cui al T.u. in materia di società a partecipazione pubblica approvato con D.lgs. 19 agosto 2016, n. 175». In tale atto si sottolinea, altresì, l’«urgenza di rimuovere l’incertezza qualificatoria sul punto, e con essa il rischio di vedere, a seconda dei casi, ampliata o ridotta (in base alla prospettiva adottata dall’interprete e ai presupposti da cui si muove) la platea del comparto società a controllo pubblico, in netto contrasto con gli intendimenti del legislatore del Testo unico (mosso dalla dichiarata preoccupazione di assicurare la chiarezza delle regole e la semplificazione normativa)». Urgenza d’“intervento” quale conseguenza della rilevanza del contrasto registrato sul tema (i.e. le divergenze tra le Sezioni riunite in sede giurisdizionale della Corte dei conti e le Sezioni riunite in sede di controllo) divergenze che sembrano “avallate” anche dal Consiglio di Stato con la decisione della Sez. VI, 9 gennaio 2023, n. 3880 cit. (che annulla la sentenza del TAR Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, 28 dicembre 2020, n. 858, in www.dirittoservizipubblici.it) e con la sentenza Cons. Stato, Sez. V, 10 marzo 2023, n. 2543, in www.giustiziaamministrativa.it; decisioni che riaprono il dibattito, aderendo all’interpretazione estensiva favorevole alla presunzione del controllo per comportamenti concludenti. E dove, allora, occorrerà prestare particolare attenzione alla “scelta” (nel singolo caso concreto) degli indici dai quali “desumere” il controllo pubblico onde evitare (al fine di aderire a letture “marcatamente” pubblicistiche) addirittura a rinvenire una posizione di controllo nella “convergenza” del voto in relazione ad alcune delibere come ritenuto dalla decisione della Corte dei conti, Sez. contr., Emilia Romagna/65/2018/VSGO (in sede di riesame della ricognizione straordinaria operata dal Comune di Bologna sulle proprie partecipazioni) avuto riguardo alla delibera di aumento di capitale della “Fiere internazionali di Bologna s.p.a.”, aumento finalizzato a finanziare il piano di sviluppo della Fiera; per il TAR Lazio, 11 aprile 2024, n. 6983, gli elementi del controllo pubblico sono stati desunti oltre che dalla partecipazione pubblica totalitaria, dall’esame dei quorum deliberativi delle delibere assembleari relative a decisioni strategiche dell’attività sociale, adottate pressoché sempre all’unanimità, a conferma di come le pubbliche amministrazioni (enti locali) che detengono partecipazioni azionarie abbiano in concreto influito sulle decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale anche ai sensi dell’art. 2, lett. b), D.lgs. n. 175 del 2016. L’impossibilità che il “controllo congiunto” degli enti possa essere desunto da “comportamenti univoci o concludenti” viene invece ribadita da Corte dei conti, Sez. contr. Veneto, n. 18/2021/PAR.
56 Favorevoli a rinvenire il controllo pubblico anche “tacitamente”, M.E. Comba - F. Sudiero, Le società a controllo pubblico (congiunto), cit., pp. 408-409, che suggeriscono anche la formulazione di una eventuale modifica di parte dell’art. 2, comma 1, lett. b), che potrebbe essere sostituita con la seguente: «Il controllo può sussistere anche quando [risulti che], in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali [in qualunque forma stipulati], per le decisioni strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo»; F. Cuccu - F. Massa Felsani, Sub art. 2, II, La nozione di controllo, cit., pp. 76 e ss., 82 e ss. I comportamenti concludenti vengono esplicitamente ammessi dal Ministero dell’Economia e delle Finanze sia nel primo che nel secondo degli orientamenti emessi dal Mef (nell’esercizio delle sue funzioni di “indirizzo” di cui all’art. 15 T.u.s.p.) e aventi ad oggetto, rispettivamente «La nozione di “società a controllo pubblico” di cui all’articolo 2, comma 1, lett. m), del Decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (di seguito “T.u.s.p.”)» e il Rapporto sugli esiti della revisione straordinaria delle partecipazioni pubbliche (art. 24 del D.lgs. 19 agosto 2016, n. 175), del 2019, pubblicato nel mese di maggio 2019 in www.dt.mef.gov.it; per un approfondimento della corretta interpretazione di tali orientamenti, V. Donativi, Rassegna analitica, cit., pp. 164-167, a cui si rimanda anche per altre decisioni della magistratura contabile.
57 In tal senso, le deliberazioni della Corte dei conti, Sez. riunite in sede giurisdizionale, 22 maggio 2019, n. 16, 4 luglio 2019, n. 17 e 29 luglio 2019, n. 25, secondo cui sebbene la mera partecipazione maggioritaria e proteiforme di soci pubblici disorganizzati non sia indice sufficiente a presumerne legalmente un controllo pubblico (in assenza di soci privati, o di prove della loro influenza dominante) tale partecipazione diffusa, unita ad altri indici di prova, potrà integrare una presunzione semplice, ai sensi dell’art. 2729 C.c. In sintesi, la partecipazione frammentata e diffusa maggioritaria non costituisce ex se prova o presunzione legale dell’esistenza di un coordinamento tra i soci pubblici, che deve invece essere accertato in concreto. Può invece costituire una presunzione semplice la cui valutazione (ex art. 2729 C.c.) è rimessa al prudente apprezzamento del giudice, che ammetterà solo quelle gravi, precise e concordanti ed in mancanza di prova contraria diretta. Tali deliberazioni, sono da segnalare anche per le puntuali critiche all’orientamento ancor più rigoroso della Corte dei conti, Sez. riunite, contr. n. 11/2019 (SSRRCO/11/2019/QMIG); orientamento quest’ultimo più volte successivamente richiamato dalla varie sezioni di controllo della Corte dei conti (pur dovendo, se non si erra, le decisioni delle sezioni riunite in sede giurisdizionale prevalere su quelle delle sezioni di controllo, art. 11 comma 6, lett. e) del D.lgs. n. 174/2016 – Codice del “processo” contabile).
58 Secondo tale impostazione la proteiformità della pubblica amministrazione non impedirebbe che il concetto di “pubblica amministrazione”, evocato dall’art. 2 T.u.s.p., possa e debba essere inteso “unitariamente”. Orientamento che si rinviene chiaramente nella delibera dell’ANAC del 25 settembre 2019, n. 859, e non, invece, nel primo orientamento del Mef innanzi citato ed erroneamente interpretato (almeno inizialmente) in tal senso e recepito dalle successive decisioni della Corte dei conti quale antecedente della posizione più estrema; estrapolando però testualmente solo i passaggi più netti in favore dell’ipotesi più estrema e non quelli che avrebbero quanto meno potuto sollevare dubbi circa le conclusioni assunte dal Mef. Sull’argomento, cfr. V. Donativi, Rassegna analitica, cit., p. 193, che sottolinea come per il Mef «per qualificare una società a controllo pubblico congiunto, in assenza di patti parasociali o altri atti negoziali, è sufficiente la verifica di comportamenti concludenti dei soci pubblici» ma non già la mera partecipazione maggioritaria pubblica al capitale. Posizione più estrema che ricorre in: Corte dei conti, Sez. riunite contr., n. 11/2019 (SSRRCO/11/2019/QMIG); Corte dei conti, Sez. contr. Liguria, n. 3/2018/PAR, ove si rileva che “[…] mentre l’art. 2359 Cod. civ. [...] considera ‘società controllate’ quelle in cui ‘un’altra’ società dispone dei voti o dei poteri [...] indicati ai numeri 1), 2) e 3) della ridetta disposizione, in virtù del combinato disposto delle lett. b) ed m) dell’art. 2 T.u.s.p., vengono qualificate come ‘società a controllo pubblico’ quelle in cui ‘una o più’ amministrazioni dispongono dei voti o dei poteri indicati nel codice civile (a cui si aggiunge la fattispecie ulteriore e autonoma, indicata al secondo periodo della lett. b) dell’art. 2 del testo unico, del controllo avente fonte in norme di legge, statutarie o di patti parasociali che, per le decisioni sociali strategiche, richiedono il consenso unanime di tutti i soci)”; Corte dei conti, Sez. contr. Emilia-Romagna, n. 65/2018/VSGO; Corte dei conti, Sez. contr. Piemonte, n. 42/2018/PAR; contra, TAR Veneto, n. 363/2018; TAR Friuli-Venezia Giulia, 6 giugno 2018, n. 245; Con. Stato, 13 dicembre 2018, n. 578, tutte in www.dirittoeconti.it (e relative al medesimo primo caso concreto); TAR Lazio, 13 marzo 2019, n. 5118, in www.giustaamm.it; TAR Marche, 11 novembre 2019, n. 695, in www.moltocomuni.it; TAR Emilia-Romagna, 10 dicembre 2020, n. 858, in www.dirittodeiservizipubblici.it; TAR Emilia-Romagna, 23 febbraio 2022, n. 252, in www.comunerimini.it, per le quali la detenzione congiunta della maggioranza dei voti assembleari non coincide con il “controllo pubblico congiunto” che richiede, invece, l’effettivo esercizio di una “influenza determinante” (dei soci controllanti) sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative della società partecipata. In senso favorevole, J. Bercelli, La nozione di società a controllo pubblico nella giurisprudenza amministrativa, in Giorn. dir. amm., 2019, pp. 685 e ss.; in senso critico la prevalente dottrina: C. Ibba, Diritto comune e diritto speciale, cit., p. 958, che ritiene infondata e comunque meritevole di essere contrastata «la propensione a letture marcatamente pubblicistiche o comunque tendenti ad ampliare oltre misura l’area dei vincoli e dei controlli, che pure in alcune sedi emerge»; V. Donativi, Società a controllo pubblico”, cit., p. 747; Id., Sulla nozione di società a controllo pubblico, cit., pp. 13 e ss.; M. Bianchini, La nozione di controllo congiunto, cit., p. 107, secondo cui la pretesa omologazione dell’autonomia decisionale del singolo ente pubblico-socio a quella di una «super pubblica amministrazione di fatto» si tradurrebbe nell’abdicazione del potere della singola P.A. di “autodeterminarsi” secondo il miglior perseguimento dei rispettivi interessi istituzionali; nello stesso senso le deliberazioni della Corte dei conti, Sez. riunite in sede giurisdizionale, 22 maggio 2019, n. 16; 4 luglio 2019, n. 17 e 29 luglio 2019, n. 25.
59 Posizione che, dunque, sembrerebbe differenziarsi dalle precedenti in quanto ammetterebbe la prova contraria solo ove al socio privato fosse riconosciuta una influenza dominante e non anche quando si riesca a provare l’assenza di un “coordinamento” tra i soci pubblici. Decisioni queste che, come si evidenzierà nel successivo paragrafo, hanno particolare rilievo per il caso che ne occupa perché legittimano società a partecipazione mista pubblico-privata non a controllo pubblico. A tale orientamento viene ricondotta la deliberazione della Corte dei conti, Sez. riunite contr., n. 11/2019 (SSRRCO/11/2019/QMIG) successivamente richiamata da Corte dei conti, Sez. Emilia-Romagna, n. 10/2022/VSGO; Corte dei conti, Sez. reg. contr. Emilia-Romagna, n. 63/2020/PAR e n. 113/2021/PAR). Sul punto ci si limita ad osservare come, le perplessità di ricondurre tale deliberazione all’orientamento più rigoroso secondo cui la semplice maggioranza o la partecipazione totalitaria rappresenterebbe una presunzione iuris et de iure, troverebbe una contraddizione nell’obbligo di attuare e formalizzare misure e strumenti coordinati di controllo atte ad esercitare un’influenza dominante sulla società. Ed invero, presumere il controllo per la mera maggioranza e poi ritenere che gli enti abbiano l’obbligo di attuare le richiamate misure per il fine di esercitare l’influenza dominante significa, se non si erra, implicitamente dubitare che gli enti fossero nella condizione di “esercitare” quei “poteri di controllo” e, dunque, che non sussistesse un controllo tra i vari enti.
60 Per le più significative v.: Corte dei conti, Sez. riunite contr., n. 11/2019 (SSRRCO/11/2019/QMIG) su “richiesta di pronunciamento di orientamento generale”, avanzata della Sezione regionale di controllo per l’Umbria con deliberazione n. 57/2019/PAR, cui ha fatto seguito la deliberazione della Corte dei conti, Sez. reg. contr. Umbria, n. 77/2019/PAR (aventi ad oggetto la qualifica come società a controllo pubblico di due società esercenti la gestione del servizio idrico integrato, con partecipazione pubblica maggioritaria, ma frammentata tra più amministrazioni ciascuna delle quali con quote insufficienti ad assicurare una posizione di controllo individuale: la società Umbra Acque s.p.a., con partecipazione di diversi comuni per il 60% e di ACEA s.p.a. per il 40%; e la società S.I.I. s.p.a., con partecipazione dei comuni per il 75% e di una società interamente controllata da Acea per il 25%); Corte dei conti, Sez. reg. contr. Umbria, n. 76/2019/PAR (avente ad oggetto la partecipazione minoritaria del Comune di Perugia (45%) nella Gesenu s.p.a. esercente il servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti, spazzamento strade e gestione di impianti per il trattamento dei rifiuti); le sentenze delle Sezioni riunite in sede giurisdizionale della Corte dei conti (22 maggio 2019, n. 16, 4 luglio 2019, n. 17 e 29 luglio 2019, n. 25) sui ricorsi proposti dalla Società Marche Multiservizi S.p.A. per l’annullamento di una serie di deliberazioni della Sezione regionale di controllo per le Marche (rispettivamente per le deliberazioni nn. 61/2018/VSG del 19 dicembre 2018, 68/2018/VSG del 20 dicembre 2018 e 62/2018/VSG del 19 dicembre 2018, quanto alla sentenza n. 16/2019; per la deliberazione n. 60 del 19 dicembre 2018, quanto alla sentenza n. 17/2019; e la deliberazione n. 54/2018/VSG del 27 novembre 2018, quanto alla sentenza n. 25/2019); TAR Marche, Ancona, 11 novembre 2019, n. 695, in Foro it., 2020, III, pp. 308 e ss., in accoglimento del ricorso con cui veniva impugnata la deliberazione del Consiglio Comunale di San Benedetto del Tronto avente ad oggetto il piano 2018 di razionalizzazione periodica delle partecipazioni (ex art. 20 T.u.s.p.) nell’àmbito del quale la società Picenambiente SpA, partecipata dal Comune di San Benedetto del Tronto e da altri comuni del territorio, era stata classificata come “società a controllo pubblico”.
61 Così, Corte dei conti, Sez. reg. contr. Umbria, n. 76/2019/PAR, che specifica, altresì, che le conclusioni cui si addiverrà, saranno da intendere a titolo meramente esemplificativo e quindi come tali da estendere a tutti gli enti partecipati che presentano gli stessi requisiti. In altri termini, sembrerebbe che la diversità degli interessi perseguiti e, in particolare, il diverso ruolo del privato nell’una piuttosto che nell’altra delle società “miste” (in senso stretto ovvero in senso lato) non abbia conseguenze sulla modalità in cui dovrà ricostruirsi e/o ritenersi o meno configurato l’eventuale controllo del socio pubblico.
62 E cioè tale deliberazioni, seppur discorrano “genericamente” di società miste richiamano poi quale antecedente e, dunque, quale argomentazione per relationem le decisioni della Corte dei conti, Sez. contr., 20 giugno 2019, n. 11 (SSRRCO/11/2019/QMIG) e le sentenze delle Sezioni riunite in sede giurisdizionale della Corte dei conti (22 maggio 2019, n. 16, 4 luglio 2019, n. 17 e 29 luglio 2019, n. 25) che espressamente si riferiscono alle società miste con scelta del socio mediante gara a doppio oggetto.
63 Emerge, cioè, chiaramente la “tendenza” (di una parte delle sezioni di controllo della magistratura contabile) di riportare tutte le società a partecipazione pubblica “pulviscolare” maggioritarie (e a maggior ragione totalitarie) in quelle a controllo pubblico e l’intento di “relegare” le ipotesi di società a mera partecipazione pubblica a quelle miste in senso stretto che abbiano optato per un’articolazione statutaria che affidi al socio privato (o a più soci privati, anche unitamente ad alcune amministrazioni pubbliche) un’“influenza” tale da escludere il controllo pubblico. In realtà, tale tendenza sembra, in alcuni casi, trasformarsi anche in un’opera di “convincimento” se non di “condizionamento” nei provvedimenti aventi ad oggetto gli esiti del controllo dei piani di razionalizzazione (sia straordinari che ordinari) nella misura in cui si “invitano” le società a riconsiderare “attentamente” il mantenimento di una partecipazione marginale, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 4, comma 1, del T.u.s.p.; in altri termini richiamando chiaramente gli orientamenti che ritengono “illegittima” una partecipazione “pulviscolare” in assenza di controllo pubblico, v. ex multis: Corte dei conti, Sez. contr. Toscana, 9/2023/VSG; Corte dei conti, Sez. contr. Emilia-Romagna 9/2021/VSGO e 106/2021/VSGO; Corte dei conti, Sez. contr. Emilia-Romagna, 38/2021/VSGO. Ancor più singolare che tale “suggerimenti” avvengano anche, seppur più timidamente, nei confronti delle società miste in senso stretto, pur dopo aver escluso la configurabilità della società come società a controllo pubblico, v. Corte dei conti, Sez. contr. Lazio, 32/2020/VSG che – nell’analizzare il piano di revisione straordinaria del Comune di Latina e pur prendendo atto che il TAR Lazio, 19 aprile 2019, n. 5118 (in www.giustiziaamministrativa.it) avesse escluso la “qualifica” di società a controllo pubblico, per la società a partecipazione mista pubblico-privata (nel caso di specie Acqua latina s.p.a.) – auspica un raccordo tra tutti soci pubblici, ai fini di un esame congiunto della questione (i.e. di riconsiderare la possibilità di “formalizzare” il controllo pubblico).
64 Per tutte Corte dei conti, Sez. riunite contr., 20 giugno 2019, n. 11(SSRRCO/11/2019/QMIG).
65 Preconcetto che potrebbe superarsi sol che si consideri che non avrebbe alcun senso mantenere una partecipazione maggioritaria se poi per il ruolo e le stesse finalità della società a partecipazione mista in senso stretto e per la chiara scelta del legislatore di una concezione del controllo pubblico “dinamica” si può arrivare alla stessa (o anche forse ancor più accentuata) situazione di una partecipazione maggioritaria del socio privato. Che tale possibilità sia confermata dalla disciplina del T.u.s.p. si ricaverebbe non solo dall’aver fissato un tetto minimo alla partecipazione del privato (che dunque renderebbe legittima una partecipazione maggioritaria dello stesso) ma dal fatto che il legislatore riserva alle società miste un’apposita disciplina funzionale all’attuazione del rapporto sociale, anche in ordine agli strumenti per l’integrazione di situazioni di controllo. In tale ottica si è osservato come la presenza degli amministratori e sindaci di parte pubblica nei rispettivi collegi potrà essere assicurata (non necessariamente) anche mediante meccanismi di nomina extra-assembleare, nel rispetto del principio di “proporzionalità”, conformemente all’art. 2449 C.c. Il tema è quello di riuscire a garantire un’equilibrata distribuzione tra socio pubblico e privato della designazione degli amministratori esecutivi e non esecutivi e dei sindaci (o dei consiglieri di gestione e di sorveglianza nel sistema dualistico) e ancor più in generale del controllo che deve riconoscersi al socio pubblico in tale “tipo” di società.
66 R. Occhilupo - G. Roma, Le società miste, cit., p. 496, che sottolineano come «la società mista possa effettivamente presentare massimi vantaggi nel caso in cui sia garantito un certo “peso” nella gestione e quindi in presenza di una sua partecipazione maggioritaria».
67 In tal senso, Corte dei conti, Sez. reg. contr. Umbria, n. 79/2019/PAR: “La circostanza che tutti i soci pubblici, pur volendo convergere verso una logica di attuazione del T.u.s.p., non dispongano degli strumenti statutari per operare in quella direzione senza il consenso del socio privato, costituisce la controprova dell’insussistenza di un controllo pubblico (in sé logicamente incompatibile con la contemporanea presenza di un controllo privato o congiunto)” ed ancora: “Qualora l’assetto statutario escluda la concreta possibilità che i soci pubblici possano incidere sulle “decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività ‘sociale’ ai sensi dell’art. 2, lett. b), T.u.s.p., senza il consenso del socio privato, il controllo pubblico non è configurabile”; conseguentemente, l’assunzione di decisioni conformi alle disposizioni del T.u.s.p. non è nella disponibilità dei soci pubblici che per tale scopo necessitano del consenso del socio privato. Sul punto, ci si limita ad osservare come anche tale assetto (cui abitualmente si ricorre nella prassi) potrebbe determinare quello che è stato definito uno stallo da “partecipazione giuridicamente paritetica” e dove allora (ma la questione qui può solo essere accennata) occorrerà verificare quali delle diverse soluzioni prospettate siano compatibili con la società a partecipazione mista pubblico-privata; pur evidenziando come le poche soluzioni che si sono rinvenute negli statuti prevedono l’obbligo di convocare un certo numero di volte l’assemblea superato il quale, senza che si addivenga ad una decisione, si riducono i quorum deliberativi in misura tale da consentire al socio pubblico di deliberare; nel caso di “stallo decisionale dell’organo amministrativo”, il rimedio più utilizzato è il c.d. casting vote.
68 In tal senso disponeva l’art. 17, rispettivamente al comma 3 e comma 5, lett. a), dello schema di Decreto legislativo in materia di società partecipate. Nella Relazione illustrativa non si rinvengono le motivazioni di tale soppressione ma è verosimile dedurre che ciò sia dipeso proprio dalla considerazione della inconciliabilità della “contestualità” delle due previsioni, così come correttamente evidenziato dalla magistratura contabile.
69 Il riferimento è ad esempio al potere di veto riconosciuto al privato “unitamente” a quello del socio pubblico. In altri termini, nelle società a partecipazione pubblica si possono configurare diversi “situazioni” di controllo (pubblico, misto, e privato) e, in tale ottica, si spiegherebbe la scelta del legislatore di tenere separata la definizione di “controllo” tout court da quella di “società a controllo pubblico” così, M. Bianchini, La nozione di controllo congiunto, cit., pp. 44-45.
70 In senso contrario F. Guerrera, Le società a partecipazione mista, cit., p. 122, secondo cui la configurabilità della società mista in senso stretto quale società “a controllo pubblico” si avrebbe anche ove sia configurabile un “controllo congiunto” pubblico-privato, con necessaria applicabilità degli artt. 11 e 13 del Testo unico.
71 Come specificato dalle sentenze della Corte dei conti, Sez. riunite in sede giurisdizionale n. 16/2019, n. 17/2019 e n. 25/2019: “la partecipazione pubblica diffusa, frammentata e maggioritaria non costituisce ex se prova o presunzione legale (né juris tantum né tantomeno iuris et de jure) dell’esistenza di coordinamento tra i soci pubblici, che deve invece essere accertato in concreto”; può invece costituire un mero indice presuntivo per la Sezione di controllo competente ad effettuare un’approfondita istruttoria al fine di procedere all’accertamento dello status di “società a controllo pubblico”, specialmente in presenza di partecipazione “private”, anche ai soli fini del T.u.s.p. (art. 1, comma 5). In senso contrario: la deliberazione dell’Anac del 25 settembre 2019, n. 859, secondo cui (ai fini della applicabilità delle norme previste per le società a controllo pubblico nella Legge n. 190/2012 e nel D.lgs. n. 33/2013) «la partecipazione maggioritaria (unitaria o frammentata) configurerà una presunzione di controllo juris tantum e spetterà alla società dimostrare sia l’assenza del coordinamento formalizzato tra i soci pubblici, desumibile da norme di legge, statutarie o da patti parasociali, sia l’influenza dominante del socio privato, ove presente nella compagine societaria».
72 Altro elemento imprescindibile ed inderogabile del “modello” società a partecipazione mista pubblico-privata è il carattere “temporaneo” della partecipazione del socio privato avente quale corollario l’inderogabile “intrasferibilità” della stessa. L’intrasferibilità della partecipazione del socio privato è sicuramente giustificata dalla necessità di evitare l’elusione della disciplina pubblicistica della scelta dello stesso socio. È indubbio che ammettere una cessione della partecipazione del socio privato significa eludere la stessa previsione sulla durata temporanea della sua partecipazione, oltre che disattendere le finalità del rispetto dell’evidenza pubblica attribuita alla gara a doppio oggetto e lo schema causale della fattispecie. Né sembra sia possibile individuare situazioni in cui possa sussistere una necessità e/o opportunità di un trasferimento della partecipazione del privato diversa ed ulteriore rispetto a quella di consentire il “ricambio” (periodico e/o per sopravvenute “modifiche”) del socio privato la cui partecipazione è appunto “collegata” e “legata” al compimento di un singolo affidamento. In tale prospettiva, per queste tipologie di società, si è escluso che possa crearsi un “mercato” delle partecipazioni fino alla conclusione degli affidamenti. La cessione, infatti, concretizzerebbe una modifica delle stesse condizioni essenziali per attuare il progetto da perseguire con la costituzione della società “mista”, se è vero che le particolari regole dell’affidamento renderebbero “infungibile” la prestazione del socio privato operativo; cfr., F. Guerrera, Lo statuto della nuova società, cit., p. 565; E. Codazzi, Le società miste, cit., p. 314.
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